ENTI LOCALI
Con i “derivati” la democrazia è ostaggio delle banche; oggi e per le future generazioni.
Una legislazione che si è sviluppata negli ultimi anni, sotto governi di vario colore, ha privato gli Enti Locali dei fondi necessari a svolgere le loro funzioni. Ciò ha indotto Comuni, Province e Regioni non solo a svendere territorio ai cementificatori, ma anche ad indebitarsi, chi più chi meno, con le banche. Torino, ad esempio, si è indebitata molto per investire nell’effimero delle Olimpiadi 2006 (a gennaio 2009 è il Comune più indebitato d’Italia, per 5.781€ a cittadino)
Quando poi uno di questi Enti non ce la fa a restituire i soldi si vede proporre da banche ancora più grandi, inserite nei circuiti internazionali delle “bolle speculative”, uno strumento di rinegoziazione del debito, “il derivato”, che sostanzialmente dà ossigeno nell’immediato, ma proietta nel futuro un passivo maggiore.
Il rischio? Che amministratori spregiudicati, a loro agio in un ruolo che ormai tutto è, meno che “al servizio dei cittadini”, possano benissimo accettare di tirare a campare, magari cedendo quote sempre maggiori delle aziende municipalizzate, in attesa di lasciare la patata bollente in eredità alla successiva legislatura. Fino a quando?
C’è un’evidente similitudine con la logica che regge l’architettura finanziaria delle grandi opere, come il TAV.
Che c’entra la democrazia? Per un Ente Locale prigioniero del debito sarà molto difficile fare, liberamente, scelte che le banche creditrici potrebbero disapprovare ...
Ecco alcuni articoli per meglio comprendere l’argomento:
Derivati, mina vagante sui conti del Comune
Perdite possibili per 115 milioni. Allarme anche in Regione
di Gianluca Paolucci da La Stampa del
16/10/2007
Scoppia il caso
derivati per comune di Torino e Regione Piemonte. A dare l’innesco è Report,
la trasmissione di Raitre che nella sua puntata di domenica sera ha portato
alla luce i rischi per le casse pubbliche di questi strumenti finanziari. Per
il comune, si tratta di ventitré contratti swap relativi ad un ammontare
nazionale di 1,2 miliardi di prestiti e bond, con un «mark to market» negativo,
a ieri, di 115 milioni di euro. I numeri della «mina derivati» esplosa ieri in
Regione e a Palazzo di Città. Sul banco degli imputati, l’ex assessore al bilancio
del Comune e attuale assessore regionale, Paolo Peveraro. Alla sua gestione
andrebbero ricondotti i contratti sottoscritti dal comune, oltre a una nuova
operazione fatta dalla Regione.
La difesa
Peveraro, interpellato
da La Stampa, non ha esitazioni: «Stante quelle condizioni, rifarei
esattamente le stesse cose». Quei derivati non sono «finanziamenti
mascherati da operazioni di copertura», come sostiene un banchiere milanese che
si occupa di finanza pubblica e ha avuto modo di guardare i conti di Torino.
Fatti magari in momenti difficili, quando c’erano da finanziare i lavori per le
Olimpiadi e dalle casse statali non arrivavano abbastanza soldi. Sono invece
«operazioni di copertura, fatte in momenti in cui le situazioni dei mercati
erano molto diverse da quelle attuali». Per le operazioni fatte in Regione,
Peveraro ha affidato la sua difesa ad una nota scritta distribuita nelle
redazioni dall’ufficio stampa della giunta regionale. Nella sostanza,
l’assessore della giunta Bresso entra nel merito soltanto delle operazione
condotte in Regione: «L’operazione di rifinanziamento ha prodotto minori
esborsi a carico della regione per circa 38,7 milioni di euro nel 2006 e
libererà risorse per oltre 195 milioni nel triennio successivo (2007-2009)
fornendo un importante contributo al miglioramento dei saldi di bilancio».
E cita anche la «grave crisi di equilibrio» che ha reso necessarie queste
operazioni e la «profonda sofferenza» delle casse regionali che la giunta
attuale ha ereditato dal centrodestra. Il riferimento è al prestito da 1,8
miliardi, anche questo legato ad una serie di contratti derivati, almeno sulla
carta, di copertura. Entrando nel merito di quanto riferito da Report, «è
falso - dice Peveraro - che i derivati legati all’ultimo mutuo
sottoscritto dalla Regione siano in perdita, il mark to market ad oggi è
positivo».
Palazzo Civico
In
Comune c’è una situazione diversa. Intanto, riferiscono fonti finanziarie, «c’è
la consapevolezza a livello politico e tecnico che, passata l’emergenza
olimpica, i conti vanno messi a posto». L’assessore attuale, Gianguido Passoni,
non lo dice esplicitamente. Parla di «operazioni che sono state “smontate”
perché diventate troppo onerose». Dice che in passato forse si è avuto un
«eccesso di ottimismo» ripetto all’andamento di certe variabili, come i tassi
d’interesse. E spiega che almeno una parte di quei 23 contratti derivati
finiranno nella prossima emissione di Boc che il comune si appresta a lanciare,
presumibilmente entro la fine dell’anno. Emissione fatta per prolungare la
durata del debito, che serivrà però almeno in parte per «mettere in sicurezza»
quei derivati. Ovvero, nella sostanza, chiuderli e pagare alle banche la
minusvalenza «teorica» che però a questo punto diventa concreta. Intanto,
Passoni incassa il giudizio di Fitch, che assegna al comune un rating di A+ con
prospettive stabili. A ben guardare però il giudizio di Fitch è in chiaroscuro.
Intanto, l’utilizzo in passato di entrate non ricorrenti - leggi dismissioni -
non andrebbe ripetuto in futuro se si vuole mantenere il rating al livello
attuale. Inoltre, proprio i rischi connessi a quei derivati «limitano» il
rating - spiega l’agenzia - che senza quelle incertezza potrebbe essere
migliore. Dei 3 miliardi di debito del comune, il 60% è con le banche, il 16%
con la Cassa depositi e prestiti e il 24% sono Buoni comunali (Boc). Un quarto
è stipulato a tasso fisso, il 67,6% a tasso variabile, il 6,89% a tasso misto.
«Dire in assoluto che i derivati sono un male è una mistificazione della
realtà - ha ancora detto Passoni - certo chi gestisce il denaro pubblico
deve farlo senza rischiare». Il problema è però capire se in queste
operazioni si sono fatti correre alle finanze pubbliche dei rischi che potevano
essere evitati. Un problema politico prima che finanziario. Ad esempio, uno dei
derivati del comune dovrebbe proteggere dall’andamento dell’Euribor. Ma è
legato anche all’andamento di un altro tasso, il Libor. È una copertura o una
speculazione?
II rischio derivati? Una catena di Sant'Antonio
II pericolo
- II default di un Ente, metterebbe in difficoltà gli altri
Gli esperti
- Secondo alcuni esiste un rischio sistemico
II caso
Lombardia: a garantire l'emissione ci sono titoli di Lazio, Sicilia, Grecia,
Telecom ed Enel
di Morya Longo da Il
Sole 24 ore del 17/6/09 – pagg. 1 e 45
A prima vista potrebbe
sembrare una gigantesca catena di Sant'Antonio. Con i derivati, e i
cosiddetti «sinking fund», a fare da anelli di congiunzione. Se un ente locale
dovesse finire in difficoltà, infatti, le conseguenze si allargherebbero a mezza
Italia. L'emissione obbligazionaria effettuata dalla Lombardia nel 2002 - con
la consulenza di Ubs e Merrill Lynch - è un esempio: per effetto di un fondo
attraverso cui le due banche hanno investito i denari della Lombardia, i
destini della Regione si sono infatti legati con un doppio nodo proprio a
quelli della Sicilia e del Lazio. Ma anche a quelli di Telecom Italia,
dell'Enel e della Repubblica greca. Le banche internazionali hanno
infatti creato una rete che, attraverso i "sinking fund", lega tanti
enti locali italiani l'uno all'altro. La fotografia che emerge è quasi paradossale:
una gigantesca ragnatela finanziaria ha riunito un'Italia che, per volontà
politica, dovrebbe invece diventare sempre più federale. Una ragnatela costruita
soprattutto nell'interesse delle stesse banche. Una girandola di bond, di
commissioni e di operazioni finanziarie. Altro che federalismo: una catena di
Sant'Antonio.
Se per ipotesi remota la Sicilia, il Lazio oppure Telecom Italia finissero hi bancarotta, a pagarne le conseguenze sarebbe la Regione Lombardia Altro che federalismo. Il sistema delle emissioni obbligazionarie delle Regioni, con derivati annessi, ha in realtà creato una gigantesca Catena di Sant'Antonio: il rischio di uno si trasmette a tutti.
Il Pirellone-bond
Per ripercorrere la
storia di questa connection tra Nord e Sud basta seguire l'iter di una di queste
emissioni obbligazionarie. È l'autunno del 2002 quando la Regione Lombardia,
già guidata da Roberto Formigoni, emette un bond da un miliardo di dollari con
scadenza nel lontano 2032. Ad aiutare il Pirellone ci sono Ubs e Merrill Lynch.
La legge nel 2002 consente a un Ente locale di indebitarsi a così lunga scadenza,
ma - per evitare di lasciare sulle spalle delle generazioni future l'onere di
un così oneroso rimborso - impone che venga creato un cosiddetto Piano di
ammortamento. In pratica la Regione deve costruire un grosso
"salvadanaio" dove mettere, nell'arco dei 30 anni, tutti i soldi
necessari per far fronte al rimborso finale.
Qui viene il primo punto. Il "salvadanaio" non lo crea la Regione investendo direttamente i soldi in titoli di Stato. Sarebbe troppo semplice. E, si potrebbe malignare, sarebbe poco remunerativo per le banche. No: il "salvadanaio" lo creano le banche stesse. Per questo la Lombardia ha stipulando due contratti derivati con le stesse Ubs e Merrill Lynch: la Regione si è impegnata a versare loro i soldi, secondo un piano di ammortamento prestabilito, e le due banche glieli restituiranno nel 2032. Già qui c'è una prima curiosità: il piano di ammortamento prevede che la Lombardia paghi quasi tutto nei primi anni. Già nel 2008, cioè sei anni dopo l'emissione obbligazionaria, la Regione aveva rimborsato più di metà del bond. E ad aprile 2017 - prevede il piano di ammortamento - la Lombardia avrà consegnato 934 milioni di euro alle banche, cioè il 90% dell'importo totale. Già questo fa storcere il naso a più di un addetto ai lavori: che senso ha indebitarsi a 30 anni, se poi in 15 anni si restituisce praticamente tutto l'importo alle banche? Dalla Regione spiegano però che quel piano di ammortamento serviva per replicare le scadenze dei mutui precedenti.
Ma il punto è soprattutto un altro.
Ubs e Merrill Lynch tutti quei soldi versati dalla Lombardia con così largo
anticipo li hanno messi in un fondo (chiamato sinking fund, cioè letteralmente
«fondo che va a fondo») e li hanno investiti in varie obbligazioni. L'aspetto
sorprendente è che il sinking fund ha una sorta di "doppia
personalità": dato che deve garantire alla Regione solo la restituzione di
un miliardo nel 2032, tutto il rendimento aggiuntivo
lo incassano le banche, Insomma: il rischio che il fondo faccia investimenti
sbagliati e che qualche bond vada in default è tutto della Lombardia, ma il
guadagno è tutto di Ubs e Merrill Lynch. A pensarci bene, è un meccanismo
geniale: le banche hanno rendimenti senza rischi (pur ricompensando la Regione
nei prezzi dei derivati) mentre la Lombardia ha rischi senza rendimenti.
«Il Sole 24 Ore», con
documenti ufficiali alla mano, è in grado di provare che le due banche hanno
messo nel sinking fund della Lombardia tanti titoli che loro stesse avevano
emesso per conto di altre Regioni o società. Ubs nel 1998 aveva per esempio
curato un'emissione obbligazionaria per conto della Regione Lazio: un bond
trentennale per 250 milioni di euro. Ebbene: 80 milioni di euro di quel bond
sono stati messi pochi anni dopo dalla stessa Ubs nel sinking fund della
Regione Lombardia. Idem per la Sicilia. Nel 2000 la Regione aveva emesso un
bond da oltre 2 miliardi di vecchie lire -con l'aiuto di Merrill Lynch -per
finanziare «certi progetti infrastrutturali» e per coprire il disavanzo del
1999. E due anni dopo la stessa Merrill Lynch ha piazzato 45,5 milioni di quel
bond nel sinking fund della Lombardia. Morale: senza neppure saperlo la
Lombardia ha finanziato le infrastrutture siciliane e quelle del Lazio.
Paradossi della finanza.
E di esempi ce ne sono
molti altri. Warburg Dillon Read (poi diventato Ubs) nel 2002 aveva per esempio
aiutato la Grecia a indebitarsi per 200 milioni di euro. Ebbene: Ubs stessa ha
messo 115 di quei 200 milioni nel sinking fund della Lombardia. Merrill Lynch
ci ha invece piazzato 34 milioni di obbligazioni del Land del
Baden-Wuerttemberg: operazione, anch'essa, curata dalla stessa Merrill Lynch
nel 1993. Entrambe le banche hanno poi inserito nel fondo della
Lombardia bond emessi da Telecom Italia di durata trentennale e titoli emessi
dall'Enel. Queste fotografie risalgono a fine 2007, ma le fonti consultate dal
«Sole-24 Ore» assicurano che nel frattempo poco è cambiato.
Bene inteso: nessuna
legge è stata violata. Il problema è però che l'operazione appare fatta più
nell'interesse delle banche che in quello della Lombardia: l'impressione è che
Ubs e Merrill Lynch abbiano usato il sinking fund come una sorta di
"discarica" per titoli che forse non erano riuscite a vendere a
investitori veri. Non ci sono prove, ma il sospetto è legittimo. Contattate,
le due banche, non hanno però voluto commentare.
Le altre Regioni
La vicenda lombarda è
simile a quella di altre Regioni. Fonti consultate dal «Sole-24 Ore» rivelano
per esempio che nel sinking fund della Puglia - creato dalla stessa Merrill
Lynch nel 2003 -, sono inseribili i bond di diversi Comuni italiani (per
esempio Firenze), di alcune Province (per esempio Roma) e di varie Regioni
(per esempio Lazio). Ma, sempre secondo indiscrezioni, dentro si trovavano
anche i titoli di Telecom Italia, poi eliminati. «Il Sole 24 Ore» ha contattato
l'assessore Michele Pelillo, ma le telefonate non hanno avuto ritorno. Anche
il sinking fund della Liguria - riferiscono fonti bene informate - è pieno di
bond di altri Enti locali. Insomma: senza che nessuno se ne accorgesse, tante
banche hanno creato una rete inestricabile che ha legato i destini di Regioni,
Province e Comuni. Se uno di questi Enti avesse problemi, le sue difficoltà si
allargherebbero dunque a macchia d'olio in Italia. Se nessuno avesse problemi,
invece, per le banche sarebbero lauti profitti.
I dubbi degli esperti
«II Sole-24 Ore» - non
potendo condividere le informazioni con Ubs e Merrill Lynch che si sono
trincerate dietro un «no comment» - ha confrontato i documenti trovati con
cinque diversi esperti: un banchiere e quattro consulenti. Tutti concordano
nel dire che non ci sono particolari criticità e che nessuna legge sembra
essere stata violata. Il condizionale è d'obbligo, perché sul bond della
Lombardia sta indagando il Pm di Milano Alfredo Robledo e su quello della
Puglia il Pm Francesco Bertone. Ma tutti concordano anche nel dire che in
alcuni casi tanti principi di sana ed etica gestione finanziaria sono stati
quantomeno "schivati". C'è per esempio il tema del conflitto di interessi:
se le banche mettono nel sinking fund di una Regione i bond che loro stesse
hanno emesso per altre Regioni (pur scegliendoli all'interno di un paniere
concordato), è ragionevole domandarsi nell'interesse di chi abbiano fatto
questa scelta. Per loro ci sono infatti tripli guadagni: quelli per le due emissioni
e quelli del sinking fund. E per la Regione?
C'è
poi un rischio che alcuni definiscono «sistemico». E vero che gli Enti locali
difficilmente vanno in default (anche se può capitare), ma è anche vero che se
una Regione o un Comune dovesse avere problemi trascinerebbe nel baratro
mezza Italia. Dalla Regione Lombardia spiegano che i titoli inseriti nel loro
sinking fund sono tutti di elevato standing. Certo: però il rischio
rimane. Non era meglio - dato che la Regione deve semplicemente garantire la
salvaguardia del capitale e non speculare - investire solo in titoli di Stato
europei? Insomma: l'impressione è che tutta questa operazione sia più
razionale per le banche che per la Regione. Infine resta una domanda banale:
perché mai li hanno chiamati (già nel 700) sinking fund, cioè letteralmente
«fondi che vanno a fondo»? Una burla? Un caso? Oppure... un messaggio
subliminale?
Ancora accertamenti sui derivati in Piemonte
10/03/2010 su FUTURA, Il
giornale on-line del Master in Giornalismo di Torino http://futura.unito.it/blog/2010/03/10/ancora-accertamenti-sui-derivati-in-piemonte/
C’è un alone opaco, un fumo denso, che copre la questione
dei derivati della Regione Piemonte e del Comune di Torino. Per questo motivo
sono ancora in corso accertamenti della polizia tributaria locale e della procura
di Milano che si sta occupando dell’uso di questi strumenti finanziari da
parte di numerose amministrazioni locali.
Dai dati della GdF pubblicati dal Sole
24 Ore di oggi, si nota che una cosa è certa, e cioè che “enti
territoriali” di Regione, Provincia e Comune hanno derivati per un valore di
tre miliardi di euro, al centro di un’indagine della Corte dei Conti
piemontese. Un totale che è aumentato negli ultimi sei mesi con l’estensione
dell’inchiesta ai conti della Provincia, nonostante lo scorso anno Antonio
Saitta avesse definito i suoi conti “derivati
free”.
I contratti di sistemi derivati
firmati dal Comune di Torino e le operazioni finanziarie realizzate in Regione
erano già finite sotto l’occhio della Procura due anni fa dopo la trasmissione
«Report» e dopo un esposto presentato in procura dall’europarlamentare della
Lega Nord Mario Borghezio. Il
sostituto procuratore Paolo Toso, che si
occupa di reati contro la pubblica amministrazione, aveva seguito l’inchiesta
che, nella primavera scorsa, non sembrava aver portato all’iscrizione nel
registro degli indagati di funzionari o di politici, né aveva accertato reati.
Sulla
pericolosità e l’utilità degli strumenti finanziari derivati, c’è ancora molta
incertezza. Lo scorso febbraio il sindaco Sergio
Chiamparino affermava che il Comune, coi derivati, «ci sta
guadagnando una cifra di circa 7-8 milioni di euro». Lo scorso anno il 30
per cento del debito di Palazzo Civico ammontava a circa 3 miliardi e 100
milioni di euro. Era quindi circa 1 miliardo del debito che si poggiava su
contratti swap (una forma di assicurazione che
permette all’ente che ha contratto il debito di scommettere sull’andamento dei
tassi), firmati con istituti tra cui anche Ubs e J.P. Morgan, banche coinvolte
nell’inchiesta milanese. Stando sempre al Sole 24 Ore, inserto
Nord Ovest, il nuovo indebitamento è pari a 5,1 miliardi di euro.
A Torino non bastano le utility
Finanza
pubblica. Dal consolidato di Palazzo civico emerge un
indebitamento pari a 5,1 miliardi
di Marco Ferrando da Il
Sole 24 ore del 10/3/10 – pag. 23
Non basta il
contributo delle utility a salvare i conti del Comune di Torino, gravato
da una mole di debiti che supera il volume d'affari annuo. Fosse una holding,
Palazzo civico con tutte le sue partecipate avrebbe chiuso il bilancio 2008
con un fatturato di 4,46 miliardi, in crescita del 3,7% rispetto al 2007 e di
quasi cinque punti sull'anno prima (4,26). Seppur modesto, il risultato netto
sarebbe positivo (3,8 milioni nel 2008, contro i 50,3 dell'esercizio
precedente), ma a spiccare è l'indebitamento, fermo intorno quota 5,1
miliardi; il capitale investito supera i 9 miliardi, è vero, ma ci sono 4,6
miliardi di immobilizzazioni materiali che fanno capo al Comune (in caso di
necessità difficilmente liquidabili). Unico dato positivo, il fatto che la
holding presenti un margine operativo netto (305,8 milioni) superiore agli
oneri finanziari (247,4 milioni); se si guarda solo ai Comune, invece, l'Ebit
(97,4 milioni) risulta inferiore al carico degli interessi (132,3 milioni).
I numeri sono estratti
dal primo bilancio consolidato di Palazzo civico, esperimento contabile (tra i
primi in Italia) tentato su istanza dell'assessore al Bilancio, Gianguido
Passoni dal dipartimento di Economia aziendale dell'Università di Torino (referente
Luigi Puddu) insieme alla direzione partecipate guidata da Renzo Mora. Il
bilancio è stato presentato ieri nell'aula magna di Economia, e - per quanto
si tratti di un esercizio di stile - mette in evidenza una situazione delicata.
Sì, perché pur allargando il perimetro dei conti alle oltre 50 aziende
partecipate direttamente o indirettamente - alcune delle quali indiscutibilmente
pregiate, come Iride, Smat, Sagat - quello che emerge è un gruppo che produce
un valore aggiunto cinque volte superiore a un'azienda come Lavazza e
distribuisce un miliardo l'anno solo di stipendi, ma con una capacità di
manovra decisamente limitata rispetto alla zavorra del debito.
Niente di strano,
dunque, se a Palazzo civico si valuti ogni possibile strada utile al
risanamento. Già chiudere il bilancio di previsione 2010 non sarà facile, ma è
proprio sul fronte delle partecipazioni che la giunta Chiamparino sta
ragionando su possibili manovre d'emergenza da attuare entro la scadenza di
mandato, la primavera 2011. Impegnato in prima fila è il vicesindaco Tom
Dealessandri, che di qui ai prossimi 12 mesi ha individuato un percorso che
tocca tutti i settori più delicati: trasporti, acqua, ambiente ed energia. Sul
primo versante, «lo scorporo delle infrastrutture di trasporto cittadino è la
premessa naturale per la ricerca di un socio industriale», ricorda
Dealessandri; sfumata l'ipotesi della milanese Atm, la caccia al partner -
destinato ad acquistare una quota azionaria nel gruppo di corso Turati - sta
proseguendo all'estero.
Ma è in tema di energia e ambiente che il vicesindaco ha in mente l'operazione più ambiziosa: qui a giocare da protagonista sarebbe Iride, partecipata da Palazzo civico attraverso la Finanziaria sviluppo utilities, «che con l'ingresso di Enìa vede automaticamente allargato il proprio oggetto sociale sulle attività legate all'ambiente. Stiamo valutando la possibilità di far acquisire una quota di Amiat, che a sua volta potrebbe integrarsi con Trm», la società che sta costruendo il nuovo inceneritore. Infine, l'acqua, su cui Palazzo Civico può vantare una consistente quota di maggioranza su Smat, tra le società leader in Italia, sia per numeri che per competenze: «II controllo pubblico è fuori discussione, ma senz'altro si tratta di una realtà pronta per affrontare il mercato».