MUTUO SOCCORSO -
di Chiara Sasso
Di cosa
stiamo parlando?
CARTA settimanale 30 Maggio - 5 Giugno 2008
Di cosa stiamo parlando? L’incontro del Patto
di mutuo soccorso si è svolto a Riace, un piccolo
comune della Locride, milleseicento abitanti, una comunità che
si trova da anni e in piena solitudine a lavorare concretamente
su temi che molti conoscono solo per teoria. Recupero
del borgo medioevale: case abbandonate da emigranti
ora abitate da immigrati. Altre case a disposizione
per un turismo responsabile. Botteghe aperte: ceramica,
vetro, ricamo, tessitura in grado di dare lavoro rigorosamente
ad un riacese e un immigrato. Produzione di olio e
di marmellate. Il piccolo Comune stava spopolandosi
ed ora risorge. Riace Comune dell’accoglienza,
c’è scritto sul cartello stradale. Accoglienza
per quei profughi che sbarcano con i barconi a Lampedusa.
Facile trovare nei vicoli del paese bimbi che giocano,
palestinesi, curdi, eritrei, insieme ai bambini indigeni.
E’ tutto un film. Fichi d’india e colpi
al cuore per la bellezza della situazione. Grandi opere
sul territorio: recupero e bonifica di tutta una zona
disastrata negli anni, da alcuni tratti di strada è stato
tolto il cemento, al posto la pietra e materiale del
luogo. Angoli recuperati, dove c’era una discarica
abusiva riseminata l’erba. La raccolta differenziata
fatta con gli asini. Racconta il sindaco Domenico Lucano: “comprare
un mezzo costava troppo, i soldi a disposizione sono
stati utilizzati per fare una cooperativa, comprare
due asini, dare lavoro a due ragazzi di Riace”.
L’acqua è naturalmente pubblica, uno dei
pochi Comuni che ancora non l’ha ceduta e non
intende farlo. Di cosa stiamo parlando? Riace è un
Manifesto di buone pratiche, azioni concrete, realizzate,
un esempio di come si può vivere e promuovere
anche l’economia. Il luogo ideale per accogliere
l’incontro del Patto di solidarietà e
mutuo soccorso meridionale. Il titolo poteva essere:
Di cosa stiamo parlando? E’ qui sotto gli occhi,
realizzato, certo non facile, progetto da sostenere,
tuttavia concreto.
L’idea del Patto, è già stato
ricordato, è nato durante la marcia da Venaus
a Roma, un po’ a piedi un po’ in treno,
quindici giorni per attraversare mezza Italia e incontrare
comitati, associazioni. Chi era partito dalla valle
di Susa aveva alle spalle un bel po’ di mesi
dove la pratica quotidiana dei presidi, l’incontro
con tanti cittadini (fino a quel momento estranei alla
cosiddetta politica), aveva non poco sparigliato le
carte. Aveva depurato l’agire politico da modalità vecchie,
trite, fatte di lunghe analisi teoriche, contorsioni
dialettiche, riflessioni, ricerca dei distinguo fino
alla noia, faide aperte ecc Tutto sparito. La vita
nei presidi (a fine giugno saranno tre anni che a Borgone,
Bruzolo, Venaus si pratica) aveva (ha) ripulito l’aria
e le persone da retaggi negativi e autolesionisti.
E’ stato detto più volte che la qualità della
vita (al di là dell’impegno), in questi
anni è stato alto. L’opposizione alle
grandi opere è diventato un tutt’uno con
il piacere di riscoprire e praticare filiera corta,
consumi diversi. Buone pratiche fra persone che prima
di tutto hanno il piacere di stare insieme. E’ la
stessa storia che si sente raccontare dai presidi che
in questi anni sono nati sul territorio.
Gli incontri che ci sono stati come Patto di mutuo
soccorso, non sempre hanno riportato queste caratteristiche.
Spesso i presidianti, i veri protagonisti, si sono
ritrovati catapultati in un girone di interventi dove
i maestri della politica si sono presentati auto referenziali
perché (diciamolo) troppo ghiotto era il palcoscenico.
Tutto già visto.
Ma cos’è questo Patto? Più facile
dire quello che non è, quello che non vuole
diventare, per esempio un soggetto politico. Un social
forum, un insieme di sigle. Da più parti
si dice che stiamo vivendo un momento nuovo, se è così bisogna
fare uno sforzo e mettere da parte abitudini consolidate,
saper usare linguaggi diversi, un modo di stare insieme
che dia spazio alle relazioni, che metta al centro
la comunità più che
quella maledetta voglia di fare analisi politiche. Possibile
che nei presidi si riesca e quando il confronto si trasporta
da altra parte il rischio di inquinare tutto è evidente?
Il momento, inutile dirlo, è pesante, bisognerebbe
saper unire invece di dividere, unire tutti quei pezzi
dal sindacato, alle associazioni ambientaliste, che hanno
maturato una criticità vera, la partita non è più la
grande opera in sé ma la visione che si vuole
avere per il futuro. Bisognerebbe saper unire, ma è tutto
in salita. Ovunque ci sono brave persone, in Legambiente
o nel sindacato, ma si possono accettare posizioni così distanti
su grandi temi? l’ultimo banco di prova sarà il
nucleare. Per questo diventa fondamentale la pratica
diretta, sul campo, lo sporcarsi le mani, basta con i
tavoli tematici. Fondamentali le pratiche quelle che
hanno permesso il cambiamento delle persone che hanno
partecipato ai presidi. Comportamenti sul campo, messi
a frutto i famosi stili di vita. Non è più accettabile
fare grandi analisi e nello stesso tempo usare piatti
di plastica e bere acqua che si porta mille chilometri
addosso. Bisogna da subito stare al mondo in altro modo.
Bisogna che a questi incontri del Patto vi partecipino,
e siano loro a prendere la parola, persone che forse
non hanno alle spalle anni di militanza (vivaddio), ma
sono l’espressione di qualcosa di nuovo che si
sta muovendo. Soffocarli, espropriarli ancora una volta,
pretendere di rappresentarli è davvero folle.
La strada per uscirne e ricominciare forse è questa,
come ha detto un ragazzo di Grottaglie: al presidio vado
per ascoltare e imparare. Punto.
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