No Tav, No Mose, No Base Dal Molin,
No Ponte di Messina. E pure No Scorie in Basilicata,
No Coke a Tarquinia, No Tangenziale a Magenta,
No Triv (trivellazioni) in Val Di Noto. E prima
di tutto No Tav, il popolo contrario all’alta
velocità, che oggi
torna a marciare da Trana, in val Sangone, ad Avigliana,
in val di Susa. Dal Piemonte a Bolzano alla Sicilia,
non c’è grande opera senza un comitato
di cittadini che la contesti. Gente comune, casalinghe,
operai, impiegati, studenti, spesso senza tessera
di partito e alla prima esperienza politica, qualche
volta un passato di militanza che va fin troppo stretto.
Obbedire al proprio governo di riferimento che vuole
i treni ad alta velocità o fare di testa propria
a casa propria? Dire sì all’ampliamento
della base americana in nome della nuova santa alleanza
occidentale o lasciare per sempre il partito celodurista?
Ogni comitato ha la sua storia. Ogni storia si
ripete. Più di settanta volte. Quanti sono
i comitati che lo scorso dicembre hanno firmato
il «Patto
nazionale di solidarietà e mutuo soccorso».
Ventinove righe e un sito web – www.pattomutuosoccorso.org – che
stanno ridisegnando il modo di fare politica e
stanno dando un nuovo senso alla parola «partecipazione».
Scrivono i firmatari del Patto: «Il Patto è uno
strumento per chi lotta per la difesa del proprio
territorio, contro le grandi opere inutili e contro
lo scempio delle risorse ambientali ed economiche ».
Specificano: «Il Patto non è una sede
decisionale, è una cornice per valorizzare
le esperienze, è una sede in cui praticare
la solidarietà e l’aiuto reciproco».
Poi aggiungono, quasi a dettare le regole di come
rapportarsi con i partiti: «Il Patto non è un
tentativo per infiltrarsi di soppiatto nella politica
di palazzo nè intende farsi ospitare nei
palazzi della politica. Il Patto non ha governi
amici a cui guardare con fiducia, né ha
partiti a cui consegnare deleghe in bianco».
Regole chiare applicate con rigore: il 10 marzo
a Bolzano, dove alla prima manifestazione contro
l’ampliamento
della linea ferroviaria tra Innsbruck e Fortezza
(56 chilometri di gallerie sotto il Brennero) non
c’era una bandiera di partito; a Vicenza
il 17 febbraio, 100 mila in corteo contro l’ampliamento
della caserma Ederle e il progetto Dal Molin (dove
dovrebbe essere centralizzata tutta la 173° Divisione
aviotrasportata Usa), corteo in cui gli spezzoni
dei partiti e dei sindacati stavano dietro, molto
dietro i primi 40 mila vicentini in corteo solo
con le bandiere «No Dal
Molin».
Spiega Alessandro Borzaga, del comitato No Tav-Kein
BBT di Bolzano: «I partiti non rappresentano
più gli interessi locali. Tutti avvertono
una forte delusione. Il bello di queste iniziative
lo abbiamo visto in Val di Susa quando a lottare
contro i cantieri c’erano sindaci, preti,
comunisti, anarchici, gente comune senza appartenenze
di partito».
Quelli del Patto
dicono che togliere i simboli della politica ufficiale
moltiplica le adesioni alle iniziative: «Quando
non ci sono più bandiere di sinistra o di
destra è facile che si trovino obiettivi
comuni».
A Vizze, un piccolo centro del Trentino-Alto Adige
vicino a Vipiteno verso il passo del Brennero,
dove dovrebbero sorgere i primi cantieri per la
linea ad alta velocità, hanno promosso una
raccolta di firme. Su 2.619 abitanti, contando
pure i neonati, hanno firmato in 900 contro questa
grande opera. A Vicenza l’8 marzo, in una
infuocata seduta del consiglio comunale, presenti
anche gli esponenti del Comitato per il sì all’ampliamento
della base Usa, in un’ora – grazie
agli sms dei telefonini – si
sono mobilitati in 300 per ribadire il no al Dal
Molin. «Quelli più in difficoltà sono
i dirigenti locali di partito, anche quelli della
sinistra radicale che appoggiando il governo Prodi
che ha detto sì all’Alta velocità si
trovano davanti a un bivio: seguire le direttive
dei vertici nazionali o dare ascolto alla base?»,
infila il dito nella piaga Alessandro Borzaga,
48 anni, informatore medico scientifico. Nella
piaga c’era pure Franca Equizi, consigliere
comunale a Vicenza, prima tessera della Lega di
Umberto Bossi nel 1992, espulsa dal partito l’anno
scorso: «Meglio così. Mai avuto dubbi.
Io continuo ad essere d’accordo con l’autodeterminazione
dei popoli e per la salvaguardia dei territori ».
Formidabili i duelli tra la battagliera ex leghista
e il sindaco della città di
Vicenza Enrico Hullweck di Forza Italia, favorevole
all’ampliamento della base Usa, contrario
a un sondaggio che chiami i vicentini a dire la
loro. Anche se per anni sono stati insieme nella
Casa della Libertà, Franca Equizi non disdegna
oggi di manifestare con i No Global: «Se è per
questo anche dieci anni fa la Lega era contro la
guerra in Kosovo. Sono i politici che dovrebbero
preoccuparsi.
La tentazione è quella di fondare un altro
movimento».
Una tentazione che nel Patto
nazionale di solidarietà e mutuo soccorso
viene esclusa nero su bianco: «Non intendiamo
percorrere strade che ci portino a diventare partito».
Ma contro ogni desiderio c’è già chi
ha pensato di correre ai ripari. Marina dell’Assemblea
permanente contro l’ampliamento della base
Usa lo spiega chiaramente: «”No
Dal Molin” è un marchio registrato.
Non ci potrà mai essere un partito o un
simbolo elettorale con questo nome». Qualche
esperienza di base alle spalle, nessuna tessera,
Marina racconta che questo movimento è ancora
all’inizio: «È un’esperienza
nuova, chi viene dalla politica deve cambiare testa.
Questa trasversalità di
presenze non si era mai vista. Ci sono luoghi dove
in testa alla protesta ci sono i sindaci. In altri
posti i rappresentanti delle istituzioni seguono
più le direttive di partito». Una
differenza che mette in crisi interi modelli. Aldo
Bonomi, sociologo e fondatore del consorzio A.A.Ster,
cita l’esempio
più classico: «Di
fronte allo sviluppo di grandi opere i primi ad
andare in crisi sono i sindacati. C’è chi
giura che la cosa più importante sia il
lavoro e chi invece ritiene che sia il rispetto
della comunità».
I sindacati si dividono allora di fronte alle promesse
di grandi investimenti che porteranno ricchezza
al territorio. È successo
in Val Di Susa con l’Alta Velocità.
Lo stesso sta accadendo con l’ampliamento
della base Usa a Vicenza, dove il console americano
a Milano Deborah E. Graze pigia sull’acceleratore: «Nella
città veneta siamo il primo datore di lavoro
a Vicenza. Oggi spendiamo 176 milioni di euro l’anno,
nel 2011 saranno quasi il doppio». Una proposta
allettante destinata però a frantumarsi
davanti a quel cartello esibito al corteo dei 100
mila a Vicenza del 17 febbraio: «Se ampliano
la base americana non si potrà più circolare
più in via Tasso».
Analizza il sociologo Aldo Bonomi: «È la
vittoria dei localismi. Di fronte alle spinte della
globalizzazione, ogni luogo ridisegna la propria
dimensione. Vale per i comitati contro le grandi
opere come per le manifestazioni di quartiere per
avere una maggiore sicurezza. Gli unici fuori gioco
sono i politici che non hanno imparato a mettersi
in mezzo». E allora si torna al punto di
partenza. Ai partiti che non capiscono la gente.
Alla politica con la «P» maiuscola
spiazzata da questi comitati dove si trovano fianco
a fianco il sindaco e il parroco, il militante
di sinistra e quello di destra, i vicini di casa
soprattutto. Maurizio Piccione, di Villardora in
Valle di Susa, operaio, 37 anni, due figli, da
15 anni contro la Tav, mai avuta una tessera in
tasca, lo dice senza tanti giri di parole: «È sbagliato
dire che i comitati sono contro i partiti. È solo
difficile trovare partiti amici». I 12 punti
del rinato governo Prodi, quelli dove si dice sì senza «se» e
senza «ma» alla nuova linea dell’Alta
velocità, hanno spiazzato molti, a sinistra
e non solo. Per quelli del Patto è solo
una conferma. Maurizio Piccione è l’ultimo
a scomporsi: «Non guardiamo al colore dei
governi. La Val di Susa ci ha insegnato ad essere
trasversali. È la
cosa più destabilizzante».
Il comun denominatore, dal Piemonte al Veneto alla
Sicilia, diventa allora uno solo: «Questo
sviluppo infinito non ci piace». Con la voglia
di essere padroni in casa loro, i comitati contro
le trivellazioni petrolifere, i rigassificatori,
il ponte di Messina, la linea dell’Alta velocita
che passa dal Nord Ovest al Nord Est, da Berlino
alla Sicilia, tessono una rete per scambiare idee
ed esperienze. «Ogni
comitato deve portare avanti da solo la sua iniziativa.
Il Patto non è una sede decisionale».
Troppo spesso, sono i partiti a guardare e non
capire quello che sta succedendo. L’esponente
dei No Tav della Valle di Susa è esplicito: «I
partiti, di sinistra o di destra, hanno lo stesso
problema: non capiscono più la gente che
non vuole più delegare scelte fondamentali
della propria vita». Alla fine, anche se
sono passati 15 anni dalla prima volta che ha pensato
che fosse giusto fare qualcosa contro il supertreno
che doveva passargli davanti a casa, Maurizio Piccione
ammette: «Non
avrei mai immaginato quello che sarebbe successo
dopo». |