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Articolo pubblicato su Specchio - supplemento settimanale de La Stampa - 31 Marzo 2007


C'è chi dice No
Dall’alta velocità allo smaltimento rifiuti, non c’è grande opera che non porti in piazza un comitato di cittadini. Politici e sociologi avanzano spiegazioni. In val di Susa, intanto, si torna a sfilare

FABIO POLETTI

No Tav, No Mose, No Base Dal Molin, No Ponte di Messina. E pure No Scorie in Basilicata, No Coke a Tarquinia, No Tangenziale a Magenta, No Triv (trivellazioni) in Val Di Noto. E prima di tutto No Tav, il popolo contrario all’alta velocità, che oggi torna a marciare da Trana, in val Sangone, ad Avigliana, in val di Susa. Dal Piemonte a Bolzano alla Sicilia, non c’è grande opera senza un comitato di cittadini che la contesti. Gente comune, casalinghe, operai, impiegati, studenti, spesso senza tessera di partito e alla prima esperienza politica, qualche volta un passato di militanza che va fin troppo stretto. Obbedire al proprio governo di riferimento che vuole i treni ad alta velocità o fare di testa propria a casa propria? Dire sì all’ampliamento della base americana in nome della nuova santa alleanza occidentale o lasciare per sempre il partito celodurista?

Ogni comitato ha la sua storia. Ogni storia si ripete. Più di settanta volte. Quanti sono i comitati che lo scorso dicembre hanno firmato il «Patto nazionale di solidarietà e mutuo soccorso». Ventinove righe e un sito web – www.pattomutuosoccorso.org – che stanno ridisegnando il modo di fare politica e stanno dando un nuovo senso alla parola «partecipazione». Scrivono i firmatari del Patto: «Il Patto è uno strumento per chi lotta per la difesa del proprio territorio, contro le grandi opere inutili e contro lo scempio delle risorse ambientali ed economiche ». Specificano: «Il Patto non è una sede decisionale, è una cornice per valorizzare le esperienze, è una sede in cui praticare la solidarietà e l’aiuto reciproco». Poi aggiungono, quasi a dettare le regole di come rapportarsi con i partiti: «Il Patto non è un tentativo per infiltrarsi di soppiatto nella politica di palazzo nè intende farsi ospitare nei palazzi della politica. Il Patto non ha governi amici a cui guardare con fiducia, né ha partiti a cui consegnare deleghe in bianco».

Regole chiare applicate con rigore: il 10 marzo a Bolzano, dove alla prima manifestazione contro l’ampliamento della linea ferroviaria tra Innsbruck e Fortezza (56 chilometri di gallerie sotto il Brennero) non c’era una bandiera di partito; a Vicenza il 17 febbraio, 100 mila in corteo contro l’ampliamento della caserma Ederle e il progetto Dal Molin (dove dovrebbe essere centralizzata tutta la 173° Divisione aviotrasportata Usa), corteo in cui gli spezzoni dei partiti e dei sindacati stavano dietro, molto dietro i primi 40 mila vicentini in corteo solo con le bandiere «No Dal Molin». Spiega Alessandro Borzaga, del comitato No Tav-Kein BBT di Bolzano: «I partiti non rappresentano più gli interessi locali. Tutti avvertono una forte delusione. Il bello di queste iniziative lo abbiamo visto in Val di Susa quando a lottare contro i cantieri c’erano sindaci, preti, comunisti, anarchici, gente comune senza appartenenze di partito».

Quelli del Patto dicono che togliere i simboli della politica ufficiale moltiplica le adesioni alle iniziative: «Quando non ci sono più bandiere di sinistra o di destra è facile che si trovino obiettivi comuni». A Vizze, un piccolo centro del Trentino-Alto Adige vicino a Vipiteno verso il passo del Brennero, dove dovrebbero sorgere i primi cantieri per la linea ad alta velocità, hanno promosso una raccolta di firme. Su 2.619 abitanti, contando pure i neonati, hanno firmato in 900 contro questa grande opera. A Vicenza l’8 marzo, in una infuocata seduta del consiglio comunale, presenti anche gli esponenti del Comitato per il sì all’ampliamento della base Usa, in un’ora – grazie agli sms dei telefonini – si sono mobilitati in 300 per ribadire il no al Dal Molin. «Quelli più in difficoltà sono i dirigenti locali di partito, anche quelli della sinistra radicale che appoggiando il governo Prodi che ha detto sì all’Alta velocità si trovano davanti a un bivio: seguire le direttive dei vertici nazionali o dare ascolto alla base?», infila il dito nella piaga Alessandro Borzaga, 48 anni, informatore medico scientifico. Nella piaga c’era pure Franca Equizi, consigliere comunale a Vicenza, prima tessera della Lega di Umberto Bossi nel 1992, espulsa dal partito l’anno scorso: «Meglio così. Mai avuto dubbi. Io continuo ad essere d’accordo con l’autodeterminazione dei popoli e per la salvaguardia dei territori ». Formidabili i duelli tra la battagliera ex leghista e il sindaco della città di Vicenza Enrico Hullweck di Forza Italia, favorevole all’ampliamento della base Usa, contrario a un sondaggio che chiami i vicentini a dire la loro. Anche se per anni sono stati insieme nella Casa della Libertà, Franca Equizi non disdegna oggi di manifestare con i No Global: «Se è per questo anche dieci anni fa la Lega era contro la guerra in Kosovo. Sono i politici che dovrebbero preoccuparsi. La tentazione è quella di fondare un altro movimento».

Una tentazione che nel Patto nazionale di solidarietà e mutuo soccorso viene esclusa nero su bianco: «Non intendiamo percorrere strade che ci portino a diventare partito». Ma contro ogni desiderio c’è già chi ha pensato di correre ai ripari. Marina dell’Assemblea permanente contro l’ampliamento della base Usa lo spiega chiaramente: «”No Dal Molin” è un marchio registrato. Non ci potrà mai essere un partito o un simbolo elettorale con questo nome». Qualche esperienza di base alle spalle, nessuna tessera, Marina racconta che questo movimento è ancora all’inizio: «È un’esperienza nuova, chi viene dalla politica deve cambiare testa. Questa trasversalità di presenze non si era mai vista. Ci sono luoghi dove in testa alla protesta ci sono i sindaci. In altri posti i rappresentanti delle istituzioni seguono più le direttive di partito». Una differenza che mette in crisi interi modelli. Aldo Bonomi, sociologo e fondatore del consorzio A.A.Ster, cita l’esempio più classico: «Di fronte allo sviluppo di grandi opere i primi ad andare in crisi sono i sindacati. C’è chi giura che la cosa più importante sia il lavoro e chi invece ritiene che sia il rispetto della comunità». I sindacati si dividono allora di fronte alle promesse di grandi investimenti che porteranno ricchezza al territorio. È successo in Val Di Susa con l’Alta Velocità. Lo stesso sta accadendo con l’ampliamento della base Usa a Vicenza, dove il console americano a Milano Deborah E. Graze pigia sull’acceleratore: «Nella città veneta siamo il primo datore di lavoro a Vicenza. Oggi spendiamo 176 milioni di euro l’anno, nel 2011 saranno quasi il doppio». Una proposta allettante destinata però a frantumarsi davanti a quel cartello esibito al corteo dei 100 mila a Vicenza del 17 febbraio: «Se ampliano la base americana non si potrà più circolare più in via Tasso».

Analizza il sociologo Aldo Bonomi: «È la vittoria dei localismi. Di fronte alle spinte della globalizzazione, ogni luogo ridisegna la propria dimensione. Vale per i comitati contro le grandi opere come per le manifestazioni di quartiere per avere una maggiore sicurezza. Gli unici fuori gioco sono i politici che non hanno imparato a mettersi in mezzo». E allora si torna al punto di partenza. Ai partiti che non capiscono la gente. Alla politica con la «P» maiuscola spiazzata da questi comitati dove si trovano fianco a fianco il sindaco e il parroco, il militante di sinistra e quello di destra, i vicini di casa soprattutto. Maurizio Piccione, di Villardora in Valle di Susa, operaio, 37 anni, due figli, da 15 anni contro la Tav, mai avuta una tessera in tasca, lo dice senza tanti giri di parole: «È sbagliato dire che i comitati sono contro i partiti. È solo difficile trovare partiti amici». I 12 punti del rinato governo Prodi, quelli dove si dice sì senza «se» e senza «ma» alla nuova linea dell’Alta velocità, hanno spiazzato molti, a sinistra e non solo. Per quelli del Patto è solo una conferma. Maurizio Piccione è l’ultimo a scomporsi: «Non guardiamo al colore dei governi. La Val di Susa ci ha insegnato ad essere trasversali. È la cosa più destabilizzante».

Il comun denominatore, dal Piemonte al Veneto alla Sicilia, diventa allora uno solo: «Questo sviluppo infinito non ci piace». Con la voglia di essere padroni in casa loro, i comitati contro le trivellazioni petrolifere, i rigassificatori, il ponte di Messina, la linea dell’Alta velocita che passa dal Nord Ovest al Nord Est, da Berlino alla Sicilia, tessono una rete per scambiare idee ed esperienze. «Ogni comitato deve portare avanti da solo la sua iniziativa. Il Patto non è una sede decisionale». Troppo spesso, sono i partiti a guardare e non capire quello che sta succedendo. L’esponente dei No Tav della Valle di Susa è esplicito: «I partiti, di sinistra o di destra, hanno lo stesso problema: non capiscono più la gente che non vuole più delegare scelte fondamentali della propria vita». Alla fine, anche se sono passati 15 anni dalla prima volta che ha pensato che fosse giusto fare qualcosa contro il supertreno che doveva passargli davanti a casa, Maurizio Piccione ammette: «Non avrei mai immaginato quello che sarebbe successo dopo».

 

Ultimo aggiornamento: Mercoledì, 4-apr-07