Vicenza,
17 Febbraio 2007
Migliaia di bandiere NO Dal Molin
e NO TAV sventolano, intrecciate le une alle
altre, davanti ai nostri occhi: in questo pazzo
inverno senza freddo e senza neve ci lasciamo
avvolgere da un sole caldo senza pensare, per
un momento almeno, all’effetto serra
e alle sue cause. Poco più di un anno
fa ci aveva accolti il vento gelido e la neve
di un dicembre che non dimenticheremo.
Oggi Vicenza, ieri Venaus: il clima sta proprio cambiando ci diciamo. Ma
oggi non pensiamo ai mutamenti climatici
che affliggono il pianeta, ma a qualcosa che, al contrario, ci riempie
di speranza. Le voci che si alternano al microfono del palco montato
in piazza Campo Marzo parlano una lingua che riconosciamo come nostra,
così lontana dal linguaggio ambiguo di chi pesa ogni parola
per dire e non dire: sono voci che non spargono promesse ma inducono
speranze, voci che trasmettono entusiasmi, non sono voci di professionisti
della politica che non comunicano più nulla. E sono voci di
donne.
Sì,
il clima sta proprio cambiando. Quante volte,
negli anni, ci siamo guardati intorno contandoci:
centomila, un milione, addirittura tre milioni!
Non possono non vederci, non possono non ascoltarci
ci siamo detti più
volte. E invece no, possono, eccome. Ed ogni
volta qualcosa di noi si perdeva: un po’ della
nostra forza, del nostro entusiasmo, della
nostra fiducia. E qualcuno tra noi forse è arrivato
a chiedersi se era poi così vero che
“un altro mondo è possibile”;
qualcuno forse, guardando alle battaglie
perse, ai diritti negati, alla pace sconfitta
da guerre preventive e umanitarie ha rischiato
di rassegnarsi al pensiero che un altro mondo è in
estinzione. E invece no, è arrivata
Vicenza e la lotta al Dal Molin, e prima
c’era stata Venaus. E in quell’otto
dicembre di poco più di un anno fa
si cominciava a raccogliere quel che negli
anni precedenti era stato seminato in Val
di Susa: le decine di migliaia di persone
accorse a Venaus si aggiungevano alle migliaia
della valle che riconquistavano il diritto
ad essere protagonisti e non sudditi. Pochi
giorni dopo a Torino in cinquantamila arrivati
da tutte le regioni rispondevano a un nuovo
appello in cui si chiedeva di manifestare
contro il progetto folle di una linea TAV
Torino-Lione inutile, dai costi insostenibili,
che comportava gravi rischi per la salute
e aveva un impatto devastante sul territorio.
C’è
un filo che lega Venaus a Vicenza: è quello di una solidarietà
che non corre solamente in aiuto di chi ha bisogno ma ne condivide
le ragioni; che riconosce nei diritti calpestati dal TAV in Val di
Susa gli stessi diritti calpestati dalle basi militari del Veneto,
da un improbabile ponte sullo stretto di Messina, dalla zincheria
di San Pietro di Rosà, dagli inceneritori sparsi qua e là e
da tutte le grandi opere inutili e dannose che devastano il paese
e arricchiscono speculatori e faccendieri.
In quella fredda giornata di dicembre, a Venaus, nasceva una speranza
che si è alimentata nei mesi successivi da una fitta rete
di incontri e di relazioni: non grandi convegni con illustri ospiti
al tavolo della presidenza tanto esperti e preparati quanto incapaci
nel comunicare; non inutili forum virtuali su web che creano l’illusione
del confronto e della partecipazione, ma incontri veri, in carne
ed ossa, spesso in uno dei sempre più numerosi presidi, magari
con un po’ di salame e un bicchiere di vino e un invito a dormire
nel divano letto del salotto o nella palestra della scuola. Incontri
conviviali sì, ma non per questo meno istruttivi di tanti
seminari e tavole rotonde. Ci si incontra, ci si conosce, si parla
delle nostre esperienze, si definiscono percorsi insieme, si fissano
appuntamenti, si fanno progetti: e soprattutto si ascolta. Esattamente
l’opposto di ciò
che il mondo della politica e dei partiti oggi ci offre.
Che
sia per questo che ci guardano con sospetto? Perché
colgono le potenzialità di questo modo di “fare politica”
(sì, proprio di questo si tratta) che toglie loro spazi? Forse è proprio
questo il messaggio che la Val di Susa ha saputo lanciare e in molti
oggi raccolgono: non continuiamo a parlare di partecipazione, a chiedere
partecipazione: pratichiamola nei fatti. E i loro sindaci hanno imparato
ad ascoltare. “Valsusa e Vicenza, non c’è differenza”
recitava uno striscione, ed era al tempo stesso un’affermazione
e un auspicio.
Il
giorno dopo Vicenza il nostro capo del governo ripete:
“Sono sereno”. Contento lui… sembra piuttosto
un incosciente, e glielo hanno ricordato ieri i vicentini. La campagna
diffamatoria e terroristica lanciata nei giorni precedenti e amplificata
in misura disgustosa dai media tendeva a rinchiuderli tutti in casa:
loro non si sono fatti intimorire e in migliaia dalle strade e poi
dal palco hanno detto che il governo “amico” li ha traditi
e mentre raccoglievano l’applauso anche dei non vicentini hanno
promesso di ripagarlo alla prossima occasione. Hanno ricordato che “qualche
volta è segno di debolezza cambiare idea, ma è segno
di grande intelligenza quando ci si rende conto che è sbagliata”,
e hanno portato un saluto anche al loro sindaco: “se fossi
io il sindaco, per dignità personale, domani consegnerei la
lettera di dimissioni” hanno detto. Intanto a Napoli,
in Sicilia, in Sardegna altri che non avevano potuto raggiungere
Vicenza manifestavano “insieme” a Vicenza.
Il
giorno dopo Vicenza i grandi quotidiani parlano di scampato pericolo
e non trovando nulla di appetitoso cui aggrapparsi per supportare
le tesi ed alimentare i veleni sparsi a piene mani il giorno prima
si limitano a nasconere ciò che non deve essere visto: la
vistosa presenza NO TAV. Sul sito di “Repubblica” c’è addirittura
un “fotoracconto”
della manifestazione: 30 belle foto, inquadrature ricercate, viste
panoramiche e piccoli dettagli che rappresentano efficacemente il
clima sereno e l’assenza di tensioni ma… non una bandiera
NO TAV.
Quel filo di democrazia partecipata che unisce oggi la Val di Susa
a Vicenza si divide ogni giorno in altri fili che si intersecano
e raggiungono chissà quante altre realtà: questi fili
vengono visti da lor signori come veicoli di contagio di una nuova
epidemia: non riuscendo a trovare gli antidoti tentano di nascondere
la malattia.
A
dire NO al Dal Molin c’era certamente anche chi, tornato
molte volte da oceaniche manifestazioni romane aveva provato poi,
visti i risultati, un forte senso di impotenza. Oggi poco importa
se a Vicenza eravamo duecentomila o meno, quello che conta sono
le parole che abbiamo sentito: "La Vicenza che non parla,
che tace, Vicenza del 'sì signor paron, comandi', Vicenza
ha alzato la testa". Sì, il clima sta cambiando.
Coraggio,
continuiamo tutti insieme a spargere germi in giro…
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