di Alex Zanotelli (pubblicato su Nigrizia di Aprile 2006)
Invitato dalle amministrazioni comunali, sono stato in Val di Susa. Ho partecipato alla riflessione sulla loro resistenza alla linea ferroviaria di alta velocità (Tav) Lione-Torino, portando l’esperienza che ha bloccato la privatizzazione dell’acqua a Napoli, ma soprattutto l’esperienza della società civile che si va organizzando in Italia.
Conoscevo già da prima molti di questi comuni come “comuni solidali”: hanno dato una grossa mano alla campagna “WNairobiW”, sul diritto alla casa dei baraccati, e hanno preso parte alla Carovana della Pace promossa dai comboniani. Ed ero amico di Chiara Sasso prima che diventasse una delle esponenti di punta del movimento della valle.
Al di là dell’incontro con la gente e del franco dibattito, la cosa più bella è stato vedere che questa valle ha ritrovato la sua unità e un suo senso di stare al mondo. Noi, io per primo, vediamo i cittadini della Valle di Susa dal di fuori, li percepiamo come coloro che hanno resistito. Ma qui c’è molto di più. Qui c’è una valle dove si stanno sperimentando nuovi processi di democrazia partecipata. Un esempio: le decisioni delle 14 amministrazioni comunali vengono prese alla fine di lunghissimi dibattiti e spesso c’è il convergere su temi precisi di tutte le forze politiche; dopodiché, queste decisioni vengono discusse e rielaborate davanti a grandi assemblee popolari e, infine, portate in seno al consiglio dei sindaci della valle. Insomma, le cose fondamentali sono discusse da tutti.
Questo è un aspetto positivo e straordinario, queste sono modalità partecipative alle quali non siamo abituati. Oggi si parla tanto di democrazia, ma la democrazia ci viene sottratta, giorno dopo giorno, senza che ce ne accorgiamo.
Credo sia importante mettere in comunicazione questa modalità di resistenza della Valle di Susa con tante altre resistenze. In parte sta già avvenendo, tanto che io ho incontrato per la prima volta gli amici del “No Tav” a Messina e ho partecipato con loro alla manifestazione (20mila persone) per dire “no” al ponte sullo stretto. A chi serve questo ponte? Perché non sistemano l’autostrada Salerno-Reggio Calabria e non aggiungono un secondo binario allo stesso tratto ferroviario?
Perché non elettrificano la linea ferroviaria Taranto-Reggio Calabria? Allora ha ragione Beppe Grillo quando dice: «Strano, ci vogliono far guadagnare 20 minuti con il ponte, ma per arrivare allo stretto da Salerno perdiamo 10 ore!».
È necessario che questi due movimenti s’incontrino, si mettano insieme, perché entrambi si oppongono a un modello di sviluppo insostenibile, che ci sta portando letteralmente alla morte. Le grandi opere che si vogliono fare non servono al benessere della gente comune. E, infatti, sempre più gente comune comincia a riflettere su temi quali la decrescita e la sobrietà felice... Per questo bisogna dire – insieme – “no” anche alle megacentrali elettriche (c’è la bella esperienza di Oflaga nel Bresciano), “no” agli inceneritori dei rifiuti (quello di Acerra lo vogliono collocare in un’area che è già tra le più inquinate del paese), “no” alla privatizzazione dell’acqua.
E la protagonista di tutte queste “resistenze” è la società civile organizzata, composta da piccoli gruppi, comunità di base, cooperative che criticano questo sistema, lottano in maniera nonviolenta e cercano di costruire un’alternativa.
Come organizzare questa realtà di base? Intanto, intessendo una rete di relazioni sempre più vasta. L’ho detto recentemente anche a un’assemblea della Rete di Lilliput: non chiudiamoci in piccole reti, restiamo aperti, creiamo sinergia; fino a far diventare questa società civile organizzata un soggetto politico. È vero: non sappiamo ancora quali connotati potrà avere questo “soggetto politico”; di sicuro, però, non sarà un altro partito. È anche vero che nella nostra tradizione nazionale la società civile ha sempre affidato ai partiti la rappresentanza. Ma oggi i partiti e i governi sono prigionieri del potere economico-finanziario, quindi non decidono più in proprio ma devono seguire decisioni altrui. Perciò, sono convinto che solo una società civile consapevole della posta in gioco potrà forzare i partiti a cambiare strada.
La posta in gioco, guarda caso, sono tutti beni primari – acqua, energia, assetto del territorio in primis – senza una seria gestione dei quali non ci può essere futuro. E non ci può essere neanche democrazia. Se una comunità locale non ha la possibilità di decidere su queste cose fondamentali, è inutile parlare di democrazia.
Dobbiamo far sì che
l’economia e la finanza obbediscano ai rappresentanti della polis