Inceneritori, pericoloso viverci accanto
Riparte l’offensiva dei comitati contro il termovalorizzatore del Gerbido
di Luisa Fassino da Luna
Nuova del 15/1/08 – pag.3
Vivere in una zona nel raggio di azione di un inceneritore aumenta la probabilità di contrarre malattie più o meno gravi, a causa dell'immissione sistematica e continua nell'atmosfera di fumi e polveri fini, costituite da nanoparticelle di sostanze chimiche. È questa la tesi di tutti i comitati anti-inceneritori e associazioni ambientaliste che da anni si oppongono agli impianti di termovalorizzazione e che battono il territorio organizzando seminari informativi sui rischi per la salute. L'elenco va da dalle malattie respiratorie e cardiocircolatorie, alle alterazioni endocrine, immunitarie e neurologiche, ma soprattutto riguarda l'incidenza in maniera consistente della comparsa dei tumori. La causa va individuata nell'esposizione alla diossina e alle polveri sottili.
Le monoparticelle si inseriscono
nel metabolismo umano e nelle cellule e da lì fino al dna, a cui segue la
formazione di un tumore. «Un termovalorizzatore - spiega la biologa
Rossana Novara -produce diossina, circa 9 nanogrammi per chilogrammo che
supera quella dei 7 nanogrammi per chilogrammo sopportati dal nostro sistema
immunitario». Diossine e furani si legano alle piante e attraverso gli
animali ai grassi, quindi al latte, provocando danni per accumulo
nell'organismo. Scorie e ceneri concentrate poi possono provocare inquinamento
ambientale e nelle falde acquifere, problemi respiratori e intestinali e un
incremento delle allergie.
Secondo l'associazione
"Medici per l'ambiente", i primi a essere colpiti sono le persone più
fragili, anziani, bambini e donne in gravidanza. In un recente appello al
governo espongono la tesi della rivista scientifica americana Lancet che nel
2006 pubblicò uno studio condotto da ricercatori di Harvard che annunciava come
un bambino su sei presenterebbe danni documentabili al sistema nervoso e
problemi comportamentali che vanno dal deficit intellettivo, all'iperattività
fino all'autismo.
Nel 2000, l’American Journal of
Epidemiology ha pubblicato uno studio effettuato da ricercatori
dell'Università di Besançon, in Francia, che dichiarava che gli abitanti che
vivono nei pressi dell'inceneritore per rifiuti urbani di Besançon hanno una
probabilità di contrarre un cancro superiore a quella del resto della popolazione,
e le cui conclusioni sono compatibili con una responsabilità potenziale delle
diossine prodotte dall'inceneritore.
A marzo2007 è stato diffuso il Report Enhance Health, finanziato dall'Unione Europea, contenente, come esempio italiano, uno studio condotto nel comune di Forlì, quartiere Coriano, dove sono ubicati due inceneritori. L'indagine ha riguardato l'esposizione della popolazione a metalli pesanti nell'arco dei cinque anni nell'area di residenza in un raggio di 3,5 chilometri intorno ali'impianto. Dai risultati emerge un aumento del rischio di morte, specialmente nella popolazione femminile, correlato all'esposizione di metalli pesanti, tra il 7 e il 17 per cento. La mortalità per tumori cresce dal 17 al 54 per cento mentre per i sarcomi l'incremento arri va addirittura al 900 per cento. A fronte di questi dati, l'associazione Medici per l'ambiente punta il dito contro l'amministrazione che ha deciso l'ampliamento dell'impianto di Forlì nonostante il parere contrario del dipartimento di prevenzione dell'Asl che, dato l'alto tasso di inquinamento sul territorio, chiedeva di garantire il mantenimento dello stesso livello dell'emissione a camino degli inquinanti.
L'ultimo episodio eclatante è di
dicembre, quando vengono trovate tracce di diossina nel latte di tre allevatori
dell'hinterland di Brescia, sede di uno dei più grandi impianti di
incenerimento,o termovalorizzazione, d'Italia. Il valore del prodotto bloccato
dalla Centrale del latte oscillava tra i 6,2 e i 6,5 picogrammi (miliardesimi
di milligrammi, ndr), su un limite di legge che, sommando diossine e Pbc, non
deve superare i 6 picogrammi. E mentre non si parla di collegamenti tra la
chiusura delle imprese agricole con l'impianto di incenerimento, negli ultimi
cinque anni nella zona sono stati chiusi alle coltivazioni oltre 300 ettari a
causa dell'inquinamento, mentre sono stati banditi i campi a foraggio, in favore
di quelli di mais, non attaccabili dal Pcb.