UN TAV TIRA L’ALTRO
16/10/2006
Di Marco Cedolin
La questione del TAV in Val di
Susa è ormai sul tappeto da quasi 15 anni, ma il braccio di ferro che coinvolge
da un lato le amministrazioni comunali ed i cittadini della Valle e dall’altro
il governo, la Regione Piemonte e la Provincia di Torino ha delle costanti che
si ripropongono in maniera ripetitiva periodicamente.
Ogni qualvolta il “supertreno”,
come è accaduto in questo ultimo periodo, si ritrova a giacere su un binario
morto ecco accendersi una sorta di tempesta mediatica finalizzata a riproporlo
all’attenzione generale nell’improbabile ruolo di motore dello sviluppo di
Torino, del Piemonte e dell’Italia intera.
Anche in questi giorni, come già
molte volte in passato, le dichiarazioni di uomini politici, industriali,
giornalisti ed esperti di comodo invadono le pagine dei giornali ed i
palinsesti dei TG nel velleitario tentativo di dimostrare quanto l’opera sia
strategica, importante, necessaria, imprescindibile e foriera di ogni genere di
ricaduta positiva, anche di quelle che con una linea ferroviaria non hanno
veramente nulla a che fare.
L’attuale Presidente della Regione Mercedes Bresso e Pininfarina
(che ormai si avvale dell’apporto di tutti i membri della sua famiglia) sono i
veri precursori di questo “allarmismo urlato” se pensiamo che già nel 1991
prevedevano entro breve tempo la saturazione della linea storica che oggi dopo
15 anni è sfruttata solamente al 37% delle sue potenzialità.
Il Sindaco di Torino Sergio
Chiamparino, il Ministro Di Pietro ed il Presidente torinese di Confindustria
Tazzetti sono invece entrati nel “club” più recentemente ma con il loro
berciare scomposto si sono già ritagliati un ruolo da protagonisti.
Oltre al solito coacervo di
amenità assortite che ormai odora di stantio, concernente il pericolo
d’isolamento per il Piemonte e la necessità imprescindibile di un’opera che pur
non avendo motivazioni di sorta risulta comunque indispensabile, la “banda del
TAV” è riuscita questa volta ad estrarre dal cilindro qualcosa di nuovo.
La Presidente Bresso ci ha messi
al corrente del drammatico pericolo che la Svizzera, facendo leva sulle nostre
incertezze, riesca ad usurparci quel ruolo di corridoio di transito dal quale
dipende buona parte del nostro futuro, destinandoci in questo modo a decenni
d’isolamento forzato dal resto d’Europa.
Di Pietro dopo la grammatica ha
messo in discussione anche la geografia affermando che la linea storica deve
affrontare un dislivello di 1800 metri, come se Bussoleno fosse un paese del
Polesine e Bardonecchia si trovasse sul colle del Monginevro.
Il buon Tazzetti si è detto pronto
ad organizzare una grande marcia SI TAV sulla falsariga di quella dei 40.000
colletti bianchi che nel 1980 “salvarono” la FIAT, dimenticando che per mettere
in atto un simile proposito bisognerebbe anche avere i danari per pagare questi
facinorosi come a suo tempo fece la famiglia Agnelli.
Sergio Chiamparino si è scoperto
escursionista fai da te ed ha espresso la volontà di praticare trekking sulle
pendici del Musinè, dove stando attento alle vipere si produrrà nel dipingere
un graffito inneggiante al TAV.
La proposta più innovativa e per
molti versi disarmante è però arrivata ancora dalla bocca della Bresso che
riesumando un progetto da lei proposto quando sedeva in provincia, vecchio e
dimenticato quasi quanto i suoi libri sull’ecologia ed i piaceri della lentezza e della contemplazione, prende in
esame un tracciato alternativo a quello sul quale si è discusso fino ad oggi.
Proprio intorno a questo progetto,
emerso all’uopo da qualche recondito andito e concernente il passaggio del TAV
per un lungo tratto in Val Sangone per poi debordare in Val di Susa solo nella
parte terminale del tracciato, si stanno sempre più concentrando le attenzioni
della stampa in questi ultimi giorni.
In merito a questo argomento Mario
Virano, il presidente del fantomatico osservatorio che porta il suo nome,
incontrerà a breve il deputato di Forza Italia Osvaldo Napoli per saggiare la
disponibilità a prendere in considerazione il progetto da parte dei comuni
della Val Sangone. Le prime dichiarazioni dei sindaci e di Osvaldo Napoli
sembrano trasudare grande apertura ma come sempre accade in questi casi nessuno
si è preoccupato di domandarsi cosa ne penseranno le popolazioni interessate
una volta che avranno preso coscienza del progetto.
Per disincagliare il TAV dalle
sabbie mobili nel quale è impaludato, questa volta si sta dunque lavorando
veramente a 360 gradi, fingendo di dimenticare che anche partendo dalla Val
Sangone la tratta dovrebbe passare per quella cruna dell’ago chiamata Valle di
Susa dove la gente grida “sarà dura” e il TAV non vuole vederlo neppure in
fotografia.