Vallette, i sindaci alla sbarra
Iniziato il
processo a carico di Simona Pognant e Mauro Russo per i fatti del 6 Dicembre
2005:
sono
accusati di lesioni a due poliziotti.
di Massimiliano Borgia da
Luna Nuova del 15/4/11 – pag. 3
Andrà per le lunghe il processo in cui sono imputati Mauro Russo e Simona Pognant, rispettivamente sindaco di Chianocco ed ex sindaca di Borgone. La difesa delle parti civili, l'accusa e la difesa hanno convocato una trentina di testimoni. In più, la prossima udienza è stata fissata addirittura al 5 ottobre.
Comunque la tetra aula
bunker del complesso carcerario delle Vallette da martedì ha di nuovo qualcosa
da ospitare. Qui, nelle due file opposte di gabbie chiuse con vetri
antiproiettili, munite tutte di microfoni e accessi da porte blindate
indipendenti, sono stati seduti i mafiosi del terribile clan dei catanesi,
quelli che uccisero il procuratore Caccia e i terroristi di Prima Linea.
Allora, per entrare in aula si doveva passare al metal detector e fare
registrare gli estremi dei documenti. Fuori, prima delle altissime sbarre
protette dalle telecamere sostavano autoblindo con la torretta aperta e agenti
con i giubbotti antiproiettile.
Questa volta, a stare
nel luogo dei mafiosi e dei seguaci della lotta armata, ci sono due miti
personaggi: Pognant Simona, professione vigile del fuoco, e Russo Mauro, professione
impiegato. Il 6 dicembre del 2005 erano due dei sindaci mobilitati per evitare
che la rabbia dei loro concittadini per lo sgombero violento di Venaus
degenerasse in vendetta.
Ora sono accusati da
due agenti, Marco Avola e Francesco De Rosa, che allora facevano parte di un reparto
mobile che aveva partecipato allo sgombero e cercava di tornare alla caserma di
via Veglia a Torino. La prima denuncia per resistenza a pubblico ufficiale e
lesioni gravi si è trasformata in un'imputazione del Pm Patrizia Caputo per le
sole lesioni gravi.
Nella lunga fila degli
scranni dei giudici che ospitavano i giudici popolari della Corte d'Assise c'è
seduta solo una donna, giudice monocratico, Alessandra Daniele, che ha prestato
servizio a Susa.
Per tenere a bada la
presunta calata dei No Tav che solo all'ultimo hanno fatto sapere che non
avrebbero organizzato nessun presidio di solidarietà, ci sono un trentina di
poliziotti e carabinieri, qualche agente della Digos, più un'unità cinofila. Il
metal detector non funziona più e l'ingresso è rapido previo un controllo superficiale.
Nell'aula hanno rimesso a posto i banconi delle lunghe serie di avvocati che
costituivano i collegi difensivi dei maxiprocessi.
Ma oggi ci sono solo
una trentina di uditori. Schierati in fila 15 sindaci della bassa valle, con la
fascia tricolore, senza distinzione tra chi è con l'Osservatorio e chi è
contro. C'è anche il presidente della Comunità montana Sandro Plano (Pd) e c'è
anche Giorgio Vair, vicesindaco di San Didero, che dovrebbe essere al
tribunale di Susa, al "suo" processo, quello dove è citato in
giudizio con Perino e la Bellone daLtf. L'unico a non indossare la fascia
tricolore, seduto dietro i colleghi, è Antonio Ferrentino, che sei anni fa era
il loro portavoce ed era il punto di riferimento anche del movimento. Oggi non
ha più un ruolo nell' opposizione al Tav, ma allora era quello che con la sua
tattica dilatoria e il suo giocare con i cavilli riusciva a utilizzare la
mobilitazione del movimento per rafforzare la tattica del rinvio. Una
strategia che ha pagato. Pognant e Russo allora erano molto legati a Ferrentino
e, chissà, se lui non fosse stato a Venaus quella mattina magari sarebbe stato
anche lui con loro.
Mauro e Simona sono
tesissimi. Simona quasi non riesce a parlare per l'angoscia. Mauro è più arrabbiato:
«Ancora non riesco a farmene una ragione. Io imputato per avere fatto del
male a un poliziotto». Al processo, insieme a una quindicina di madame e
signori valsusini, c'è anche la mamma di Simona, con le borse agli occhi. Con
le anziane vicine parla in piemontese e non perde un solo passaggio del rito
processuale.
Questo è un processo
che ha una duplice valenza, che forse spiega perché tra i tanti procedimenti
avviati per i fatti del 6-8 dicembre del 2005, questo sia il primo e forse
l'unico a diventare un processo. Insieme alla condanna penale le parti civili
vogliono anche un risarcimento. Il giudice emetterà una sentenza che se sarà
di condanna conterrà sia la sanzione penale che l'obbligo al risarcimento per i
danni biologici subiti dai due denuncianti. Il valore del naso rotto del
sovrintendente del reparto mobile Francesco Avola (prognosi di 40 giorni) e
della distorsione lombosacrale dell'agente Francesco De Rosa lo proporrà il
loro avvocato, Francesco Castelnuovo.
Intanto, la prima
udienza ha visto un primo punto segnato a sfavore della difesa dei due sindaci,
(avvocato Roberto Lamacchia) e nello Stesso tempo un primo punto a favore.
Lamacchia ha chiesto che agli atti processuali venisse allegata una sentenza
del 2007 che riguardava un processo per scontri a Torino dove la testimonianza
di Avola non era stata considerata credibile. Il giudice ha accettato la tesi
della difesa di parte civile: quel processo non c'entra nulla con questo, e il
tentativo di screditare Avola è fallito.
Ma Lamacchia ha
incassato un piccolo successo con i testi dell'accusa: iI funzionario Digos
Salvatore Ferrara, don Pierluigi Cordola, parroco di Bussoleno, e padre Beppe
Giunti, ex padre francescano di Susa che è venuto apposta da Roma per deporre.
Ferrara, e i due religiosi, in quei mesi sempre a fianco del movimento No Tav,
erano presenti ai fatti, ma hanno confermato di non essere stati testimoni di
gesti violenti.
I gesti violenti
invece sono stati confermati dalle due parti lese. La mattina successiva allo
sgombero del presidio No Tav di Venaus, la colonna di mezzi della polizia, dopo
12 ore di servizio, cerca di tornare a Torino ma a Bussoleno trova una
barricata ad attenderla. La tattica dei No Tav è intrappolare in valle la
polizia che ha appena pestato i compagni di lotta a Venaus.
II reparto scende dai
mezzi e sgombera la barricata mentre «venivano lanciati oggetti come palle
di neve celanti pietre». A quel punto viene effettuata una carica di alleggerimento
ma subito dopo il reparto deve parcheggiare i mezzi e fronteggiare la massa dei
No Tav che obbliga ad indietreggiare. A quel punto intervengono gli amministratori
tra cui Russo e Pognant con le fasce tricolori per essere subito riconoscibili.
Inizia una trattativa per permettere al reparto di tornare a Torino ma dalla
strada più lunga, dal colle di Sestriere, perché altri blocchi avrebbero
fermato i poliziotti a San Giorio e Avigliana.
In quel frangente,
nella trattativa che procedeva a fatica tra le urla dei No Tav, i due agenti,
schierati vicini, pur protetti dai caschi e con il manganello in mano,
avrebbero ricevuto una gomitata sulla visiera (Avola) provocata da Mauro Russo,
che avrebbe procurato la frattura del setto nasale («ancora oggi respiro
male»), mentre De Rosa avrebbe subito una distorsione lombare per via di un
colpo assestato dall'esile Simona Pognant.
Alla fine la
trattativa evitò che ci fossero altre cariche e reazioni violente. Si aprì il
varco e i mezzi (uno rimase impantanato e i sindaci diedero una mano per farlo
partire) poterono finalmente ripartire verso Sestriere, direzione Torino.