Pcb nella norma, il latte torna in commercio

 

Le aziende di Bruzolo e S. Didero possono vendere, ma restano i dubbi

 

di Paola Meinardi da Luna Nuova del 30/11/07 – pag.4

 

Il latte delle due aziende agricole di San Didero e Bruzolo bloccate a maggio dal dipartimento di igiene e sanità pubblica dell'Asl è nuovamente vendibile. Gli ultimi campionamenti, effettuati a ottobre, sono risultati sotto il valore di soglia per la sommatoria di diossine e Pcb e in questi giorni i due sindaci hanno emesso le relative ordinanze che rendono possibile la commercializzazione.

 

Una buona notizia offuscata da mille dubbi, espressi non solo dai due primi cittadini ma anche dalla Coldiretti valsusina. E, se la fonte di inquinamento non è stata accertata ufficialmente a livello istituzionale, tutti gli sguardi sono puntati ancora una volta sulle acciaierie Beltrame.

 

«Spero che il miglioramento nella tecnologia dell'azienda sia tale da garantire una convivenza con le aziende sul territorio - commenta il sindaco di Bruzolo, Mario Richiero - comunque i controlli saranno continui e vedremo cosa diranno. Sono contento di poter firmare l'ordinanza per lo sblocco del latte, ma non vorrei doverne firmare per un nuovo blocco in futuro».

 

Non è la prima volta, infatti, che alcune aziende (in particolare quella in regione Costapietra a San Didero) sono costrette a fermare la propria produzione. «Non so da cosa dipenda ma certamente questa altalena non è una cosa normale - dichiara il primo cittadino sandiderese Loredana Bellone - bisognerebbe cercare di approfondire ma nessuno si muove. Hanno proposto anche la sostituzione delle mucche. Certo che così per un periodo sicuramente il problema non si ripresenta, ma che senso ha? Anche cambiare l'alimentazione del bestiame va bene ma così non sì usano i foraggi che crescono in valle e il problema continua a esistere».

 

Oltre a ciò, i problemi per le aziende non si limitano alla mancata vendita. In gioco c'è molto di più: l’immagine di un territorio e dei suoi prodotti che, se da una parte si promuovono, dall'altra andrebbero difesi. Un danno d'immagine grave che nuoce alle aziende agricole molto più di tutto il resto e che rischia di mettere in ginocchio un settore già non particolarmente florido nella media valle di Susa.

 

«Siamo confortati dalla notizia dello sblocco delle vendite - spiega Pier Paolo Davì, presidente della sezione valsusina della Coldiretti - ma è un conforto non casuale. Si spera che derivi dagli accorgimenti tecnici delle acciaierie e dall’altra parte dal cambiamento di alimentazione che, con grande sacrifìcio, hanno apportato le aziende agricole. Si stanno, infatti, adottando precauzioni alimentari laddove si presume che ci sia più concentrazione di inquinamento. Si sta agendo su più fronti con le attività dell'Istituto zooprofilattico, quelle del servizio veterinario dell'Asl e le nostre».

 

Il progetto che l'Istituto zooprofilattico ha messo in piedi per andare incontro alle aziende agricole, finanziato dalla Regione, vede una modifica dell'alimentazione del bestiame, un riconoscimento dello smaltimento del latte e nel pagamento delle derrate inviate alla distruzione. E' a regime da circa un anno. «Continuiamo a essere molto preoccupati per la situazione - prosegue Davì - Ci sono pesanti danni economici e d'immagine per le aziende che nessuno prende in considerazione. Si fanno tante belle parole ma poca sostanza. E la questione è delicata perché non si individua mai la fonte dell'inquinamento. Con l'intervento dell'Istituto zooprofilattico sono state sanate alcune delle voci del bilancio delle aziende ma non certo il danno d'impresa, che ora come ora non è quantificabile. Potrà esserlo solo individuando la fonte. Oggi quello che facciamo è cercare di permettere agli allevamenti di sopravvivere»