Di Roberto Topino e Rosanna Novara da Missioni Consolata
n.3 – Marzo 2007- Rubrica «Nostra madre terra»
In Italia l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili è irrisorio. Forse anche per questa ragione si è inventata una scappatoia all’italiana: considerare come energia da fonte rinnovabile quella prodotta dagli inceneritori (termovalorizzatori). Un falso, tra l’altro finanziato da un prelievo (il «Cip6») dalla bolletta elettrica di tutti noi. I termovalorizzatori funzionano? Producono energia elettrica, ma a costi insostenibili, soprattutto per la salute dei cittadini. Da ultimo, disincentivano la raccolta differenziata (che già è poco amata dagli italiani). A conti fatti, questa soluzione non funziona, in quanto produce più problemi di quanti ne risolva.
In Italia non si chiamano quasi mai «inceneritori» (sebbene
lo siano a tutti gli effetti), ma «termovalorizzatori». Quest’ultimo termine
indica che questi impianti non servono solo a bruciare i rifiuti, ma a produrre
energia (che viene poi rivenduta allo Stato) oppure calore utilizzabile nel
teleriscaldamento. Apparentemente sembrerebbero impianti vantaggiosi, invece
non è proprio così, perché se tutti i rifiuti prodotti in Italia fossero
destinati al termovalorizzatore e fosse ottimizzata al massimo la combustione,
si arriverebbe ad ottenere energia elettrica solo per il 12% del fabbisogno
nazionale per uso domestico. Per quanto riguarda invece il teleriscaldamento
poi, questo è efficace solo entro 2,5 Km dall’impianto ed è possibile solo in
edifici di nuova realizzazione. Attualmente in Italia la produzione di energia
elettrica tramite incenerimento dei rifiuti è sovvenzionata indirettamente
dallo stato, per sopperire alla sua antieconomicità ed il tutto avviene tramite
il sistema detto Cip6 (vedi box). Infatti, questa modalità di produzione di
energia è considerata impropriamente come «da fonte rinnovabile» alla stregua
di idroelettrico, solare, eolico e geotermico. Pertanto chi gestisce
l’inceneritore può vendere all’Enel l’energia che produce ad un costo circa
triplo, rispetto a quello di chi produce energia a partire da metano, petrolio
e carbone. L’Unione europea (Ue) ha avviato una procedura d’infrazione contro
l’Italia per gli incentivi dati dal governo italiano per la produzione
d’energia bruciando rifiuti inorganici, visti come «fonte rinnovabile». Nel
2003 il Commissario Ue per i trasporti e l’energia Loyola De Palacio,
recentemente scomparsa, in risposta ad un’interrogazione dell’on. Monica
Frassoni al Parlamento europeo, ribadì (20/11/2003, risposta E-2935/03 IT) il
fermo «no» dell’Unione europea all’estensione del regime di sovvenzioni
europee per lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili, previsto dalla
Direttiva 2001/77, all’incenerimento delle parti non biodegradabili dei
rifiuti. Queste le affermazioni testuali del Commissario all’energia: «La
Commissione conferma che, ai sensi della definizione dell’art. 2, lettera b)
della Direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27
settembre 2001, sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti
energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità, la frazione non
biodegradabile dei rifiuti non può essere considerata fonte di energia rinnovabile.
Il fatto che una legge nazionale (Legge 39 del 1/3/2002, art. 43) proponga
d’includere, nell’atto del recepimento italiano della Direttiva 2001/77 (D.L.
del 29/12/2003, n. 387) i «rifiuti tra le fonte energetiche ammesse a
beneficiare del regime riservato alle fonti rinnovabili, ivi compresi i rifiuti
non biodegradabili», rappresenta una palese violazione di quanto dettato dalla
Direttiva europea. Esiste peraltro una contraddizione in questa Direttiva
comunitaria, che autorizza l’Italia a considerare l’energia prodotta dalla
quota non biodegradabile dei rifiuti nel complesso dell’elettricità prodotta da
fonti rinnovabili, ai fini del raggiungimento dell’obiettivo del 25% del totale
nel 2010; tale deroga è però stata attaccata nel 2006 in sede di Parlamento
europeo coll’emendamento (art. 15 bis) alla legge comunitaria 2006.
C’è poi da considerare
un altro aspetto, oltre a quello giuridico ed economico, dell’uso dei
termovalorizzatori.
L’ambiguità dei «limiti di legge»
Qual è il loro impatto sulla salute pubblica? I
termovalorizzatori possono operare solo se adeguatamente dotati di sistemi per
l’abbattimento delle emissioni, in grado di garantire il rispetto dei limiti di
legge. Attenzione, però, perché i limiti di legge, come tutti i limiti relativi
a prestazioni tecnologiche, sono tarati sulla capacità di abbattimento dei fumi
ottenibile con le attuali tecnologie. Infatti non serve imporre dei limiti
oltre la capacità oggettiva di contenere l’inquinamento permessa dai sistemi
attuali. Questo, però, significa che i «limiti di legge» non garantiscono un
valore di inquinanti «sicuro» in base a studi medici ed epidemiologici
sull’effetto degli inquinanti emessi. C’è poi da dire che i limiti di
concentrazione degli inquinanti imposti dalla normativa sono riferiti al m3 di
fumo emesso, mentre non viene detto nulla sull’emissione totale d’inquinanti,
cioè al valore commisurato alla quantità di rifiuti bruciati. Praticamente
vengono impostati come limiti di legge dei valori, che si riferiscono al
«miglior impianto» attualmente realizzabile e non all’effettiva rischiosità dei
vari inquinanti. Per capire meglio questo concetto ci viene in aiuto Mario
Tozzi, noto geologo e divulgatore scientifico, primo ricercatore Igag/Cnr, che
nel suo ultimo libro sostiene che le domande giuste da porre sarebbero: quanti
picogrammi (miliardesimi di milligrammo) di diossina (vedi box) emette davvero
un impianto? I valori forniti sono medi o minimi? Quante misurazioni sono
effettuate in un anno? È opportuno sapere che per i termovalorizzatori è
previsto un solo controllo all’anno: per essere sicuri che l’impianto non sia
nocivo è evidente che il monitoraggio dovrebbe essere continuo e non annuale e
soprattutto non autocertificato.
Diossina per tutti
Attualmente le normative europee indicano che in un m3 di fumi non
devono esserci più di 100 picogrammi di diossina. La sola considerazione che
per le diossine si usa come unità di misura non il milligrammo, comunemente
usato per le altre sostanze, ma il picogrammo (10-12 g) è più che
sufficiente a farci intuire il grado di pericolosità per la salute di queste
sostanze. Del resto, a tale proposito, vale la pena di ricordare che le
diossine sono le stesse sostanze responsabili delle terribili conseguenze
dell’incidente occorso all’Icmesa di Seveso, o delle conseguenze dell’uso del
tremendo «agente orange» (diossina appunto) usato nella guerra del Vietnam
(vedi inserto). Tozzi fa poi un rapido calcolo per dimostrare a quale rischio
potremmo essere esposti, vicino ad impianti «a norma di legge». Se la
tecnologia attualmente disponibile non ci consente di rilevare la presenza di
diossina al di sotto di un certo valore, ad esempio 50 pg/m3, entro comunque il
limite di legge che è di 100 pg/m3, si rischia di non considerare affatto valori
inferiori, ad esempio 40 pg/m3, di diossina emessa da un impianto e di valutare
pertanto quest’ultimo come idoneo e rispettoso dei limiti di legge. Poiché però
nell’aria che respiriamo normalmente, la quantità di diossina è di 0,05-0,5
pg/m3, allora 40 pg/m3 vogliono dire un quantitativo da 80 ad 800 volte
superiore rispetto alla normale quantità. Quindi, solo perché non misurabile,
ignoriamo tale quantitativo e le sue possibili conseguenze? Un inceneritore di
media taglia, cioè da un migliaio di tonnellate di rifiuti al giorno, emette
circa 5 milioni di metri cubi di fumi. Se la quantità di diossina in essi
contenuta fosse di 40 pg/m3, significherebbe che ogni giorno nell’atmosfera
sarebbero dispersi 200 milioni di picogrammi di diossine. Poiché la dose massima
tollerabile giornalmente da una persona adulta è di circa 150 pg, questa
quantità sarebbe quindi quella tollerabile da un milione e mezzo di persone.
Con un centinaio di inceneritori di questo tipo sul territorio nazionale si
arriverebbe a 20 miliardi di picogrammi di diossina, cioè la massima dose
tollerabile da 150 milioni di persone. E questo con impianti rigorosamente a
norma di legge.
Non dimentichiamo che, per quanto riguarda la diossina, non è
importante solo la sua quantità in un m3 d’aria, ma quanta effettivamente se ne
deposita al suolo in un anno. Le diossine infatti sono un gruppo di composti ad
elevato peso molecolare, quindi poco volatili. Sono inoltre solubili nei
grassi, dove tendono ad accumularsi e non vengono smaltite dall’organismo umano,
per il quale sono tossiche e cancerogene. Pertanto, anche un’esposizione a
livelli minimi, ma prolungata nel tempo, può causare gravissimi danni alla
salute sia umana, che animale. È importante a tale proposito ricordare
che presso i lavoratori dell’inceneritore di Cracovia è stata rilevata
un’incidenza anormalmente alta di neoplasie polmonari e di accidenti
cardiovascolari, nonché un’incidenza anomala di neoplasie, disturbi
respiratori, patologie tiroidee e malformazioni fetali negli abitanti esposti.
In Italia uno studio condotto negli anni 1986-2002 nel territorio di Campi (Fi)
ha rilevato più del doppio di casi attesi per linfomi non Hodgkin e per sarcomi
dei tessuti molli, tumori che la letteratura scientifica correla molto
strettamente all’azione delle diossine. Studi giapponesi sottolineano che la
maggiore fonte di diossina è rappresentata dagli inceneritori urbani ed inoltre
è segnalata l’incidenza di morti infantili, malformazioni congenite e
malformazioni della sfera riproduttiva fra gli abitanti vicini ad inceneritori
anche di ultima generazione. Naturalmente gli inceneritori non sono gli unici
impianti a rilasciare diossina, che è rilevabile normalmente presso altri
impianti industriali, soprattutto acciaierie, oltre che nel fumo di sigaretta,
nelle combustioni di legno e di carbone e nelle combustioni incontrollate (es.
mini-incenerimento domestico).
Mercurio, cadmio, (...): di tutto, di più
I termovalorizzatori sono responsabili della diffusione di
idrocarburi aromatici policiclici, di policlorobifenile (PCB), di metalli
pesanti, quali piombo, zinco, rame, cromo, cadmio, arsenico, mercurio e di
furani; inoltre, come qualsiasi processo di combustione, rilasciano nell’aria
polveri sottili, la cui quantità emessa aumenta al crescere della temperatura
(specialmente il particolato ultrafine PM<2,5). A proposito di mercurio, la
maggioranza degli studiosi sostiene che è pressoché impossibile escogitare
sistemi efficaci per abbatterne con sicurezza l’emissione; ricordiamo che il
mercurio provoca gravissimi danni al sistema nervoso centrale. Per quanto
riguarda le polveri fini PM2,5 e quelle ultrafini (da PM2,5 a PM0,1) di tipo
inorganico, va innanzitutto detto che non esistono filtri efficaci, per cui un
limite alla loro emissione non sarebbe attuabile al momento, se non vietando il
funzionamento degli impianti di incenerimento. Le nanopolveri o particolato
ultrafine, cioè quelle a PM<2,5, sono responsabili, secondo dati Oms del
2005, di un calo di vita medio di 8,6 mesi in Europa e di 9 mesi in Italia
(morti cardiovascolari e respiratorie).
L’azione mutagena e cancerogena degli idrocarburi aromatici
policiclici e del policlorobifenile è fin troppo nota, mentre per quanto
riguarda il cadmio, questo ha mostrato un danno genotossico da stress ossidativi
con accumulo nel sistema nervoso centrale, renale ed epatico e inoltre è causa
di malformazioni fetali e cancerogenesi a carico di diversi tessuti.
Naturalmente nel corso degli ultimi vent’anni sono stati fatti molti passi
avanti, nel tentativo di rimuovere i macroinquinanti derivanti
dall’incenerimento e presenti nei fumi (ad es. ossido di carbonio, anidride
carbonica, ossidi di azoto e gas acidi come l’anidride solforosa) e di
abbattere le polveri. Si è così passati da sistemi di filtro come i cicloni ed
i multicicloni, con rendimenti massimi di captazione degli inquinanti
rispettivamente del 70% e dell’85% ai filtri elettrostatici o filtri a manica,
che hanno una resa fino al 99% ed oltre. Inoltre sono state sviluppate misure
di contenimento preventivo delle emissioni, ottimizzando le caratteristiche
costruttive dei forni e migliorando l’efficienza del processo di combustione.
Questo risultato si è ottenuto attraverso temperature più alte, maggiori tempi
di permanenza dei rifiuti in regime di alte turbolenze e grazie all’immissione
di aria per garantire l’ossidazione completa dei prodotti di combustione. Però
non va dimenticato che l’aumento della temperatura, se da un lato riduce la
produzione di diossine, dall’altro aumenta quella degli ossidi di azoto, nonché
delle nanopolveri, per cui diventa necessario trovare un compromesso.
Brescia: ma che bel premio!
Facciamo ora una considerazione a proposito del «miglior
impianto», a cui si attiene la normativa vigente, in materia di limiti da non
superare. Recentemente, cioè nell’ottobre 2006, l’impianto di
termovalorizzazione di Brescia è stato proclamato «migliore impianto del mondo»
dal Waste to Energy Research and Technology Council (Wtert), un organismo
indipendente formato da tecnici e scienziati di tutto il mondo e promosso dalla
Columbia University di New York. Lascia tuttavia perplessi il fatto che questo
organismo annoveri tra gli enti finanziatori e sostenitori la Martin GmbH, che
è tra i costruttori dell’inceneritore premiato. D’altro canto proprio questo
impianto è stato oggetto di diverse procedure d’infrazione da parte dell’Unione
europea. Se a ciò si aggiunge la testimonianza del dottor Francesco Pansera,
che parla di censura del dissenso tecnico a Brescia, nonché di soppressione
delle verifiche e delle voci critiche, il sospetto che i premi dati a certi
impianti non siano altro che subdole forme pubblicitarie diventa forte. Sul
sito della Martin GmbH, raggiungibile da quello della Wtert, si legge poi che
in Italia la Martin è partner della Technip, un’altra multinazionale, che sta
già partecipando ad un piano del presidente Cuffaro per la costruzione e la
gestione di inceneritori in Sicilia. Quindi per queste ditte l’Italia, cioè la
nazione premiata, rappresenta un mercato in espansione, purché si neutralizzino
le critiche e si ottenga il favore dell’opinione pubblica. Del resto in Italia
i termovalorizzatori sono ancora poco diffusi, a differenza dell’Europa, dove
sono attualmente attivi 304 impianti in 18 nazioni.
Bisogna tuttavia porsi una domanda: perché paesi come l’Olanda, la
Germania e la Francia stanno perseguendo la politica di bruciare sempre meno
rifiuti, per dismettere un giorno gli impianti esistenti? A tale proposito in
queste nazioni sono attuate amplissime forme di raccolta differenziata e di
riduzione alla fonte anche con leggi nazionali sul riutilizzo delle bottiglie
di vetro e di plastica (ogni cittadino in pratica paga una cauzione sulle
bottiglie di plastica e di vetro, che gli verrà restituita con un bonus per il
supermercato, quando riconsegnerà le bottiglie negli speciali spazi presso i
centri commerciali). Inoltre in tali nazioni si stanno sempre più usando forme
di energia alternativa, quali quella eolica e quella solare. Alla luce di tutte
queste considerazioni, possiamo dedurre che la strada del termovalorizzatore
non è certo quella ottimale per risolvere il problema dell’eliminazione dei
rifiuti e quello della produzione di energia, tanto più che non solo non
sappiamo con certezza quali sono le sostanze realmente immesse nell’atmosfera,
ma a quanto pare non possiamo nemmeno fidarci troppo delle valutazioni
d’impatto ambientale, che vengono effettuate. Pensiamo inoltre al fatto che
l’energia che si ottiene dalla combustione di un oggetto è quasi sempre di gran
lunga inferiore a quella impiegata per costruirlo. Per di più, per ricostruire
lo stesso oggetto, è necessario sfruttare materie prime dell’ambiente (ad es.
alberi nel caso della carta), che si sarebbero risparmiate con il
riciclaggio. Sicuramente è quindi fondamentale assumere nuovi stili di
vita, che portino ad una riduzione dei rifiuti all’origine, ad un loro
riutilizzo o al loro riciclaggio, dove possibile, in modo da limitare al minimo
il conferimento in discarica o negli inceneritori già esistenti.
Il glossario di «Nostra madre terra»
Cancerogeno: qualsiasi agente chimico, fisico o virale in grado
d’indurre la comparsa di una forma di cancro.
Cicloni e multicicloni: si tratta di apparecchiature utilizzate per la
separazione di particelle solide o liquide trascinate dai gas e per la
separazione di particelle solide trascinate dai liquidi, sfruttando l’azione
della forza centrifuga. I cicloni sono essenzialmente costituiti da recipienti
cilindrici con una parte inferiore tronco-conica, nei quali viene introdotta
tangenzialmente la corrente fluida da purificare, messa in movimento a grande
velocità. Da un condotto centrale esce, verso l’alto, il fluido purificato,
mentre nel fondo conico si raccolgono le particelle separate, la cui grandezza
è di solito compresa fra 5 e 1.000 µm. Sono molto usati per eliminare le
particelle dai fumi di scarico di industrie.
Composti organici ed inorganici: i primi sono composti contenenti atomi
di carbonio (C) e costituenti tipici della materia vivente, mentre gli altri
non contengono atomi di C e sono prevalentemente, anche se non esclusivamente,
presenti nel regno minerale.
Danno genotossico: danno al Dna, quindi analogo di mutazione (vedi:
mutageno).
Filtri a manica: sono utilizzati per le separazioni solido-gas e sono
costituiti essenzialmente da tubi di tela, all’interno dei quali arriva il gas
da depurare; mentre quest’ultimo attraversa la superficie, il solido viene
trattenuto. Costituiscono l’ultima fase del recupero dei solidi da gas e spesso
sono montati a valle dei cicloni.
Filtri elettrostatici: sono anche detti elettrofiltri. Sono costituiti
da un tubo a grande diametro e di estesa superficie, che rappresenta il
condotto del fumo ed è collegato a terra e da un filo posto al centro del tubo,
dal quale è isolato elettricamente. Il campo elettrostatico, che si genera tra
questi due elementi, provoca una ionizzazione del gas; gli ioni negativi
caricano le particelle solide e liquide, presenti nei fumi, che si raccolgono
sulla superficie del condotto (elettropositivo), dal quale sono asportate. Sono
usati per asportare polveri e nebbie, anche di dimensioni piccolissime.
Fonti di energia alternativa: idroelettrica, solare, eolica e
geotermica. In questi casi l’energia elettrica viene ottenuta rispettivamente
dalla trasformazione di energia idraulica, solare, cinetica derivante dalla
forza del vento e dal calore della terra.
Furano: composto organico eterociclico dotato di caratteristiche
aromatiche (cioè con formula di struttura ad anello, contenente legami semplici
e doppi alternati). Dal tetraidrofurano vengono preparati l’esametilendiammina
ed il nylon. Presenta reazioni di sostituzione elettrofila, che avvengono però
in condizioni più blande, che negli altri composti aromatici.
Idrocarburi aromatici policiclici: sono idrocarburi derivati dal
benzene, per condensazione di due o più anelli benzenici. Vengono estratti dal
catrame di carbon fossile o dal petrolio. È nota la loro azione cancerogena.
Tra i tumori più diffusi, da loro causati, ricordiamo il cancro del polmone.
Nel fumo di sigaretta sono presenti questi idrocarburi, nonché ammine
aromatiche.
Mutageno: qualsiasi composto in grado di provocare una mutazione del Dna
cellulare. Le mutazioni vengono distinte in geniche, cromosomiche o genomiche a
seconda che vengano colpiti uno o più geni, un cromosoma oppure più di un
cromosoma, così da compromettere l’intero genoma. Se il genoma colpito
appartiene ad una cellula della linea germinale (ovociti o spermatozoi), la
mutazione verrà trasmessa alla discendenza, con conseguenze di maggiore o
minore gravità, a seconda del danno genetico (es. malformazioni, aborti
spontanei, ecc.) mentre una mutazione a carico del Dna di una cellula della
linea somatica (cioè di tutte le cellule del corpo diverse da quelle
germinali), può determinare la trasformazione della cellula in senso
neoplastico.
Picogrammo: 10-12g = 10-9mg = 1/1.000.000.000 mg.
Policlorobifenili: sono composti organici aromatici clorurati, in cui
degli atomi di cloro sostituiscono in varia percentuale gli atomi d’idrogeno di
un bifenile. Sono stati ampiamente impiegati per vari usi, finché non ne è
stata segnalata la tossicità, dovuta all’inquinamento delle falde acquifere.
Stress ossidativo: danno a varie strutture cellulari dovuto all’azione
dei radicali liberi, molecole che hanno perso nei loro atomi un elettrone,
nell’orbita esterna. Queste molecole vengono prodotte nelle fasi intermedie del
metabolismo cellulare e sono sostanze chimiche paragonabili ad un ossidante,
che intacca le materie più diverse, tra cui il Dna cellulare, con rottura delle
sue catene e quindi con effetto mutageno e cancerogeno. Il nostro organismo si
difende dall’azione dei radicali liberi con dei sistemi enzimatici, come la
superossido-dismutasi, e non enzimatici tra cui gli antiossidanti naturali
delle cellule, come il glutatione, la metionina, la cisteina e le vitamine C ed
E. Diversi fattori favoriscono la formazione dei radicali liberi tra cui il
tabacco, per la presenza di idrocarburi aromatici policiclici e di ammine
aromatiche, l’alcool, l’assunzione di certi farmaci, l’esposizione a svariati
composti chimici, le radiazioni ionizzanti ed i raggi ultravioletti.
(a cura di R.Topino e R.Novara)
Come funziona un termovalorizzatore
DAI
RIFIUTI, ENERGIA E... (fumi, scorie, ceneri)
Il funzionamento di un termovalorizzatore può essere sintetizzato in 7 fasi:
1) Arrivo dei rifiuti, che possono essere utilizzati come sono, il cosiddetto
«tal quale», oppure provenire da impianti di selezione, per la produzione della
frazione combustibile o Cdr (combustibile derivante dai rifiuti), previa
separazione degli inerti (metalli, minerali, ecc.). Confrontando la resa di un
impianto, che brucia il «tal quale», con uno che brucia il Cdr, si stima che il
rendimento del primo sia di 250 Kwh/tonnellata, mentre quello del secondo sia
di 800 Kwh/tonnellata, quindi la combustione del Cdr dà sicuramente una resa
migliore. Prima di venire bruciati, i rifiuti sono stoccati in un’area
dell’impianto dotata di un sistema di aspirazione, per evitare la dispersione
dei cattivi odori.
2) Combustione: mediante griglie mobili i rifiuti vengono portati in forno e
bruciati a circa 1.000° C, in presenza di aria forzata, per migliorare la
combustione con continuo apporto di ossigeno.
3) Produzione di vapore: il calore derivante dalla combustione dei rifiuti
viene utilizzato per portare ad ebollizione l’acqua di una caldaia posta a
valle del bruciatore.
4) Produzione di energia elettrica: il vapore generato mette in moto una
turbina, che accoppiata ad un motoriduttore e ad un alternatore, trasforma
l’energia termica in elettrica.
5) Estrazione delle scorie: le componenti incombuste dei rifiuti vengono
raccolte e smaltite in discarica. Nel caso dell’uso del Cdr si ottiene un
abbattimento della produzione di scorie.
6) Trattamento dei fumi: i fumi derivanti dalla combustione vengono filtrati
con un sistema multistadio (filtri elettrostatici o filtri a manica), per la
riduzione degli agenti inquinanti sia aeriformi che corpuscolati; la loro
temperatura viene inoltre abbassata a 140°C mediante acqua di raffreddamento,
che necessita poi di depurazione.
7) Smaltimento delle ceneri: le ceneri derivanti dalla combustione sono
normalmente classificate come rifiuti speciali non pericolosi e conferite in
discarica. Nel caso della combustione del «tal quale» rappresentano circa il
30% del peso iniziale, mentre nel caso della combustione del Cdr rappresentano
circa il 70%. Le polveri fini, classificate come rifiuti speciali pericolosi,
rappresentano circa il 4% del peso iniziale. Entrambi i tipi di polveri sono
smaltite in discariche per rifiuti speciali.
Il caso Torino
«VOGLIAMO
INCENTIVI»
A seguito dell’emendamento al decreto legge sugli «obblighi comunitari», deciso
dal Consiglio dei ministri il 27 dicembre 2006 e formalizzato a gennaio 2007,
che in pratica ha ristretto l’ambito d’applicazione del sistema «CIP6» (gli
incentivi alle fonti energetiche rinnovabili e assimilate, pagati come
sovrapprezzo nelle bollette energetiche dai cittadini italiani), sia nella
giunta comunale torinese che in quella della provincia di Torino c’è stata aria
di bufera, perché sostanzialmente è stato colpito dal provvedimento il progetto
di costruzione del termovalorizzatore del Gerbido. A seguito di questo
emendamento, l’incentivo sarà limitato ai termovalorizzatori già esistenti ed
operativi, ma non a quelli «già autorizzati» e di cui è già stata o sarà
avviata la realizzazione, come appunto nel caso di quello del Gerbido.
La reazione del presidente della provincia di Torino, Antonio Saitta, si è
tradotta in un appello bipartisan per tentare di ottenere, da parte del
governo, una deroga a beneficio degli impianti già autorizzati. Secondo Saitta,
senza tale deroga i costi della costruzione e del funzionamento del
termovalorizzatore ricadranno sulle spalle dei cittadini, sotto forma di un
vertiginoso aumento della tassa rifiuti.
Ma quanto verrebbe a costare la sola costruzione del termovalorizzatore?
Ebbene, il costo dell’impianto è stimato in 260 milioni di euro, a cui vanno
aggiunti 90 milioni di euro per le spese connesse, più 20 milioni di
compensazioni, per un totale di 370 milioni di euro. La gara d’appalto dovrebbe
essere avviata nel gennaio 2008, mentre l’impianto dovrebbe entrare in funzione
nel 2011.
E quanto costa smaltire i rifiuti con il termovalorizzatore, oppure in
discarica? Per quanto riguarda i costi dello smaltimento con il
termovalorizzatore, questi varieranno a seconda della disponibilità dei
contributi. In particolare dovrebbero essere di 120-125 euro per tonnellata a
incentivi zero, mentre potrebbero scendere a 90-95 euro con incentivi al 40% ed
a 80 euro con la totalità dei contributi; il conferimento in discarica costa
attualmente circa 123 euro a tonnellata.
L’atteggiamento di chi vorrebbe questi incentivi è in linea con le direttive
europee? La risposta, come abbiamo cercato di spiegare nell’articolo, è «no».
Roberto Topino, Rosanna Novara
Il caso della provincia autonoma
«Il bosco, la casa dei trentini», così recitava uno slogan della Provincia
Autonoma di Trento. Sul turismo della natura il Trentino ha fondato le proprie
fortune. Eppure, qualcosa sta cambiando e non in meglio. L’idea
dell’inceneritore di Trento risale al 2001 e dovrebbe trovare realizzazione
attraverso la «Trentino Servizi» spa. La società è partecipata al 20% dalla Asm
di Brescia, proprietaria del famoso inceneritore, il quale, tra l’altro, ha
prodotto questa grave conseguenza: «Brescia è ai primi posti tra le province lombarde
per quantità pro capite di produzione di rifiuti, e agli ultimi per raccolta
differenziata» (cfr. quotidiano L’Adige, 2 settembre 2002). Proprio un
bell’esempio da seguire! Ma l’inceneritore non è tutto. Le cosiddette (e
famigerate) «grandi opere» stanno per sbarcare anche nelle province di Trento e
Bolzano. In primis, il progetto Alta velocità/capacità (Tav/Tac) da Verona a
Monaco con un tunnel di 56 Km (da Fortezza ad Innsbruck) sotto il Brennero. Nel
numero di dicembre 2006 de «Il Trentino», la rivista della Provincia di Trento,
le pagine conclusive erano dedicate a «come sarà il Trentino tra 30 anni».
Leggiamo qualche passo: «Tra trent’anni per il Trentino continueranno a
transitare, assieme alle persone, anche le merci. Lo faranno soprattutto via treno,
sui quattro (notare: 4!) binari della nuova ferrovia del Brennero e attraverso
il grande tunnel sotto le Alpi. L’autostrada del Brennero sarà riservata alle
auto (...)». A parte il fatto di non considerare per nulla la possibile (ed
auspicabile) opposizione della gente, sembra che l’analisi costi-benefici sia
stata fatta ignorando i primi (più che certi) ed esaltando i secondi (più che
dubbi). A parte i 25 anni di lavori, l’ambiente naturale sconvolto, il
paesaggio deturpato, il traffico, il rumore, le polveri, a parte tutto questo
ci sarà anche il conto: l’Alta velocità è un buco finanziario senza fine, che
dovrà essere colmato con soldi pubblici (si sa: al contrario dei profitti, i
costi sono sempre collettivi...) per generazioni.
Continuiamo a leggere: «Tra trent’anni “Benessere” sarà la parola d’ordine.
(...) Il riciclaggio dei rifiuti sarà un’abitudine normale, e l’inceneritore si
avvierà alla chiusura». Ancora gli «esercizi di futurologia» de «Il Trentino»
(così sono chiamati) nascono con importanti errori concettuali: in primo luogo,
ignorano che già oggi la prospettiva più virtuosa è quella denominata «rifiuti
zero»; in secondo luogo, non considerano che raccolta differenziata ed
inceneritore sono strumenti antitetici, dato che la prima riduce la quantità di
rifiuti prodotti, mentre il secondo ha bisogno di rifiuti per esistere e
funzionare.
Insomma, gli amministratori trentini volevano infondere ottimismo nelle
«magnifiche sorti e progressive», ma hanno ottenuto l’effetto opposto: uno
scenario orwelliano. Quasi non bastasse, alcune settimane fa sono uscite delle
statistiche sul «consumo di suolo» (cfr. L’Adige, 2 febbraio). Ebbene, il
Trentino, negli ultimi anni, ha cementificato come mai nella sua storia.
Una terra di boschi e montagne, laghi e castelli, meli e vigneti rischia di
soccombere davanti a progetti di sviluppo insensato ed anacronistico. Da
trentino (sono di Rovereto) vedere la mia terra offesa da tangenziali,
bretelle, viadotti, autostrade, funivie e in futuro forse anche da superferrovie,
megatunnel, termovalorizzatori, aeroporti tra le montagne, mi produce un’enorme
tristezza e rabbia. Ma voglio pensare in positivo. Per secoli i trentini e gli
altoatesini (sudtirolesi) hanno saputo difendere la loro terra. Speriamo che si
sveglino dall’attuale torpore e tornino in sé. Perché, come scriveva Tom
Benetollo, «arrendersi al presente è il modo peggiore di costruire il futuro».
Siti internet: www.pattomutuosoccorso.org
E-mail: noinceneritorenotav@gmail.com,
noeurotunnelnotavbz@libero.it
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Fonti
I testi: M.Tozzi, L’Italia a secco, Rizzoli Editore, 2006
I siti Web:
• http://www.beppegrillo.it - blog del 1/12/06 e 15/12/06: - «Le emissioni
degli inceneritori: danno biologico» in «Termovalorizzatori nella piana
fiorentina: le ragioni del sì, le ragioni del no», di M. Gulisano, La Piana,
Metropoli; - lettera del dr. Francesco Pansera al Presidente del Consiglio
Regionale della Lombardia, dr. F. Abruzzo, del 30/10/2006
•http://www.ecoage.com/ambiente/rifiuti/termovalorizzatore.asp:
Termovalorizzazione: di cosa si tratta?
• http://www.altreconomia.it: il termovalorizzatore Silla 2 di Milano
• http://www.rifiuti.it: Riciclaggio e recupero di rifiuti plastici in Svizzera
•http://www.rifiutilab.it/_downloads/Conferenza_Trento3doc.pdf: Inceneritore ed
altri sistemi di trattamento termico dei rifiuti urbani: esperienze svizzere
•http://www.comune.firenze.it/comune/organi/q4/informa/giugno02/02.pdf:
Termovalorizzatore: pro e contro
• http://www.isolapossibile.it/article.php3?id_article=1484: Regione Campania,
emergenza rifiuti: storia di un disastro sanitario ed ambientale annunciato
• http://lists.peacelink.it/pace/msg12369.html: Proposta di coordinamento a
sostegno delle vittime della diossina in Vietnam