I tentacoli dei clan sulle grandi opere
La nuova 'ndrangheta punta all'Alta velocità Torino-Milano
di Massimo Numa da La
Stampa del 28/7/07
TORINO
I tentacoli delle 'ndrine calabresi sui cantieri delle grandi opere del Nord.
Poi: nuove e pericolose organizzazioni criminali, nate dalle antiche cosche ma
ormai autonome nel Nord, slegate dal controllo dei boss d’origine. «Famiglie»
radicate da almeno due generazioni, con obiettivi più sofisticati e lontani
dalle tradizionali attività dei clan, narcotraffico ed estorsioni. Nomi
illustri: Morabito, Marando, Belcastro, Megna, Belfiore, Bonavita, Bruzzaniti,
D'Agostino, Ilacqua, Macrì, Mancuso, Palamara, Polifroni, Romanello, Ursino,
Varacolli, Vrenna, Laganà.
L’allarme
arriva dalle ultime relazioni della Direzione Nazionale Antimafia, dedicate
alle infiltrazioni delle mafie nel Nord Ovest, e soprattutto in Piemonte. A
rischio gli appalti dell’Alta Velocità Torino-Milano; e ancora «sotto analisi»
alcune grandi opere già realizzate, anche per le Olimpiadi del 2006. In una
relazione alla Dna dei Ros dei carabinieri, le indicazioni sono chiarissime:
«In Piemonte, come in Liguria e Lombardia, si registra una pervasiva presenza
di compagini della ‘Ndrangheta, operanti soprattutto nel settore del
narcotraffico, che hanno investito sul territorio parte dei proventi accumulati
con le attività illecite, realizzando una progressiva infiltrazione del tessuto
politico-economico locale».
Gli
analisti dell’Arma entrano nel dettaglio: «Nel tempo, infatti, le proiezioni
della criminalità calabrese, attraverso prestanome, hanno orientato i propri
interessi soprattutto nel settore edile e in altre attività ad esso collegate,
finanziando iniziative anche di rilevante consistenza, con i capitali derivanti
dalle attività delittuose proprie e delle cosche di riferimento, con le quali
mantengono stretti legami. Logistici e operativi». Poi: «in Piemonte sono sorte
progressivamente imprese edili e di movimento terra, riconducibili a soggetti
di origine calabrese, impegnati anche nei lavori per le opere delle Olimpiadi
invernali e della linea ferroviaria ad Alta Velocità Torino-Milano». Il quadro
dei Ros si fa cupo: «La preminente presenza di articolazioni ‘ndranghetiste non
ha impedito alle altre organizzazioni mafiose tradizionali di orientare i
propri interessi verso questa florida realtà regionale».
Sul
tavolo del sostituto procuratore della Dna, Vincenzo Macrì, anche le
valutazioni della Dia, la Direzione Investigativa Anti-Mafia, del Gico della
Guardia di Finanza, della sezione antiracket della squadra mobile di Torino.
Gli investigatori, nella sostanza, sostengono tesi simili o eguali. Ma il
problema, quello vero, è come colpire gli elementi mafiosi. Scrivono gli 007
della polizia: «Le organizzazioni criminali collegate alla ‘ndrangheta sono
predominanti nel territorio, ma non evidenziano quelle potenzialità criminali
palesate nei decenni scorsi o quelle proprie delle cosche d’origine». Parole
solo in apparenza rassicuranti. Perché, dopo, i detective rilevano che «...Si
allarga il raggio d’azione anche verso altre aree... gli appalti, il lavoro, le
risorse pubbliche sono più vicine ai nuovi interessi economici mafiosi». E più
precisamente: «...L’incremento dei cantieri edili necessari per le Grandi
Opere, nel 2006 le Olimpiadi, e delle opere connesse con l’Alta Velocità
Torino-Milano (Cav.to.Mi.) è stato un momento di grande attenzione e analisi».
Ombre
e sospetti diventano concreti e rivelano la nuova struttura del racket
calabrese: «...L’esistenza di collegamenti con le originarie cosche operanti in
Calabria, persistenti in virtù dei legami di parentela tra alcuni degli
affiliati non consente di accertare che cosiddette ‘ndrine, operanti nell’area
di appartenenza, agiscano in funzione di rigide direttive impartite dai vertici
d’origine». Conclusione: «Il ricambio generazionale e l’oggettiva minore
capacità di controllo dei soggetti indicati del territorio hanno reso i gruppi
sempre più autonomi rispetto a quelli calabresi». Insomma, è nata una nuova
organizzazione criminale. Calabresi di seconda e di terza generazione,
interessati solo al business legale e al riciclaggio. E molto meno alla droga
pesante.
Le
prove del tentativo di colonizzare parte della rete economica e produttiva del
Nord arrivano anche da altri procedimenti, ancora in corso. Come quello
dedicato alla presenza, in Piemonte, di boss mafiosi, emigrati al Nord. Alcuni
«recentemente scarcerati per effetto dell’indulto». Un’indagine, delicatissima,
che «potrebbe presto ottenere rilevanti esiti investigativi».