Questo articolo costituisce il contributo
del Comitato NO-TAV Torino al numero monografico della rivista mensile Carta
(anno 3 n° 8) dell'Ottobre 2007, intitolato "Dalla città-fabbrica
a Torino Park". Il titolo con cui è stato inserito nella
rivista è: Binari interrati e grandi affari in superficie. La Tav
in città.
Ora il TAV minaccia Torino
Nella lunga e travagliata vicenda del TAV verso Lione, l’autunno del 2007
porta all’ordine del giorno la questione della connessione tra l’ipotetica
nuova linea ed il sistema ferroviario di Torino.
Da molto tempo tra le fila dei
PRO-TAV c’è chi sostiene che l’unico modo per iniziare a realizzare la “grande
opera” sia di partire con i cantieri dalla città, dove le resistenze sociali
sono minori; ora il lavoro dell’Osservatorio Tecnico rischia di dare fiato a
questa tesi.
L’analisi svolta nei mesi scorsi a
quel tavolo di confronto, recentemente pubblicata, aveva dimostrato con
chiarezza che l’attuale ferrovia attraverso la valle di Susa è in grado di
reggere il triplo del traffico merci odierno, con un tetto tra 20 e 32 milioni
di tonnellate annue che non potrebbe essere raggiunto prima del 2030-2035
nemmeno se si avverassero le mirabolanti previsioni di crescita ipotizzate dai
promotori del TAV. Dal lavoro di approfondimento recente (materia del terzo
“quaderno”) sembra emergere però che ben fuori dalla valle, nei due nodi della
rete rappresentati dai sistemi ferroviari urbani di Chambery e Torino,
potrebbero sorgere limitazioni al traffico in tempi più prossimi.
Nel caso di Torino c’è sicuramente
del vero, e la data sarebbe collocata tra il 2012 ed il 2015.
Come molte altre città, anche
Torino era attraversata da binari infossati in profonde trincee che tagliavano
in due interi quartieri. Dai primi anni ’80 si iniziò a progettare il
cosiddetto “Passante” ferroviario, opera che prevedeva interramento e
potenziamento dei binari con l’obiettivo dichiarato di restituire superfici
utilizzabili per riconnettere il tessuto urbano e con quello nascosto di
rispondere agli appetiti di nuovi investitori immobiliari e di imprenditori del
cemento e del tondino.
Oggi siamo a circa 14 anni
dall’apertura dei cantieri del Passante e c’è la previsione di proseguire
ancora i lavori almeno fino al 2012; al di sopra delle tratte già completate,
al posto delle trincee sono comparsi piccoli giardini pubblici, pretenziosi
viali monumentali (Corso Mediterraneo), il raddoppio del Politecnico e molti
nuovi appartamenti signorili. In superficie, dunque, si registra una
“riqualificazione urbanistica” carica di enfasi, grandi cifre in gioco, grande
business; sotto, invece, l’infrastruttura risultante è un mezzo fiasco: la
presenza di stazioni passeggeri sotterranee come Porta Susa, la principale, non
potrà permettere il transito di treni merci che costituirebbero un rischio per
la sicurezza dei viaggiatori.
Cartina alla mano (vedi figura),
risulta chiaro che se non possono attraversare il Passante per quei convogli
non c’è alcuna connessione tra le direttrici sud-ovest (Scalo di
Orbassano-Valle Susa- Francia) e nord-est (Settimo-Milano-Venezia). Ecco la
limitazione ai flussi che dal 2012 porrà il nodo di Torino!
Errore? Svista? Difficile
crederci.
Più “modernamente”, la storia di
una serie di decisioni evidentemente spregiudicate, prese in stanze molto
blindate (dal 1995 ad oggi nessun atto relativo al Passante è più stato portato
in Consiglio comunale) ed ispirate al solito principio di drenaggio del denaro
pubblico a beneficio, in ultima analisi, di profitti molto privati.
Nei
prossimi mesi rischiamo di vedere riproposta la stessa storia, lo stesso
“modello di business”; negli assessorati provinciali si sente già dire: “Grazie
al TAV ora potremo finalmente fare Corso Marche!”
La
frase sottintende che la necessità di costruire una circonvallazione
ferroviaria del nodo urbano, per aggirare il blocco delle merci tra Orbassano e
Settimo, può (deve?) diventare l’occasione per avviare in loco i cantieri del
TAV ed allo stesso tempo per “ghiotti affari collaterali”, specie nella tratta
all’interno del Comune di Torino.
E’ qui, infatti, che l’asse di
Corso Marche taglia da sud a nord tutta la periferia ovest della città, lungo i
confini con i Comuni della prima cintura: la proposta, faraonica, è di farne un
sistema infrastrutturale a tre livelli sovrapposti: nel tunnel più profondo
correrebbero i binari della bretella TAV-TAC (realizzando il bypass del nodo
ferroviario urbano); nella galleria sovrapposta si costruirebbe un analogo
bypass autostradale tra le tangenziali esterne; infine, in superficie,
troverebbe posto un nuovo viale trionfale, largo 60 metri.
L’ipotesi, covata per anni da
Regione, Provincia e Comune, pare ormai prossima a schiudersi, tanto che
qualche attore ha già iniziato a mobilitarsi: le aziende di gestione delle
autostrade facenti capo a Torino (Ativa, Sitaf, Satap) hanno costituito, con
quote paritarie, una società ad hoc, la Corso Marche spa, con a capo il
classico ex-sindacalista diessino “promosso” amministratore delegato (le
Ferrovie insegnano…).
Intanto giungono a compimento
alcuni studi di fattibilità finanziati dai suddetti enti locali insieme alla
Camera di Commercio.
Un
primo studio sulla riqualificazione urbana di superficie è stato condotto dal
team dell’architetto Cagnardi, già artefice del piano regolatore della città:
surclassando la valenza della componente infrastrutturale, propone che il
progetto del nuovo corso Marche costituisca per Torino la rivoluzione
urbanistica del ventunesimo secolo, con ipotesi di interventi epocali tra i
quali la realizzazione di un enorme parco rurale “della memoria contadina” e la
creazione del Campidoglio, zona in cui concentrare tutti i grattacieli
cittadini di cui è già preannunciata la costruzione (Regione, banca S. Paolo,
SAI …)
Un secondo studio, condotto sugli
aspetti infrastrutturali dal SITI, uno dei tanti nuovi enti para-universitari[1]
(che spesso forniscono patenti di scientificità in cambio di fondi che lo Stato
non dà più), si presta anche questa volta a serie obiezioni tecniche e mette in
luce soprattutto forti criticità realizzative e di impatto sul territorio (non
va dimenticato che da sempre le Ferrovie – RFI - sono contrarie a realizzare,
specie con questo approccio grandioso, la nuova linea in tratta urbana; ancora
oggi, pur sotto enormi pressioni politiche favorevoli al progetto, mantengono
sostanziali riserve sull’operazione e sui suoi elevati costi).
Quanto
finora si è mosso dimostra abbastanza chiaramente la volontà di utilizzare
il pretesto di questa bretella TAV sotto Torino per trainare, giustificare
e soprattutto cofinanziare ben altre opere; emerge con nettezza quanto siano
forti ed interconnessi i poteri politici ed imprenditoriali che spingono questa
nuova fase del grande business, che oltre tutto per i medesimi soggetti preluderebbe
a quello ancora più grande dell’intera nuova linea verso Lione.
Il
movimento NO-TAV si attrezza
I
Comitati delle valli Susa e Sangone e della cintura torinese stanno già
discutendo di corso Marche: hanno ben compreso che una circonvallazione
ferroviaria del nodo di Torino costruita con le caratteristiche tecniche
dell’alta velocità-capacità sarebbe il cavallo di Troia che porta in sé un buon
tratto del nuovo collegamento italo-francese. Sanno che nel prossimo futuro la
difesa dei loro territori si giocherà anche in trasferta, nella grande città.
Intanto
anche dentro Torino c’è attivismo: al Comitato NO-TAV Torino (nato a fine 2002)
si sono aggiunte negli ultimi tempi altre forze, di varia ispirazione ma con
una buona unità d’azione. La lotta contro l’alta velocità registra
costantemente l’apporto di una militanza che viene da molti gruppi ed
associazioni, figlia dei momenti maggiormente coinvolgenti: nelle fasi più
calde di fine 2005 una ventina di sigle costituirono quel Coordinamento
torinese NO-TAV che preparò il successo della grande manifestazione
cittadina del 17 dicembre.
Inutile
negare che il lavoro di conquista dei cittadini torinesi alle ragioni di
opposizione alla “grande opera” sia faticoso: oggi si possono stimare in poche
migliaia coloro che dalla città partecipano alle principali manifestazioni del
movimento NO-TAV, mentre a livello di opinione un recente sondaggio dell’Osservatorio del Nord-Ovest[2]
ha rilevato un 20% di contrari alla nuova linea, a fronte di un 7-8% di
indifferenti e ad un 72% di favorevoli (vedi, su www.nordovest.org, il rapporto Settembre-Ottobre
2006: “Valsusa, Italia. La Tav e le grandi opere nella percezione dell’opinione
pubblica”).
Per
la stragrande maggioranza di questo 72% l’opinione favorevole è frutto di un
approccio superficiale, basato sull’introiezione acritica di slogan mediatici
privi di serio fondamento (il TAV evita l’isolamento dall’Europa (?); è indispensabile
per lo sviluppo futuro del Piemonte; toglie i TIR dalle strade …), ed è
purtroppo raro trovare la disponibilità ad andare oltre il giudizio
precostituito per analizzare concretamente i problemi. Una larga fetta di
torinesi, dunque, risponde maledettamente bene alla terapia delle notti
bianche, olimpiche e post-olimpiche, delle kermesse per i nuovi modelli FIAT e
non stupisce che voti alla grande un sindaco-imperatore ormai buono per tutte
le stagioni ed appoggiato dai poteri forti (sarà anche per questo che Veltroni,
l’uomo che si è scelto da solo, ha selezionato questa città per il suo
“discorso del debutto”?)
A
proposito dell’impatto del TAV in città, Chiamparino ha affermato che sarà
molto più pesante di quello sulle valli alpine; il commissario governativo
straordinario per la Torino-Lione, Mario Virano, stima che la costruzione
della circonvallazione ferroviaria coinvolgerà ben 250.000 cittadini. C’è
del vero: aprire carreggiate ampie 60 metri nel quartiere Lesna comporterà
disastrose demolizioni di case.
In
una simile prospettiva il Ministro Di Pietro (oltre che magistrato è stato
anche poliziotto…) raccomanda di evitare assolutamente che il movimento
valsusino si saldi all’opposizione sociale torinese, ma i legami sono già
consolidati e si sta lavorando ad una maggiore informazione nei quartieri
interessati.
La
vicenda del TAV si protrarrà ancora per molti anni; è però indubbio che buona
parte del suo destino si deciderà da qui al 2010. Nei mesi restanti di questo
2007 sono in ballo un paio di scelte importanti: una è relativa all’eventuale
co-finanziamento UE per la tratta internazionale, l’altra riguarda proprio la
definizione dei requisiti progettuali per la circonvallazione ferroviaria del
nodo torinese.
Il
movimento NO-TAV sa bene che se da un lato andasse avanti l’iter per costruire
il tunnel di base transfrontaliero e dall’altra si realizzasse una
circonvallazione di Torino con le caratteristiche dell’alta velocità-capacità,
la lotta di opposizione verrebbe confinata al residuo segmento intermedio, da
inserire in qualche tracciato di minor resistenza tra le valli Susa e Sangone.
Perciò
si attrezza ad un confronto d’autunno che sappia evitare questo rischio. La
consegna al Parlamento europeo di un contro-dossier con 31.608 firme di cittadini
NO-TAV raccolte nei due mesi delle ferie è il primo passo.
Paolo Mattone (Comitato NO-TAV Torino)
[1] Istituto
Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione, costituito da
Politecnico e Compagnia di S. Paolo
[2] Altro
nuovo ente para-universitario, costituito presso i dipartimenti di scienze
Sociali, Studi Politici e Psicologia e sostenuto finanziariamente dal Comune e
dalle due principali banche cittadine –S.Paolo e Fondazione CRT.