Le stagioni dei NOTAV
Prologo
Domenica 30 Marzo 2008 a Chiomonte, pochi chilometri da Venaus, 1400 NOTAV si ritroveranno davanti ad un notaio per garantirsi un posto in prima fila qualora il partito trasversale degli affari tentasse di bucare la montagna. Un altro granello di sabbia in quel grande ingranaggio che si era inceppato nell’autunno del 2005 salvo rimettersi in moto all’indomani.
Negli ultimi due anni sono cambiate molte cose ma per chi non vive il problema TAV nella sua quotidianità può essere difficile cogliere ciò che è cambiato e quanto è rimasto come allora. I grandi media interessati propongono con sempre maggiore insistenza l’immagine di una valle rassegnata che ha cambiato idea, disposta ad accettare l’idea che il TAV “si può fare”. Non è così. Ma anche l’immagine di un modello intatto di democrazia partecipata è un’immagine distorta che non rende giustizia alla verità. La verità è più complessa e può essere utile un riassunto di questi ultimi due anni per chi, in altre parti del paese, si spende per la difesa del proprio territorio e dei beni comuni guardando con speranza e partecipazione alla resistenza NOTAV.
Il 30 Marzo segnerà l’avvio di una nuova fase della nostra lotta. Una forma inedita di resistenza, nata ben prima dell’autunno 2005, che fa politica mettendo al centro le persone, che nella lotta al TAV scopre tutti gli inganni di un modello di (non)sviluppo che uccide anche le speranze di futuro, che pratica nuovi stili di vita capaci di distinguere tra bisogni reali e una domanda di consumi indotta da un mercato che a tutto guarda fuori che alla qualità della vita.
Una resistenza che si è diffusa nel paese creando presidi e presidiando la democrazia, una resistenza che vuole stringersi nell’abbraccio di tante altre resistenze. E’ il Patto di Mutuo Soccorso.
Il big-bang
Era l’autunno del 2005, il problema TAV Torino-Lione varcava i confini della Val di Susa ed assumeva un rilievo nazionale, la resistenza della Val di Susa conquistava le prime pagine dei giornali e Venaus diventava un simbolo.
Era l’8 Dicembre e un nuovo presidio nasceva di fronte al cantiere aperto solo due giorni prima con i blindati e i manganelli della polizia: la perforazione della montagna avrebbe dovuto iniziare da lì, ma l’8 dicembre tutto si ferma, nei mesi successivi il cantiere rimane deserto e il presidio di fronte si anima sempre più.
Nove giorni dopo erano oltre 50.000 in piazza a Torino, giunti da tutte le regioni d’Italia: non era solo una manifestazione di solidarietà, c’era in ognuno dei presenti la condivisione profonda delle ragioni che animavano la lotta NOTAV. Era ormai chiaro che l’opposizione del valsusini al progetto non derivasse soltanto dai rischi per la loro salute e dalla certezza delle devastazioni ambientali: l’inutilità di quest’opera folle, il suo costo astronomico e la consapevolezza che sarebbe stato a carico di tutti i contribuenti, l’enorme business legato all’apertura dei cantieri, gli intrecci tra politica e criminalità organizzata. Tutto questo era ormai patrimonio comune e in molti comprendevano ora cosa intendessero i NOTAV quando parlavano di “partito trasversale degli affari”. Altri ancora lo avrebbero compreso nei mesi successivi quando si materializzò quel Patto di Mutuo Soccorso che oggi riunisce tanti piccoli cortili impegnati a difendere i beni comuni contro le devastazioni delle grandi opere e certo non affetti da sindrome nimby.
Quel laboratorio di democrazia nato in Val di Susa creava nuove speranze, suscitava grandi aspettative; quella gente che dialogava e lottava, che ritrovava il gusto della partecipazione e la voglia di difendere i propri diritti e il proprio futuro, quella gente che guardando alla propria valle indicava l’intero paese, quella gente era ora l’esempio da seguire. E quei sindaci schierati in prima fila con le loro fasce tricolori, insieme ai cittadini che li avevano eletti sulla base di programmi elettorali chiaramente targati NOTAV? Tutti si compiacevano nel misurare la differenza tra un impegno mantenuto ed una promessa elettorale. Che un altro modo di fare politica fosse possibile?
Cominciano le grandi manovre…
Anche il partito trasversale degli affari comincia a farsi domande, e sceglie subito di cambiare strategia. Il governo di allora, all’indomani della riconquista dei NOTAV di Venaus, decide di mettere da parte i manganelli e apparecchia un tavolo, anzi due: uno “politico” ed un “tecnico”. Al primo parteciperanno anche rappresentanti delle istituzioni locali guidati dal presidente della comunità montana Antonio Ferrentino; a quello tecnico, detto anche Osservatorio, siederanno anche tecnici nominati dalla comunità montana stessa: dovrà presentare al tavolo politico un quadro dettagliato della situazione trasportistica in valle, misurare la capacità dell’attuale linea ferroviaria, valutare gli scenari di traffico. Non dovrà invece considerare ipotesi di tracciati di una nuova linea ma dovrà limitarsi a fornire al tavolo politico gli elementi per rispondere alla domanda: “Di una nuova linea c’è bisogno oppure no?”. Queste sono le intese.
I sindaci della valle salutano la novità come un riconoscimento delle autonomie locali e confidano in una reale disponibilità al dialogo da parte del governo. Il presidente Ferrentino, che per molti era diventato un simbolo della protesta NOTAV, si dice convinto che l’Osservatorio dimostrerà, dati alla mano, che la linea ferroviaria esistente basta e avanza e questo taglierà la testa al toro.
I comitati NOTAV non nascondono perplessità, hanno sì fiducia nei due tecnici che faranno parte dell’Osservatorio, non dubitano che riusciranno a dimostrare questa tesi ma… mettono in guardia: “Il potere politico non accetterà mai un esito contrario alle sue aspettative, porterà comunque avanti i suoi disegni e cercherà di usare il tavolo tecnico contro di noi… potrebbe essere un cavallo di troia… non dobbiamo cascarci…”.
Le riserve crescono quando viene nominato presidente dell’Osservatorio tecnico Mario Virano: il governo in carica è ancora quello dei manganelli a Venaus ma Virano è più che mai gradito anche a quello che verrà, quello che dichiarerà un giorno sì e l’altro anche che intende operare con “il consenso delle popolazioni interessate”. L’architetto Virano, ha ricoperto vari incarichi che giustificano non pochi dubbi sulla sua imparzialità ma l’essere (ancora oggi) commissario governativo per la Torino-Lione sembra troppo: come potrà essere imparziale nella sua veste di presidente super partes dell’Osservatorio indossando anche la giacca di sponsor del TAV?
Le cose però vanno avanti e la comunità montana accetta i rischi. Inizia una nuova fase.
Uno sgabello a tre gambe
Che il rapporto tra Comitati NOTAV e parte istituzionale della valle non sia sempre stato facile è un dato di fatto; spesso i sindaci sono stati “portati” a schierarsi apertamente anche quando avrebbero preferito farne a meno, si sa come vanno le cose: che la maggior parte della popolazione in valle sia contraria al TAV non ci piove, ma un’amministrazione ha anche altro cui pensare... Comunque, anche se sull’Osservatorio le posizioni divergono, il dialogo continua, tutti sono consapevoli che i risultati fino ad ora conseguiti sono il frutto dell’equilibrio di quello che viene definito uno “sgabello con tre gambe”: la popolazione e i comitati, i numerosi tecnici del movimento che fin dai primi anni 90 avevano denunciato i rischi del progetto, i sindaci e gli amministratori dei comuni e della comunità montana. Ognuno ha fatto al momento giusto la sua parte, non è il caso di guardare chi spinge e chi frena: salvaguardare questo equilibrio è l’obiettivo che tutti si danno, consapevoli che nel momento in cui una gamba dello sgabello dovesse cedere sarebbero guai per tutti.
Cambia il governo, arriva quello “amico” e… cominciano nuovi guai. Che non tiri una buona aria lo si capisce presto, e Vicenza ce lo confermerà; il giorno dopo la manifestazione del 17 Febbraio 2007 (anche 2000 NOTAV in piazza…il Patto di Mutuo Soccorso funziona…) esce il dodecalogo di Prodi: il TAV è al terzo posto, la sinistra “radicale” ingoia tutto e non si scompone. Ma come? Non eravate contrari? Si, ma, però…
Inverno - primavera
Intanto anche in quel “laboratorio di democrazia” della val di Susa qualcosa sta cambiando: sarà il tempo, sarà l’effetto del governo amico… Certo, già un anno prima talvolta era stata usata qualche enfasi di troppo parlando di “democrazia partecipata”. Intendiamoci, la sostanza nei fatti era quella, “NOTAV senza SE e senza MA” era il sentire comune di cui anche i sindaci si facevano interpreti, lo sgabello stava in piedi e guai se qualcuno provava a dare una pedata per farlo traballare. Si tenevano riunioni periodiche tra sindaci, comunità montana e comitati: venivano chiamate “comitati istituzionali”, non erano sedi decisionali (il presidente Ferrentino ci teneva a sottolinearlo sempre) ma insomma, alla fine le posizioni espresse in qualche modo poi pesavano. Molti continuavano a guardare alla Valsusa come a un modello da imitare. Nell’immagine che ne veniva data c’era molto di vero e qualche enfasi di troppo: se serve a dare più coraggio questo non guasta, a patto di non creare false illusioni; suscitare nuovi entusiasmi va bene, ma occorre pur sempre stare con i piedi per terra, e guai a non accorgersi se qualcosa sta cambiando.
Il tempo passa e il dialogo spesso si interrompe, nascono diffidenze, c’è chi accusa e chi si chiude in difesa, i toni talvolta salgono un po’ sopra le righe. Quei comitati istituzionali non sono più convocati, il clima si deteriora. Non si parla di tradimenti, sia ben chiaro, ma la fiducia è un’altra cosa e crescono le incomprensioni. Ma perché la conferenza dei sindaci è fatta a porte chiuse? Dove è finita la trasparenza? Perché Ferrentino non accetta il confronto prima di presentarsi al tavolo politico romano? Perché non si sforza di convincere al suo rientro da Roma? Perché in valle si nega e altrove continua a presentarsi come leader di un movimento quando le sue scelte oggi sono sempre meno condivise? Dubbi che chiamano altre domande, domande che avanzano nuovi dubbi.
Estate
In questo clima escono intanto i primi documenti dell’Osservatorio tecnico, e vengono chiamati “quaderni” quasi fossimo a scuola. E parlano chiaro: i dati confermano che l’attuale ferrovia basta e avanza, basta per oggi e di sicuro fino al 2030, dopo non ha senso fare previsioni. Risultati sottoscritti da tutti, nero su bianco, compresi gli sponsor del TAV. I nostri tecnici spiegano che va tutto bene, Ferrentino conferma. Che abbia avuto ragione lui? Abbiate fiducia, devono essere “loro” a gettare la spugna, continua a ripetere.
In realtà il governo amico ha un’altra idea e non fa nulla per nasconderla. L’Osservatorio tecnico messo in piedi da Lunardi e Berlusconi è talmente apprezzato da Di Pietro e Prodi che questi pensano bene di utilizzarlo nel presentare all’Unione Europea una richiesta di finanziamento per la nuova linea: dicono che il confronto con le popolazioni locali ha portato buoni frutti e le resistenze sono ormai ridotte a marginali sacche di irriducibili.
Confronto? Quale confronto? Vuoi vedere che…. No, non può essere, anche nei documenti ufficiali dell’Osservatorio (i cosiddetti “quaderni”) sta scritto che il traffico sull’attuale linea ferroviaria è ben al di sotto delle sue potenzialità (6 milioni di tonnellate/anno a fronte di 20-30 milioni), che il traffico è in diminuzione e che non è ipotizzabile una saturazione per decenni! E soprattutto da dove salta fuori questa nuova disponibilità delle popolazioni?
Lo ha spiegato il commissario della UE Barrot, quando i NOTAV gli hanno consegnato 32.000 firme che dimostrano esattamente il contrario: “Me lo ha detto il ministro Di Pietro, e ha parlato di un Osservatorio nel quale è attivo da mesi un proficuo confronto con le amministrazioni locali…”.
Un commissario europeo può dar credito a qualche migliaio di firme e dare del bugiardo ad un ministro di uno stato membro? No, non può, anche se il ministro mente. Detto fatto: l’Europa promette il finanziamento che le regole vorrebbero fosse subordinato al consenso delle popolazioni interessate dal progetto. Prodi e Di Pietro ringraziano pubblicamente l’Europa, poi ringraziano Virano in privato. I grandi media fanno il lavoro sporco, si scatenano e parlano di una valle rassegnata che ha cambiato idea. Niente di più falso.
Ma allora quel cavallo di Troia di cui si parlava? Se prima potevano esserci dubbi…
Autunno - inverno
Tra sindaci e amministratori già da tempo crescono i malumori, e prendono corpo distinguo e prese di distanza dal presidente della comunità montana che non si sposta di un centimetro dalla sua posizione: avanti tutta, abbiamo la situazione in pugno, non è successo niente. Come niente? E’ pur vero che la cifra promessa dall’Europa è solo una briciola rispetto al costo dell’opera, ma non è di grande significato sul piano politico? E il tavolo politico che dopo lo stanziamento dei fondi europei ha deciso che l’Osservatorio ora si occuperà di definire i tracciati della nuova linea? Non è successo niente? Ma fino a ieri non si era detto che nell’Osservatorio si deve parlare solo di “SE TAV” e non di “COME TAV” e il presidente Ferrentino aveva assicurato che se il mandato fosse cambiato avrebbe lasciato il tavolo?
Per farla breve: 87 amministratori, e tra essi alcuni sindaci, prendono carta e penna e scrivono che così non va, che l’esperienza dell’Osservatorio va considerata chiusa. E’ una scelta coraggiosa e giusta, che riceve ampi consensi. Gli schieramenti politici in questa presa di posizione c’entrano ben poco: semmai il numero dei sindaci e degli amministratori dissidenti non è più elevato a causa delle enormi pressioni dei partiti. Ma le previsioni sono che le adesioni cresceranno, e i partiti alle prossime elezioni la pagheranno cara, a cominciare da quelli che sostenevano le ragioni NOTAV e un anno fa hanno digerito il dodecalogo di Prodi e neppure oggi si mostrano pentiti, anzi.
Una nuova primavera
La storia non è finita, è appena iniziato un nuovo capitolo. Sì perché se è vero che sono stati mesi difficili non sono passati invano e il movimento NOTAV è oggi più maturo di ieri. L’Osservatorio per fortuna non è tutto, quel che conta è che da qui non passeranno dicono i comitati NOTAV, anche quelli che in questi mesi si erano un po’ arrugginiti e oggi si stanno riprendendo. Dicendo “da qui” non intendono solo Venaus e dintorni: vale anche per la val Sangone che secondo gli strateghi di Di Pietro & C. dovrebbe opporre minor resistenza, vale per Chiomonte dove gli stessi strateghi hanno previsto lo sbocco del grande buco sotto la montagna, quello che ci eviterebbe l’isolamento dall’Europa.
Riprendono slancio assemblee, serate informative e iniziative varie, il movimento precisa il primo obiettivo: smentire le voci (interessate) che parlano di una valle rassegnata e convinta che non può sempre dire soltanto NO. In questo caso si può e si deve, perché non ci sono altre strade. Altre strade porterebbero ad accettare qualcosa in cambio, vedrebbero il progetto concretizzarsi a poco a poco, diluito un po’ più nel tempo: tanto tutti sanno che il “loro” obiettivo non è “utilizzare” una nuova infrastruttura ma “costruire” una nuova infrastruttura, e la differenza non è poca. Hanno in mente di cominciare da Torino dove il sindaco Chiamparino non vede l’ora di utilizzare il TAV anche come pretesto per dare il là ad una enorme speculazione edilizia che i progettisti hanno definito “la rivoluzione urbanistica del 21 secolo”. Un affare più grande dei nuovi grattacieli che cambieranno il volto di Torino, anzi la premessa per altri grattacieli. Non sono fantasie, il progetto di c.so Marche e della cintura ovest della città sta lì a dimostrarlo così come i progetti dell’Agenzia per la Mobilità Metropolitana che guardano lontano, verso la bassa valle di Susa. Un pezzo qua, un pezzo là, e questo è fatto: domani poi vogliamo lasciare le cose così e non unire i vari pezzi?
Un nuovo capitolo insomma si apre oggi per i NOTAV: sanno che lo sgabello a tre gambe oggi traballa un po’, ma invece di piangersi addosso si danno da fare per renderlo di nuovo stabile, non canti vittoria chi lo vede già caduto. E se oggi alcuni sindaci non si espongono ancora beh, vedremo, non è detto…
Tanto per cominciare i NOTAV sanno di non essere soli. Da quell’8 dicembre di due anni fa ne hanno fatta di strada, hanno costruito nuove relazioni, hanno stretto nuove amicizie, hanno suscitato aspettative, hanno esportato ovunque un modello: i presidi stile Venaus, o Borgone o Bruzolo sono quasi un marchio di qualità… Continuano a promettere “Sarà Dura”.
Di nuovo la valle fa sentire oggi la sua voce, è una voce NOTAV, è ben diversa da quella che riportano i grandi media, e per cominciare invita tutti a prenotarsi un posto in prima fila per diventare protagonisti di questa avventura: ogni occasione deve essere buona per condurre una lotta pacifica, non violenta e determinata. L’idea è semplice.
Il governo appena sfiduciato ha promesso nuovi sondaggi, nuove opere preliminari; dal governo che verrà, quale che sarà, non ci sarà certo da aspettarsi che cambi idea da solo: deve essere aiutato. Bene, nei luoghi in cui sono previsti i prossimi sondaggi, quando si presenteranno per eseguire gli espropri dei terreni… si troveranno di fronte un migliaio di NOTAV, ognuno proprietario di un solo, piccolo, metro quadro di terreno su quale ognuno vorrà esercitare il proprio diritto. Il prossimo 30 Marzo ognuno comprerà un posto in prima fila, 15 euro, spese notarili comprese. Riusciranno a fermare il TAV con i cavilli burocratici ed il notaio? Nessuno si illude: ma intanto un altro granello di sabbia finirà negli ingranaggi, e poi… saranno (saremo) in tanti ad accoglierli quel giorno!
20 Marzo 2008
A cura di:
Ezio Bertok (Comitato NOTAV-Torino)
Maurizio Piccione (Spintadalbass - Avigliana)