“Qui a far niente” Nello scalo merci viaggia lo spreco
A Orbassano tra
binari morti e ponti fantasma. Il Caat isolato: la ferrovia si ferma a 20 metri
Al centro
intermodale il lavoro diminuito del 90%.
Nell’area in 20
anni è stata investita una montagna di soldi pubblici
MERCI IN ENTRATA
AL SITO: 3% SU FERRO, 97% SU GOMMA
MERCI IN USCITA
DAL SITO: 0% SU FERRO, 100% SU GOMMA
di Massimiliano Peggio da La Stampa del 25/9/09 – pag 64 - Cronaca di Torino
«Vinto! Adesso andiamo a" mangiare. Visto che numero? Con me non potrai mai farcela». Se la ridono i due ferrovieri imboccando la strada del ristorante, commentando l'ultima mano fortunata. È da poco passato mezzogiorno: allo scalo intermodale di Orbassano c'è poco o nulla da fare, se non giocare a carte in un ufficio. «È così, purtroppo. Un tempo trattavamo tremila vagoni al giorno. Oggi appena trecento: in pratica venti o venticinque treni», ammette un macchinista seduto all'ingresso. Un deserto di ferro: 70 fasci di binari per lo più inutilizzati.
A meno di un
chilometro, al di là di un muro più solido della «Cortina di Ferro», c'è il
Sito. Dovrebbe essere un «partner strategico», ma i loro rapporti s'infrangono
in una parete prefabbricata. La zona storica, quella del Sito-Sud, non ha
accesso diretto alla scalo ferroviario. «Tra noi e loro non c'è sinergia»,
dicono qui. Altro che scambio gomma-rotaia: al Sito funzionano solo i camion
con i camionisti stranieri che sostano poco. Eppure, anche qui, nel girone
delle merci e della logistica, c'è un deserto, un monumento allo spreco. E la
dogana. I finanzieri di turno allargano le braccia, consapevoli di non fare
quasi nulla. «Nel 1992 smistavamo 500 camion al giorno. Adesso, se va
bene, ne controlliamo una quarantina». Il piazzale della dogana è una distesa
desolata di cemento dove scorrazzano conigli selvatici e crescono i pomodori
coltivati dagli stessi militari. Ma di merci in transito nemmeno l'ombra. Uno
spreco figlio di una «pianificazione» che non aveva previsto la rivoluzione
delle frontiere. Quell'Europa sempre più grande e senza frontiere disegnata
dagli accordi di Schengen. «Adesso sdoganiamo per lo più prodotti cinesi,
indiani, turchi. Merce destinata a Torino. Poca roba rispetto al passato».
Nella zona Nord, dove sorge il Centro Agroalimentare di Torino (ex Mercati generali), c'è un'altra cartolina delle opportunità mancate. Non si sa perché, ma c'è un binario morto che punta diritto al centro e si blocca nel nulla. A venti metri dal perimetro del complesso. C'è anche un ponte incompiuto. Opere che avrebbero dovuto portare il treno direttamente all'interno del Caat.
Questo spaccato di
«giganti» isolati è emerso dalla minuziosa indagine commissionata dal Comune
di Rivalta alla società Polinomia di Milano. Uno studio che prende in esame le
strutture e i flussi di merci che transitano in uno dei più importanti snodi
commerciali piemontesi. Anzi, il «nodo» per antonomasia, secondo i
sostenitori della Torino-Lione. «Abbiamo commissionato questo studio -
spiega il sindaco di Rivalta, Amalia Neirotti - per capire il valore
strategico dell'area che comprende lo scalo ferroviario, il Sito e il Caat in
relazione all'ipotesi Tav. Ciò che è emerso ci aiuterà ad esprimere la nostra
posizione sul progetto dell'alta velocità, partendo da dati concreti».
E i dati sono quelli
elaborati dall'ingegner Andrea Debernardi, consulente tecnico della Comunità
Montana dell'Osservatorio sulla Tav, esperto di ingegneria dei trasporti. Per
conoscere i flussi merci del Sito, si è dovuto affidare ad una tesi di laurea,
perché non esistono registrazioni aggiornate in tempo reale. Un'anomalia
riconosciuta dagli stessi dirigenti. «Essendo una struttura aperta, senza
accessi controllati - dice il professionista - non è possibile fare un
"check-in" e un "check-out" delle merci». Ma è il mito
della «sinergia» a sbriciolarsi sotto la dura realtà dei numeri. «Di tutte
le merci in ingresso al Sito - afferma Debernardi - solo il 3% proviene
dalle rotaie. Mentre in uscita non c'è un solo grammo destinato alla ferrovia».
Conoscere i dati delle
ferrovia, invece, è stata una missione impossibile. «Nonostante tutti i
solleciti - ammette - mi sono dovuto affidare ai volumi del 1999. Di
ufficiale non c'è altro». Per rendersi conto di ciò che accade allo scalo,
basta soffermarsi qualche ora, parlare con i ferrovieri. L'unica parte in
attività è la zona logistica, dove c'è movimento di merci, ma è sotto il
controllo di operatori privati. La movimentazione dei convogli, nell'area
ferroviaria, è quasi assente. «È una struttura obsoleta, organizzata con
tecnologie antieconomiche», sentenzia Debernardi nel suo studio. Anzi, uno
scalo nato già vecchio nei lontani Anni 70.