Le condanne vanno da tre mesi a 5 anni di reclusione e il risarcimento supera i 150 milioni di euro.
Tra i condannati ci sono i vertici di Cavet, consorzio che ha avuto in appalto i lavori.
Tra i risarciti il ministero dell'Ambiente, la Regione e la Provincia toscane.
I ventisette condannati sono colpevoli di illecito smaltimento dei rifiuti.
Il reato di furto aggravato di acque pubbliche stralciato alla Corte Costituzionale
di Franca Selvatici da
Repubblica del 4/3/09
Ventisette persone condannate per reati
ambientali e l’obbligo, per il Cavet, di risarcire le parti civili, versando 50
milioni di euro al ministero dell’Ambiente, 50 alla Regione e 50 alla
Provincia. Si è concluso così il processo sulla costruzione della Tav fra
Emilia Romagna e Toscana. Il territorio del Mugello è stato
duramente sacrificato a una grande opera di ingegneria realizzata con
scarsissima attenzione per l’ambiente. E’ la conclusione del processo sulla
costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità (Tav) fra Emilia Romagna e
Toscana: 79 chilometri di cui 73 in galleria. Cominciato oltre quattro anni fa,
il 26 novembre 2004, il processo si è chiuso ieri, dopo 100 udienze, con la
condanna di 27 persone per reati ambientali, a pene comprese fra 5 anni di
reclusione e 3 mesi di arresto.
Tredici dei 27 condannati sono dirigenti,
ingegneri e tecnici del Consorzio Cavet, il general contractor dell’opera, il
cui capofila è Impregilo. Il giudice Alessandro Nencini ha condannato a 5 anni
l’ amministratore delegato di Cavet Alberto Rubegni, gli ex direttori generali
Carlo Silva e Giovanni Guagnozzi, i direttori di tronco Franco Zambon e Franco
Castellani, accusati di aver disseminato il territorio del Mugello, e non solo,
di discariche di materiali di scavo delle gallerie e di fanghi contaminati da
idrocarburi e da cemento, e di aver organizzato un traffico illecito di
rifiuti. Il Cavet, responsabile civile, dovrà risarcire, insieme con tutti i
condannati, le parti civili. A titolo di anticipo dovrà versare 50 milioni di
euro al Ministero dell’Ambiente, 50 milioni alla Regione Toscana, 50 alla
Provincia di Firenze, più somme minori ad altri enti pubblici. Le accuse
formulate dai pm Giulio Monferini e Gianni Tei, che hanno coordinato le
indagini dei tecnici dell’Arpat, della polizia municipale e dei carabinieri,
erano numerosissime e occupavano oltre 200 pagine. Molti dei reati, però, si
sono prescritti durante il processo. L’Italia è, a quanto pare, l’unico paese
nel quale i termini di prescrizione continuano a decorrere anche dopo l’avvio
dei processi. Fra le accuse prescritte anche quella di truffa ai danni della
Regione. Sul reato ritenuto più grave dalla procura, quello di furto aggravato
di acque pubbliche, il giudice Nencini ha disposto uno stralcio dal
procedimento principale e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.
Secondo le accuse, Cavet ha utilizzato senza
autorizzazioni non meno di 5 milioni di acque pubbliche per gli impianti di
betonaggio, il lavaggio di mezzi meccanici e altre attività di cantiere. La
legge Galli del ’99 ha depenalizzato l’illecito impossessamento di acque
pubbliche per usi industriali. Ne deriva che chi ruba una mela rischia una
condanna penale, chi preleva illecitamente un bene prezioso come l’acqua per
usarla in un cantiere rischia una sanzione amministrativa (così come, prima
dell’ intervento della Corte Costituzionale, chi falsificava le firme sulle
liste elettorali rischiava meno di chi apponeva una firma falsa su un documento
privato). Secondo il giudice Nencini, la norma che depenalizza il furto di
acque per usi industriali è viziata da irragionevolezza e grave contraddizione
e confligge con il diritto fondamentale a mantenere integro il patrimonio ambientale.
Di qui la decisione di rimettere la questione alla Corte Costituzionale.
L’inchiesta sui danni causati dai cantieri Tav era divisa in due filoni
principali: quello della contaminazione dei terreni e delle acque per effetto
dello smaltimento delle terre e dei fanghi delle lavorazioni in galleria, e
quello del drammatico prosciugamento delle sorgenti e dei fiumi del Mugello,
una delle regioni più ricche di acqua d’Italia.
Secondo le accuse, a causa dei lavori in galleria e della
intercettazione «selvaggia » delle acque di falda, si sono seccati 57 km di
fiumi, la portata di altri 24 km di corsi d’acqua si è drasticamente ridotta,
sono state prosciugate 37 sorgenti e 5 acquedotti. Un disastro ambientale per
il quale la procura contestava il danneggiamento aggravato, un reato
volontario. Il giudice ha ritenuto invece che questi gravissimi danni siano
stati causati da negligenza o imperizia, cioè siano colposi, e il codice penale
non prevede il reato di danneggiamento colposo. Da questa accusa, perciò, tutti
gli imputati sono stati assolti. Tuttavia le famiglie e le aziende danneggiate
potranno chiedere i danni in sede civile.