La
requisitoria finale
L’accusa ha chiesto 43 condanne, dai dieci anni per Alberto Rubegni,
Carlo Silva e Giovanni Guagnozzi, presidente, consigliere delegato e direttore
generale di Cavet, il consorzio di imprese che ha avuto in appalto i lavori Tav
16 maggio 2008
Condanne per oltre 180 anni di reclusione, tra cui le più alte, a dieci anni, per i vertici Cavet, sono state chieste oggi dai pm Giulio Monferini e Gianni Tei al processo a Firenze per i danni ambientali causati dai cantieri dell’Alta velocità tra il capoluogo toscano e Bologna. In totale, al processo in corso a Firenze, l’accusa ha chiesto 43 condanne, dai dieci anni per Alberto Rubegni, Carlo Silva e Giovanni Guagnozzi, presidente, consigliere delegato e direttore generale di Cavet - il consorzio di imprese che ha avuto in appalto i lavori Tav - a due mesi di arresto.
LE
ASSOLUZIONI. Chiesta l’assoluzione di altri 21 imputati del processo,
che coinvolge vertici e dipendenti Cavet, ditte in subappalto, gestori di cave
e di discariche, un funzionario del Comune di Firenzuola, intermediatori per i
rifiuti. Le accuse, a vario titolo, riguardano i danni alle falde acquifere e
ai torrenti a causa dei lavori per le gallerie, con, anche, l’accusa di furto d’acqua
e cessione illecita di rifiuti prodotti dall’opera. «Non ricordo richieste
simili al processo per la tragedia di Stava, con centinaia di morti», il
commento, sbalordito, dell’avvocato Tullio Padovani, tra i legali Cavet. «In
Italia - ha aggiunto - le grandi opere non si riescono a costruire. Quando ci
si riesce questo è il prezzo. L’accusa principale è il furto d’acqua oltre ad
altri reati dolosi. Siamo di fronte a una "banda di criminali". Ma
cosa è successo? È accaduto che hanno scavato e intercettato sorgenti». Tra le
parti civili oggi, l’avvocato Roberto Inches, per una cinquantina di cittadini,
ha chiesto 10 milioni di euro di risarcimenti.
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Associazione di volontariato Idra
COMUNICATO STAMPA Firenze,
16.5.'08
TAV, DISASTRI NON SOLO AMBIENTALI AL PROCESSO DI FIRENZE:
RISULTATI INQUIETANTI, CASTA POLITICA INDIFFERENTE
Le richieste di condanna dei
Pubblici Ministeri al processo di Firenze non possono sorprendere chi abbia conoscenza
dei fatti e degli argomenti riassunti nelle loro ponderose e documentatissime
requisitorie.
Il lavoro di
indagine e di approfondimento svolto dalla Procura di Firenze è stato di prima
grandezza, e ha rivelato fin nei minimi particolari l’esistenza di un vero e
proprio “sistema” perverso di approvazione, esecuzione, monitoraggio e
controllo dei progetti, eversivo dei principi di fondo del buon senso, del buon
governo, della trasparenza e della legalità.
I risultati
dell’inchiesta giudiziaria e del confronto avvenuto in Tribunale possono solo
inquietare la coscienza civile del popolo italiano. Ma non scalfiscono,
apparentemente, quella della sua casta dirigente: né a Firenze (dove si
intende scavare senza alcun serio confronto con la popolazione un doppio tunnel
di sottoattraversamento AV ortogonale alle linee di scorrimento della falda), né in Val di Susa, né in Trentino – Alto Adige, né in Veneto, Friuli e Venezia Giulia si ha
notizia di una rivisitazione – da parte delle autorità politiche - della strategia
di attuazione delle cosiddette grandi opere che tenga conto dei risultati
globali del processo di Firenze. Nessuna apparente resipiscenza nella
classe politica, che esprime dappertutto in Italia una irrefrenabile pulsione a dissanguare l’economia e il futuro dei
nostri figli con architetture finanziarie autolesioniste, a disprezzare
l’ecologia ignorando irresponsabilmente i limiti dello sviluppo e delle
risorse, a snobbare e mortificare le esigenze di confronto con la società
civile.
Si conferma
senza tentennamenti la disinvolta frettolosità e superficialità che ha permesso
in Toscana a interessi ben diversi da quelli del bene comune di farsi legge e
di distruggere legalmente - fatto salvo l’intervento necessariamente postumo
della Magistratura - il nostro prezioso e unico territorio. Si ribadiscono
quotidianamente e senza pudore il postulato “s’ha da fare” e il metodo
“fai-da-te”, che l’attuale classe politica sembra anteporre trasversalmente ai
princìpi democratici dell’informazione, della consultazione, del dibattito
pubblico, della partecipazione alle scelte.