PRESIDIO braccio di ferro alla Maddalena

Sigilli tolti e subito rimessi

Il movimento discute sull’azione di sabato quando sono entrati nella casa sequestrata

 

di Marco Giavelli da Luna Nuova del 23/11/10 – pag. 3

 

Chiomonte - Anche nel mo­vimento No Tav sta cominciando a serpeggiare il dubbio che forse quella di rompere i sigilli (già rimessi dai carabinieri) e riprendere i lavori al fortino della Maddalena non sia stata la scelta più opportuna. Vuoi per il modo un po' improv­visato con cui la decisione è stata presa. Vuoi perché violare un'area sotto sequestro rimane un reato, punibile ai sensi dell'articolo 349 del codice penale con la reclusione da sei mesi a tre anni e con una multa che va da 103 a 1032 euro.

 

C'è comunque chi rivendica con orgoglio il gesto compiuto sabato mattina, tanto che fin da subito ha detto di volersene assumere la responsabilità «perché qui si tratta di difendere il nostro territorio e il nostro futuro». Altri, nell'assem­blea che si è svolta nella piazza di Chiomonte, avevano fatto capire di non essere molto d'accordo e infatti o non sono venuti alla Maddalena, scoraggiati anche dalla pioggia e dalla località poco accessibile, op­pure ci sono venuti ma sono rimasti intorno al presidio senza entrare nel perimetro che fino a qualche istante prima era recintato. La stragrande maggioranza dei circa 200 mani­festanti scesi alla Maddalena è co­munque rimasta fuori dal recinto: lo confermano anche i carabinieri della compagnia di Susa, che con i militari del nucleo informativo del comando provinciale stanno procedendo alle identificazioni attraverso il filmato registrato dal viadotto dell'A32. Alla fine le de­nunce alla procura per "violazione di sigilli" dovrebbero scattare per 15-20 persone al massimo.

 

Portata a termine la simbolica riconquista della baita No Tav, verso mezzogiorno i manifestanti hanno abbandonato il sito tutti insieme. Poi, verso le 16 di sabato, i carabinieri sono tornati indistur­bati a rimettere i sigilli. Da lì in poi non s'è più mossa foglia, ma adesso è chiaro che il movimento dovrà studiare una strategia alternativa se vorrà dare un'altra risposta al sequestro "ad alta velocità" disposto dalla magistratura, definito da Alberto Perino «una pro­vocazione dei poteri forti, che hanno utilizzato la magistratura per sparare un missile atomico contro un passero».

 

Durante l'assemblea, il leader storico del movi­mento No Tav ha ripercor­so la vicenda data per data: «Noi il terreno lo abbiamo acquistato a metà ottobre o giù di lì. Gli avvisi di garanzia portano la data del 4 novembre, mentre l'ordi­nanza di demolizione è stata firma­ta dall'ufficio tecnico I'11, quindi cinque giorni dopo, e notificata il 13. Sono davvero velocissimi - ha detto con evidente sarcasmo - Vi­viamo in uno stato un po' strano, dove la Procura riesce a muoversi prima degli uffici tecnici e dove scopriamo che l'Italia dovrebbe essere un paese in cui, stando alle sue leggi e alla solerzia della magistratura, neanche un pollaio dovrebbe essere abusivo».

 

Perino ne ha per tutti: magistra­tura, politici, giornalisti e costrut­tori. Parla dell'avviso di garanzia mandato a cinque persone «scelte molto bene, così sui giornali pos­sono sbizzarrirsi a disegnare il loro passato. Peccato che non lo facciano anche per altre persone che siedono in Comune a Chiomonte o peggio ancora in parlamento». Poi tira in ballo il Frais, definen­dolo «un posto dove a suo tempo le case sono venute su come funghi» e preannunciando che i No Tav si prenderanno qualche mese per esaminare con attenzione se tutte le costruzioni della stazione sciistica chiomontina sono in regola con licenze edilizie e abitabilità.

 

«A noi allora cosa resta? - con­clude Perino - La disobbedienza civile». Di idee ce ne sono tante. Nell'assemblea di sabato mattina in piazza Balp de Roche Brune, sotto il municipio, viene fuori tutta la proverbiale creatività del movi­mento No Tav. Alcuni sostengono che ci vuole una risposta immedia­ta: rompere i sigilli e riprendere i lavori. Ma c'è anche chi propende per ragionarci su e organizzare qualcosa di simpatico nell'ottica di allargare il consenso del movi­mento. Una proposta è quella di fare un "contro-sequestro": ripulire il terreno e picchettare tutta l'area di proprietà del movimento, oppure sequestrare il palazzo comunale "sigillandolo" con il nastro bianco e rosso. Un'altra idea è fare dei "presìdi a schiera", magari spostando la baracca in lamiera già col­locata sull'altro terreno No Tav.

 

Altri propon­gono invece di giocare con la stessa arma utilizzata dal­la controparte: la burocrazia. Autodenunciarsi tutti perché quello è il pre­sidio dell'inte­ro movimento e estendere il di­scorso ai comitati di tutta ltalia contrari all'opera, ingolfando così la macchina giudiziaria «perché la magistratura - sostengono - non potrà mettersi contro a centinaia di migliaia di persone». Altri ancora suggeriscono di cavalcare questa vicenda trasformandola in un grande tema politico da lanciare a livello nazionale, sviscerando tutto ciò che ha a che fare con abusi edilizi, speculazioni e commistioni di interessi. Tutte proposte che però presuppongono una risposta non immediata, a bassa velocità. Su una cosa, comunque, sono tutti d'accordo: andare alla Maddalena, in macchina o a piedi, e poi si vedrà. I manifestanti accerchiano l'area sequestrata, rigorosamente al di là dei nastri. Discutono, valutano il da farsi. E alla fine, in un amen, passa la prima idea, quella lanciata da Nicoletta Dosio del comitato di lotta popolare di Bussoleno e poi appoggiata da altri attivisti: rompere i sigilli e riprendere i lavori «perché ognuno di noi - ha detto - è responsabile del presidio Clarea e non solo i cinque compagni colpiti dall'avviso di garanzia».