Estratto da Corruzione
ad Alta Velocità di F. Imposimato, G. Pisauro, S. Provisionato. Koinè nuove edizioni
[Cap. VI – L’uomo
che sapeva troppo - pagg. 143-144; 149-150]
L’ex pubblico ministero non è un
personaggio semplice da decifrare. Non lo è stato quando faceva il magistrato e
neppure da semplice cittadino, specie nei suoi legami di amicizia. Figuriamoci
quando si parla di politica. Pur essendo la sua cultura politica facilmente
decifrabile, le sue oscillazioni sono state molto ben calcolate.
Il rapporto tra Di Pietro e Berlusconi è un rapporto di quelli delicati, molto delicati. Anche perché investe l’attuale ruolo politico dell’ex pm. Per tracciarlo ci affideremo allora a un documento ufficiale: ancora una volta le motivazioni della sentenza di un tribunale, quello di Brescia che ha processato, assolvendoli, una serie di personaggi accusati di aver complottato contro Di Pietro per costringerlo a dimettersi dalla magistratura. E’, per intenderci, il processo nel quale Di Pietro si avvale della facoltà di non rispondere, balbettando davanti ai giudici.
Ecco come quella sentenza
ricostruisce la visita di Di Pietro al leader di Forza Italia, all’epoca
presidente del consiglio che sta costituendo il suo governo:
“ […] nel maggio del 1994, in
occasione della formazione del governo presieduto da Silvio Berlusconi, Di
Pietro venne contattato da Previti, futuro ministro della nascente compagine
governativa, che gli offrì l’incarico di ministro dell’Interno. […] Di Pietro
declinò l’offerta perché era sua intenzione continuare ad operare nell’ambito
della magistratura fino alla definizione delle inchieste giudiziarie,
precisando però che comunque era maggiormente interessato ad incarichi
istituzionali. […] L’imputato Previti riferisce in proposito di un incontro
svoltosi con Di Pietro a Roma qualche giorno prima della presentazione della
lista ufficiale dei ministri, risalente al 9 maggio 1994. Nell’occasione il
magistrato ebbe colloqui privati separati con Previti e Berlusconi e un
colloquio con entrambi contemporaneamente”
…
E come chiosa finale arriva la
conclusione inquietante del tribunale:
“ Può, quindi, ritenersi che Di
Pietro era particolarmente attratto fin dal maggio del 1994 da investiture
politiche, anche se all’ultimo momento preferì rinviare, optando per una
diversa strategia di scelte personali”
…
Ci sarebbe piaciuto molto riportare, su queste vicende, anche la versione di Antonio Di Pietro. Ma come si sa sono argomenti che Di Pietro ha sempre evitato di affrontare. Non ne ha voluto parlare neppure con i tre giudici del tribunale di Brescia.
E per un ex magistrato non si tratta di cosa da poco.
Di Pietro e Prodi
Antonio Di Pietro è sempre stato un maestro nell’usare il fatidico bastone e il suo classico contraltare, la carota. Il magistrato milanese ha sempre saputo come alternare ruvidezza e morbidezza. E come, in molte altre situazioni, usare la morbidezza per i suoi amici più intimi e la rugosità dei modi spicci e sbrigativi, tanto per usare due eufemismi, nei confronti degli altri.
Verso l’allora presidente dell’Iri Romano Prodi, futuro presidente del consiglio, il Tonino nazionale nel loro primo faccia a faccia non ha mezze misure e sceglie la linea dura. Romano Prodi viene interrogato dall’uomo di Montenero, che vuole sapere di eventuali finanziamenti dell’Iri ai partiti, il 4 luglio 1993. E’ un interrogatorio pesante, tanto che le urla quel giorno si sentono fin nei corridoi della procura. Ma Prodi nega. Di Pietro legge allora al presidente dell’Iri i verbali che contengono le dichiarazioni di Giuliano Graziosi (Stet) e Franco Reviglio (Eni). Prodi annaspa, non ricorda, ammette solo pressioni da parte di Craxi e Andreotti. Alla fine del confronto Di Pietro congeda Prodi più o meno con queste parole:
“va bene professore, torni a Roma e rifletta bene su
quello che abbiamo detto. Ci rivediamo lunedì, sappia però che potremmo essere
costretti a farla continuare a riflettere lontano da casa.”[1]
Le urla, le aggressioni verbali e le minacce neppure tanto velate di arresto scuotono il professore bolognese a tal punto che Prodi va a dolersene con il presidente della Repubblica Scalfaro. Riferirà l’accaduto, con toni accorati, parlando di una grande umiliazione subita, anche all’ex ministro della Giustizia Filippo Mancuso.
L’8 luglio – un po’ a freddo – Scalfaro in una sua
esternazione si rammarica per gli eccessi giustizialisti e l’uso disinvolto
della carcerazione preventiva da parte di alcuni pubblici ministeri. “Non c’è dubbio – dice il presidente
della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro – che il carcere per convincere
l’inquisito a parlare non è nel rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo.”
A Prodi sul piano giudiziario, dopo l’intervento di Scalfaro, non accade più nulla per un certo lasso di tempo. Di Pietro con lui sembra aver mollato l’osso. Ma che cosa c’era di tanto misterioso nell’Iri di Romano Prodi da interessare un pubblico ministero?
Esattamente quello che c’era nell’attività di Prodi prima che lo stesso assumesse la presidenza dell’Iri.