di Lorenzo Frigerio da Narcomafie del 14/7/10
http://www.narcomafie.it/2010/07/14/milano-reggio-sgominata-la-lombardia/
Più di 40 summit di mafia nel
giro di due anni, oltre 500 affiliati in tutta la Lombardia, 15 “locali” di
‘ndrangheta sbaragliati, 304 arresti divisi in parte equa tra Lombardia e
Calabria, 55 perquisizioni, 60 milioni di euro di beni sequestrati, ingenti
quantitativi di droga e armi finiti sotto chiave: sono solo alcuni delle cifre
che restituiscono, del tutto parzialmente, ma efficacemente, la complessità
dell’inchiesta denominata “Il crimine” e condotta dalla DDA di Milano e da
quella di Reggio Calabria che ha scosso nelle ultime ore l’opinione pubblica,
soprattutto lombarda.
“La
più vasta operazione mai condotta nei confronti delle mafie, della ‘ndrangheta
in particolare, nella storia del paese”: così i giudici Giuseppe Gennari e
Andrea Ghinetti nell’ordinanza descrivono il blitz delle forze dell’ordine
contro i clan presenti in Lombardia, terra di conquista e di saccheggio.
Sono state colpite le famiglie
leader della ‘ndrangheta delle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e
Crotone: i Pelle di San Luca, gli Iamonte di Melito Porto Salvo, i
Pesce-Bellocco e gli Oppedisano di Rosarno (in manette anche l’ottantenne boss
Domenico Oppedisano considerato al vertice delle famiglie di ‘ndrangheta).
Arresti anche per altre famiglie: i Commisso di Siderno, gli
Acquino-Coluccio ed i Mazzaferro di Gioiosa Ionica, gli Alvaro di Sinopoli, i
Longo di Polistena.
Il brusco risveglio. Milano e
la Lombardia si svegliano da un lungo torpore di questi ultimi decenni e si
trovano la mafia davanti all’uscio di casa, assistendo impotenti agli arresti e
ai sequestri eseguiti da un vero e proprio esercito coordinato dai magistrati:
circa 3.000 uomini delle forze dell’ordine, in larga parte della Polizia di
Stato e dell’Arma dei carabinieri hanno eseguito arresti, perquisizioni e
sequestri.
Purtroppo si è trattato di un
brusco risveglio, ma non è la prima volta che succede e anche questo è un dato
che dovrebbe far riflettere su come si possa perdere facilmente la memoria in
questi casi. Infatti, a metà degli anni Novanta, la DDA milanese mandò alla
sbarra e fece condannare quasi tremila affiliati alle cosche. Un piccolo record
– nello stesso periodo la DDA di Palermo aveva fatto arrestare e processare un
migliaio di mafiosi – che passò, anche allora in cavalleria, tra il silenzio
imbarazzato e lo stupore generalizzato. In quel momento, a parziale scusante,
va detto che i riflettori erano puntati sul Palazzo di Giustizia di Milano per
altri motivi: eravamo in piena Tangentopoli e il pool di Mani Pulite stava
spazzando via un’intera classe dirigente, resasi responsabili di corruttele e
malversazioni di denaro pubblico a piè sospinto.
Oggi i tempi sono cambiati, ma a
differenza della polvere che si nasconde sotto il tappeto, per dare
l’impressione che la casa sia pulita, oggi non è possibile liquidare
nell’indifferenza boss e picciotti e quindi il loro ruolo ingombrante deve
essere analizzato e metabolizzato, se si vuole trarre utile insegnamento da
quanto è accaduto e rafforzare gli anticorpi.
Intanto sarà opportuno
studiarsi nei dettagli la voluminosa ordinanza di custodia cautelare nella
quale sono contenute le accuse ai clan colpiti dal maxi blitz: i capi di
imputazione vanno dall’associazione di tipo mafioso all’omicidio, dall’usura
all’estorsione, dal traffico di armi a quello di stupefacenti. Una presenza
militare e soprattutto economica che sfata una volta per tutte il tabù della
presenza delle mafie al nord.
La riforma federalista. Il dato
più importante, che emerge dall’operazione presentata alla stampa da Ilda
Boccassini, Giuseppe Pignatone e Piero Grasso e dai vertici delle forze
dell’ordine, è costituito sicuramente dalla riforma organizzativa messa in
campo dalla ‘ndrangheta: da struttura criminale incentrata sulle famiglie di
sangue all’impiego di forme di coordinamento che ricalcano il modello fin qui
adottato da Cosa Nostra. Qualcuno ha anche parlato di riforma federalista,
ironizzando sul fatto che il nuovo modello sia venuto alla luce proprio in
Lombardia, parte di quell’agglomerato territoriale denominato dai leghisti con
un artifizio letterario “Padania”. Mentre si discute di federalismo fiscale, di
costi della politica, le mafie non stanno a guardare e trovano nuovi sistemi
operativi, mettendo finanche in discussione l’elemento fondamentale per la
‘ndrangheta: la centralità della famiglia di sangue nell’organizzazione dei
business criminali, sacrificata oggi sull’altare dei benefici collegati alla
globalizzazione dei traffici illeciti.
In terra di Calabria si
consolidano i tre mandamenti – quello Tirrenico, quello del Centro e quello
Jonico, composti da diversi locali – coordinati da una sorta di cupola,
denominata “la Provincia” che ha il pieno potere sui clan che operano in Italia
e all’estero, soprattutto per quanto attiene al narcotraffico e agli appalti
pubblici: secondo gli investigatori, infatti le cosche di Reggio Calabria sono
“il centro propulsore delle iniziative dell’intera organizzazione mafiosa, nonché
il punto di riferimento di tutte le proiezioni extraregionali, nazionali ed
estere”.
“La ‘ndrangheta – ha
ribadito il procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone – è riuscita
a diventare una vera e propria holding del mercato della droga grazie alla sua
ramificazione in ogni parte del mondo”.
La novità, che sottolinea
l’importanza assunta da Milano e le altre province lombarde nello scacchiere
mafioso, è data dall’istituzione di un quarto conglomerato mafioso, quasi
autonomo ma comunque direttamente collegato alla “Provincia”, ribattezzato –
pensate che grande fantasia! – “la Lombardia”. Un nuovo soggetto criminale per
il quale qualcuno, come Carmelo Novella si spinse improvvidamente a richiedere
piena autonomia dalla Calabria, ricevendone in risposta soltanto dei micidiali
colpi di pistola.
L’operazione ha consentito di
sgominare molti locali di ‘ndrangheta. Un elenco di per sé eloquente: Bollate,
Cormano, Bresso, Milano Centro, Pioltello, Limbiate, Solaro, Mariano Comense,
Corsico, Rho, Pavia, Erba, Canzio, Legnano, Desio, Seregno. Da Milano città
alla provincia, per arrivare ai territori della nuova provincia di Monza e
Brianza, i clan avevano allargato il loro controllo, infiltrandosi in ogni
modo. “I 500 affiliati di cui gli stessi boss parlano sono solo un punto di
partenza – ha dichiarato Ilda Boccassini – sappiamo che sono molto di più
quelli radicati nel territorio, che esercitano lavori vari. Il nostro metodo è
stato entrare nella vita di queste persone e vedere con chi si sono interfacciati,
quali sono stati i loro interessi, quale la portata criminale sia dal punto di
vista dell’apparato militare sia dal punto di vista di appoggi e referenti.
Quale sia la possibilità di penetrazione”.
Intercettazioni e silenzi. Di
straordinaria rilevanza si sono dimostrate ancora una volta le intercettazioni
telefoniche ed ambientali che hanno consentito alle forze dell’ordine e alla
magistratura, per ben due anni, di ascoltare dalla viva voce dei mafiosi il
loro giro di affari e di collusioni. Durante una di queste intercettazioni
venne alla luce un episodio che si è rivelato, alla lunga, essere uno stimolo
in più per investigatori e giudici nell’andare avanti con le indagini.
Dopo l’uccisione di Novella,
l’investitura temporanea del nuovo capo de “La Lombardia” Pasquale Zappia,
venne decisa, su indicazione di Pino Neri, altro boss temporaneamente al
vertice del sodalizio, al termine di una cena, tenutasi all’interno di un
circolo ricreativo per anziani che si trova a Paderno Dugnano, alle porte di Milano.
Un centro intitolato – ironia della sorte o sfregio ricercato non è dato ancora
di sapere quali furono le motivazioni che portarono i boss a scegliere quel
luogo – alla memoria dei giudici Falcone e Borsellino.
A fare da contraltare alle voci di
dentro, alle parole e alle ammissioni degli stessi mafiosi sono i silenzi e le
omertà diffuse su larga scala. Su quest’aspetto ci sarebbe molto da riflettere
soprattutto a livello di opinione pubblica, di realtà imprenditoriali e di
istituzioni.
A distanza di pochi giorni dalla
precedente operazione contro il clan Valle, la Boccassini non ha perso
l’occasione per sottolineare quanto aveva già avuto modo di dichiarare: il
silenzio delle vittime delle mafie è assolutamente assordante. Nessuno di
coloro che è finito sotto le sgrinfie dei clan mafiosi ha ammesso di essere
usurato o estorto. Segno che l’intimidazione nei loro riguardi ha raggiunto
l’obiettivo, fino ad arrivare al punto di negare l’evidenza di fronte agli
stessi inquirenti.
Affari e politica a braccetto. L’altro
elemento emerso con grande forza dall’inchiesta che ha portato a sgominare “la
Lombardia” è dato dal connubio tra affari, crimine organizzato e politica. Le
indagini, infatti, secondo quanto riportato dagli investigatori, avrebbero
permesso di “documentare la gestione delle attività illecite in Calabria e le
infiltrazioni della ‘ndrangheta nel nord Italia, dove stava estendendo i propri
interessi illeciti in diversi settori economici”.
Tra i tanti arrestati, infatti, si
segnalano i nomi di Carlo Antonio Chiriaco, direttore della ASL di Pavia;
dell’assessore comunale di Pavia Pietro Trivi, accusato di corruzione
elettorale; di Antonio Oliviero, ex assessore della Provincia di Milano nella
giunta di centrosinistra guidata da Filippo Penati e degli imprenditori
Francesco Bertucca e Ivano Perego, responsabile della Perego Strade,
ricollegabile direttamente al clan Strangio.
Tutti questi soggetti, in attesa
della convalida delle ipotesi di imputazioni, sarebbero stati organici agli
affari delle cosche calabresi e di quelle operanti in Lombardia. Tramite loro i
clan avrebbero avuto modo di influenzare anche le campagne elettorali.
In particolare, oltre ai diversi
tentativi di uomini delle cosche di giocarsi in proprio a livello comunale,
l’inchiesta avrebbe messo in luce il tentativo di indirizzare voti in favore di
Giancarlo Abelli del PdL durante le ultime elezioni regionali. Dopo essere
diventato consigliere regionale, Abelli ha preferito lasciare la carica, per
esercitare il suo mandato alla Camera dei Deputati, dove era stato
precedentemente eletto. Chiriaco e altri sarebbero stati il tramite per la
compravendita di voti. Va detto che Abelli, al momento, risulta estraneo
all’accaduto.
Altri nomi di politici compaiono
nel provvedimento; sono quelli dell’ex assessore regionale all’ambiente Massimo
Ponzoni (Pdl), dell’ esponente dell’Udc Emilio Santomauro, prima in Alleanza
Nazionale e di Guido Nardini, concorrente al comune di Cinisello Balsamo per il
Pdl. Nell’ordinanza si fa riferimento a loro come a “politici avvicinati dal
gruppo e coinvolti in un rapporto sistematico di cointeressenze”.
Tra gli indagati sono finiti anche
quattro carabinieri di Rho (Milano), uno dei quali con l’accusa di concorso
esterno in associazione mafiosa e tre per altri reati, compresa la corruzione.
Una doverosa sottolineatura. Ora
inizia il lavoro più duro per la magistratura, chiamata a provare in aula
il contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare. Siamo certi che la
professionalità dimostrata in passato e corroborata dai risultati dell’oggi, da
un procuratore come Ilda Boccassini, sia una garanzia di assoluta imparzialità
e crediamo che il processo dimostrerà la bontà dell’impianto accusatorio.
Spiace solo dover vedere in queste
ore il gioco delle dichiarazioni politiche, fatto di accuse e repliche, di
smentite e di “io l’avevo detto”. Ci sarebbe piaciuto che la politica, tutta la
politica al di là di ogni schieramento, si fermasse un attimo e, in silenzio,
riconoscesse i propri errori, le proprie sottovalutazioni e le proprie
strumentalizzazioni. La situazione è molto seria, più di quello che si pensi.
Siamo all’inizio di una valanga, che corre il rischio di trascinare via tutto
al suo passaggio.
Confidiamo nella serietà di
magistratura e forze dell’ordine come unico baluardo alla deriva che, potrebbe
nel corso dei prossimi mesi, verificarsi irrimediabilmente.