Oltre Chiamparino
Non sono tempi di grandi entusiasmi questi. Poche settimane fa una manciata di voti ci ha finalmente liberati di Berlusconi, ma non respiriamo certo l’atmosfera di grandi speranze e aspettative dell’indomani della Liberazione di sessant’anni fa: allora si cominciava a sperimentare nuove forme di democrazia e ci si illudeva forse di aver chiuso una volta per tutte con le guerre e le dittature: oggi le guerre umanitarie e preventive esportano la democrazia, e la dittatura del neoliberismo riceve grandi consensi anche a “sinistra”.
In questo
clima di scarsi entusiasmi, come Comitato NO TAV – Torino, abbiamo giudicato
negativamente l’accordo sottoscritto nella nostra città dai partiti
che hanno fino ad oggi sostenuto l’opposizione a questo folle progetto:
il nostro giudizio non si basa unicamente sulle questioni legate al TAV e alla
parte dell’accordo che rinvia all’osservatorio istituito dal precedente
governo “il compito di valutare le compatibilità ambientali
ed economiche dell’opera”.
Come cittadini dunque, prima che come persone impegnate a contrastare il TAV,
avremmo fatto volentieri a meno di questo accordo e avremmo preferito un po’
più di coraggio per affermare con forza, senza reticenze e senza ambiguità
che il modello di città a cui guardiamo è alternativo al modello
Chiamparino.
A chi prospetta l’ineludibilità degli accordi al ribasso pena il
rischio di scomparire dalla scena politica rivolgiamo un invito a riflettere
su quali nuovi consensi si potrebbe puntare mettendo in secondo piano i calcoli
politici a breve termine e, guardando ad una prospettiva poco più lontana,
assumendosi la responsabilità di scelte più radicali.
Quali nuovi entusiasmi potrebbero risvegliare scelte più coraggiose,
più limpide, più alternative?
Quale
Torino hanno in mente?
Ci riesce difficile infatti immaginare per Torino una discontinuità
con il recente passato: immaginare ad esempio come una “città
vivibile e dei diritti” possa, con questo sindaco e con questo programma,
sostituirsi alla città delle grandi speculazioni edilizie, alla città-cioccolatò,
alla città-vetrina-grandi-eventi. E ci riesce difficile pensare che sul
piano del metodo si possa passare facilmente da una città governata dai
poteri forti ad una città in cui i processi decisionali passino attraverso
il confronto e la partecipazione e il consiglio comunale possa riappropriarsi
finalmente del suo ruolo istituzionale.
Questa nostra difficoltà non nasce da un pregiudizio: oltre che dall’esperienza
di questi anni si basa su una lettura attenta del programma: si parla ad esempio
di inceneritore sostenendo addirittura che migliorerà la qualità
dell’aria (!) ma non si parla di gestione dei rifiuti, di piani e programmi
di riduzione, di riuso e riciclaggio, in barba a tutte le normative europee
e nazionali; si punta all'obiettivo del 40% della raccolta differenziata dimenticando
che l’obiettivo del programma provinciale prevedeva per Torino, già
nel 2003, il 50%; si parla di tangenziale est, di seconda linea metropolitana
e di “nuova residenzialità nel centro storico… per ridurre
la mobilità in ingresso e uscita” e ci vengono in mente i
nuovi parcheggi sotterranei sotto le piazze del centro; si fa accenno ai precari
dicendo che si intende creare “opportunità di transito da un
lavoro all’altro” e pensiamo al dramma del lavoro precario
e alla moltitudine di giovani che non riescono neanche a immaginare il loro
futuro...
Altri esempi non mancano, ma uno forse esprime quanto grandi siano le differenze
con il nostro modo di immaginare Torino: nel capitolo “Una città
aperta e accogliente”, si accenna al fenomeno migratorio in questi
termini: “…Gli immigrati partecipano e contribuiscono all’economia
formale e informale della città, crescono a Torino i loro figli, accendono
mutui, spesso sostengono le famiglie italiane nel lavoro di cura e di assistenza
entrando in una sfera delicatissima che è quella degli affetti o della
malattia, guardano la televisione, i loro figli giocano a pallone con i bambini
torinesi nei giardinetti” (!)
Se il concetto di accoglienza e di confronto tra culture diverse si traduce
nel fatto che i nostri figli consentono ai figli degli immigrati di giocare
a pallone nei giardinetti…
Ecco perché come cittadini avremmo fatto volentieri a meno di un accordo
che rende più difficile rivendicare e costruire una città diversa:
se un altro mondo è possibile, allora Torino non può rimanere
quella che Chiamparino ha in mente!
Una
nuova fase
La vicenda TAV in Valle Susa è entrata in questi mesi in una nuova fase,
molto delicata: dopo gli anni degli allarmi lanciati da poche avanguardie poco
ascoltate (anni ’90) ci sono stati gli anni in cui è cresciuta
la sensibilità sui problemi posti. All’inizio, soprattutto nella
valle, al centro c’erano i danni all’ambiente e i rischi per la
salute, ma poi l’attenzione è cresciuta su tutte le questioni:
la non-urgenza di una nuova linea, la sua non-necessità, l’insostenibilità
economica, le dimensioni degli interessi in gioco, la questione della democrazia,
dei processi decisionali, dell’esproprio delle popolazioni locali e delle
amministrazioni, della negazione dei diritti, eccetera, eccetera. Ci si è
resi conto insomma della vera dimensione del problema, del rapporto di forze
squilibrato e della necessità di informare e far crescere le sensibilità
fuori dalla valle, a Torino e oltre. Il Comitato NO TAV – Torino, nato
alla fine del 2002, ha fatto suo questo obiettivo e ha dato un piccolo contributo,
con il suo sito web e non solo. Sono stati per tutti anni di studio, di convegni,
di assemblee, iniziative, di manifestazioni in un crescendo per molti versi
entusiasmante.
Nella valle i militanti più attivi sono riusciti a vincere le inerzie,
a superare gli egoismi di chi all’inizio guardava soprattutto al proprio
cortile, i sindaci si sono fatti interpreti di un malessere prima e di una protesta
organizzata poi.
E siamo arrivati allo scorso autunno in cui è esploso il problema della
democrazia e la questione TAV in Val di Susa ha finalmente varcato i confini
della valle e, anche con l’aiuto di Lunardi-Pisanu, è diventata
un problema nazionale. Se Scanzano è stato un episodio, la Valle di Susa
è diventata un esempio. Perché dietro ci sono ragioni profonde,
non egoismi mascherati, ed è venuto alla luce l’inganno in tutte
le sue dimensioni. E si è parlato di Valle di Susa come laboratorio di
democrazia, per l’equilibrio - spesso difficile, ma che non si è
mai rotto - tra popolazione locale, amministratori, comitati, associazioni,
movimento. Questo equilibrio è stato fino ad oggi la carta vincente.
Diceva pochi mesi
fa Marco Revelli (“il manifesto” del 14-12-05): “…Non
ci facciamo illusioni: le proveranno tutte (è il loro mestiere), governanti
di destra e (futuri?) governanti di sinistra, per realizzare comunque il loro
progetto trasversale (la Tav senza se e senza ma). Non sono gente da fermarsi
davanti alle ragioni, per buone che esse siano. Tenteranno di corrompere e di
dividere. Hanno denaro e potere in abbondanza. Cercheranno, passata la festa,
di gabbare lo santo, e superato il capo delle tempeste delle Olimpiadi torneranno
ad agitare i loro big sticks e a risalire la valle con le ruspe. Manovreranno
"tavoli" e "osservatori" (uno sport che sanno praticare
benissimo), forti di complicità amplissime nel mondo dei media. Ma il
tempo guadagnato lavora per noi, a condizione che la Val Susa sappia salvaguardare
il bene più prezioso che ha accumulato nei mesi passati: la propria unità.
Quell'intreccio tra sindaci, comitati, popolazione (compresi i ragazzi dei centri
sociali) che ha permesso di vincere”
Che
strada scegliere
Ecco, appunto, ci siamo. E' qui che occorre mettere in guardia chi, pur contrario
al TAV e al fianco del movimento nei mesi scorsi, ha sottoscritto l’accordo
con Chiamparino.
L’osservatorio NON è la soluzione. Non è certo una sede
in cui si può sperare di convincerli: non hanno bisogno di essere convinti,
sono già convinti; non chiedono un confronto, vogliono una resa senza
lasciare troppi morti sul terreno. Di questo in valle di Susa sono ben consci,
ed hanno ragione. Non sarà certo un tavolo tecnico, e neppure un tavolo
di palazzo Chigi a risolvere la questione.
L’unica strada possibile è mantenere e rafforzare quell’equilibrio
di cui si diceva prima tra popolazione, sindaci e movimento, sostenere le loro
ragioni, condividere le loro giustificate diffidenze nei confronti di un sistema
trasversale di potere e di interessi che ora usa il manganello e ora usa, come
dicono in valle, la vaselina.
In questa direzione devono muoversi quei partiti che condividono l’opposizione
al TAV; e anche gli stessi amministratori locali che, pur operando con impegno
per contrastare il folle progetto, talvolta criticano i comitati per la loro
diffidenza nei confronti di un metodo non sempre trasparente e talvolta poco
incline al confronto tra pari dignità, sia pure nel rispetto dei diversi
ruoli: ad essi chiediamo uno sforzo maggiore per comprendere, ascoltare, coinvolgere
e farsi coinvolgere.
Forse l’osservatorio può essere visto come un pretesto, un escamotage, un’occasione per prender tempo, per aspettare che aumentino le difficoltà dell’avversario (sì, dell’avversario): e allora venga usato con la consapevolezza che al massimo può servire a questo; volendo essere ottimisti (un po’ non guasta) possiamo anche prendere in considerazione l’ipotesi – è solo un’ipotesi – che stiano anche cercando una strada per uscire eventualmente, senza perdere troppo la faccia, da un vicolo cieco in cui forse si sono cacciati; forse c’è qualche piccolo segnale che rende questa ipotesi non del tutto campata in aria (vedi le prese di posizione sulla legge obiettivo). Se è così, ma sì, si usi pure l’osservatorio per aiutarli: in fondo alla politica si chiede di percorrere spazi di mediazione accettabili, ma quando questi spazi sono troppo ristretti o improponibili, la politica può essere capace di inventare trucchi per uscire dall’impasse…
Vogliamo
tentare, come parte del movimento NO-TAV, queste interpretazioni sulla parte
dell’accordo di programma che rinvia all’osservatorio le scelte
future sulla Torino-Lione: ma non siamo disposti a dare deleghe in bianco, e
non ci facciamo eccessive illusioni; insomma saremo vigili, pronti a marcare
subito eventuali falli.
Alle forze politiche che hanno sostenuto fino ad ora le ragioni NO TAV, agli
amministratori locali che condividono queste scelte, che hanno lavorato in questa
direzione, che hanno manifestato, che hanno costruito con l’insieme del
movimento le diverse tappe, chiediamo di non riporre alcuna fiducia in strumenti
inventati per dividere. Ad essi chiediamo di continuare seguendo un percorso
che è fatto di confronto e di condivisione con le diverse componenti
del movimento, pronti a fare la nostra parte. Solo questo percorso può
portare all’unico risultato concreto: NO TAV.
Quale
futuro?
Sulla questione TAV in Valle Susa si misura la capacità di
pensare a un futuro diverso, un futuro in cui il nostro paese non diventi una
“grande piattaforma logistica al servizio dell’Europa”: perché
è proprio questo che hanno in mente. Di fronte alla crisi della deindustrializzazione
del paese la nostra classe dirigente (imprenditori, finanzieri, politici) non
riesce a immaginare altro che un ruolo dell’Italia quale porta di ingresso/uscita
di merci scambiate con l’Africa e l’Asia; è affascinata dall’idea
di attrarre nuovi flussi di merci potenziando i porti e integrandoli con altre
infrastrutture (soprattutto strade e ferrovie) in modo da realizzare una grande
piattaforma logistica distribuita. Attrarre, incentivare, cercare la crescita,
favorirla. Più merci passano meglio è. Puntare alla crescita infinita
è il loro l’obiettivo. E’ un progetto che vuole assecondare
la nuova divisione internazionale del lavoro, che confida su di una crescita
perpetua del sistema produttivo e dei consumi globalizzati, che punta ad accentuare
gli squilibri tra nord e sud del mondo.
E’ esattamente il contrario di quello che abbiamo in mente noi. Anche
per questo diciamo NO TAV.
31 Maggio 2006 | Comitato
NO TAV - Torino |