OBIETTIVO DECRESCITA
Introduzione
di Mauro Bonaiuti
Intorno alla decrescita,
innegabilmente, l'interesse sta crescendo. Il primo segnale evidente
dell'attenzione che circonda questa idea si è avuto a Parigi nel marzo 2002, in
occasione del convegno internazionale Défaire le développement, refaire le
monde (Disfare lo sviluppo, rifare il mondo), voluto da Serge Latouche e da
La Ligne d'horizon nella sontuosa cornice del palazzo dell'UNESCO: oltre
500 persone presenti e centinaia rimaste in lista di attesa. Sulla scia di
questo inatteso successo è stato organizzato un secondo convegno - nel
settembre 2003, a Lione - dal gruppo di ecologisti che ruota attorno alle
riviste Silence, Casseurs de Pub, L'Ecologiste, ed
esplicitamente dedicato, questa volta, al tema della "decrescita
sostenibile". In questa occasione è stato anche presentato il volume
Objectif Décroissance, dal quale sono tratti i saggi qui tradotti.
In un certo senso, quello alla decrescita è innanzitutto un appello. Come tale
ha il merito di esprimere l'urgenza di una inversione di rotta rispetto al
paradigma dominante della crescita, vera spina dorsale del modello occidentale.
Poiché - come vedremo - crescita e sviluppo sono inscindibilmente connessi,
l'invito alla decrescita indica al tempo stesso una prospettiva alternativa
rispetto ai diversi modelli di sviluppo realmente esistenti, in particolare
rispetto all'onnipresente paradigma dello sviluppo sostenibile.
Forse la cosa migliore per introdurre l'argomento è sgombrare il campo da
alcuni possibili fraintendimenti, chiarendo subito cosa la decrescita non è:
non è un programma masochistico-ascetico di riduzione dei consumi, nell'ambito
di un sistema economico-sociale immutato. Come ha affermato più volte Latouche,
parafrasando Hannah Arendt, non vi sarebbe nulla di peggio di una società di
crescita senza crescita. È evidente che una politica economica incentrata su
una drastica riduzione dei consumi creerebbe, data l'attuale struttura del
sistema produttivo e delle preferenze, una drammatica riduzione della domanda
globale e dunque un aumento significativo della disoccupazione e del disagio
sociale. Non è questa, dunque, la prospettiva qui auspicata.
Decrescita, inoltre, non significa condannare i paesi del Sud del mondo a
un'ulteriore riduzione dei loro redditi pro capite. L'appello alla decrescita è
rivolto dunque, in primo luogo, ai paesi del Nord. Anche per i paesi del Sud,
tuttavia, la decrescita comporta un significativo cambiamento di prospettiva:
non si tratterebbe più, infatti, di seguire i paesi "più avanzati"
lungo il sentiero della crescita. Questa via, oltre ad essere distruttiva per
gli ecosistemi, è - in ogni caso - loro preclusa in quanto gli aumenti della
domanda globale sono ampiamente coperti dagli aumenti di produttività dei paesi
occidentali. Si tratterà dunque, anche per i paesi del Sud, di puntare in
un'altra direzione.
Per quanto la decrescita alluda, sul piano economico, a una riduzione
complessiva delle quantità fisiche prodotte e delle risorse impiegate, essa va
intesa in un senso più ampio come una complessiva trasformazione della
struttura socio-economica, politica, e dell'immaginario collettivo, verso
assetti sostenibili. Questo nella prospettiva di un significativo aumento - e
non certo di una riduzione - del benessere sociale.
Decrescita e sostenibilità sono dunque strettamente connesse: la decrescita è
necessaria alla sostenibilità, la sostenibilità e la gioia di vivere
costituiscono, in un certo senso, l'orizzonte della decrescita. L'idea stessa
di sostenibilità viene qui intesa a diversi livelli: ecologico, sociale, ma
anche politico e culturale. I saggi presentati nel volume hanno appunto il
merito di affrontare il tema della decrescita a questi diversi livelli e da
queste diverse prospettive.
Come emerge dall'analisi dei contributi qui presentati, il paradigma della
decrescita - se di paradigma si può parlare - sembra trarre le proprie origini
dal confluire di due filoni di pensiero: quello della critica dello sviluppo,
portata avanti sul piano storico, economico e sociale in particolare da Serge
Latouche e dalla Ligne d'horizon; e quello della critica bioeconomica,
rappresentato qui in particolare da Jacques Grinevald e da chi scrive. Il
primo, prendendo le mosse dalla constatazione del fallimento delle politiche di
sviluppo nel Sud del mondo, in particolare in Africa, giunge a una critica
radicale del concetto di sviluppo, sia nei suoi presupposti immaginari (critica
dell'utilitarismo, ecc.) che in quelli economici e sociali (crescita,
occidentalizzazione del mondo, ecc.). È lo sviluppo realmente esistente -
quello che domina il pianeta da due secoli - la vera sorgente, nella
prospettiva di Latouche, dei conflitti e delle ingiustizie sociali.
Il secondo filone, partendo dall'analisi dei fondamenti termodinamici e
biologici del processo economico sviluppata da Georgescu- Roegen negli anni
Settanta, pone chiaramente in evidenza i limiti che le leggi naturali impongono
al processo di crescita economica. Significativamente, questi due filoni di
pensiero si sono incontrati e in certo senso "riconosciuti" nella
critica allo sviluppo sostenibile, a cui entrambi erano giunti, seppure da
diverse prospettive.
Non a caso il saggio di Latouche si apre con una citazione di Georgescu-Roegen
sulla tossicità di questa ricetta, quasi a suggellare la "nuova
alleanza" fra critica sociale e critica ecologica allo sviluppo. In questo
saggio Latouche mostra - con la consueta efficacia - la natura non solamente
contraddittoria, ma schiettamente ideologica dello sviluppo sostenibile. Non
solo esso rappresenta una vera e propria contraddizione in termini, ma
costituisce il cavallo di Troia dell'Occidente per "far durare lo
sviluppo", lasciando così immutati i presupposti immaginari e le strutture
economico-finanziarie responsabili dei probemi ecologici e sociali in cui si
dibatte l'umanità.
Il contributo di chi scrive - oltre a presentare una sintesi delle principali
conclusioni della teoria bioeconomica di Georgescu-Roegen (e quindi del perché
l'attuale sistema economico è ecologicamente insostenibile) - introduce in modo
semplice, senza alcuna formalizzazione, un nuovo approccio sistemico al
processo economico. Tale approccio consente di comprendere a fondo alcuni
paradossi della società contemporanea, in particolare il paradosso dell'efficienza
(nonostante gli incrementi di efficienza, i consumi di risorse aumentano
sempre di più) e il paradosso del benessere (nonostante gli aumenti
continui nei consumi di beni e servizi, il benessere tende a diminuire). Le
risposte a questi paradossi ci condurranno inevitabilmente sulla via della
decrescita. L'approccio sistemico mostra come sarebbe possibile - partendo da
questa - innescare alcuni circoli virtuosi verso una società sostenibile,
pacifica e conviviale.
Jacques Grinevald - come di consueto a suo agio nella storia dell'economia come
in quella delle scienze naturali - ci guida in un percorso accattivante dalla
crisi della scienza economica tradizionale (rimasta a suo parere al XIX
secolo!) sino al sorgere del nuovo paradigma bioeconomico e alle più recenti
controversie in questo ambito. Allievo di Georgescu-Roegen, Grinevald è stato -
sul finire degli anni Settanta - il primo a utilizzare il termine
decroissance, introducendo (e traducendo) i saggi bioeconomici di Georgescu
per il pubblico di lingua francese.
I fautori della globalizzazione e dello sviluppo sostenibile hanno sempre
risposto alle critiche degli ecologisti con una pluralità di argomentazioni, il
cui fulcro teorico ruota attorno al concetto di progresso tecnologico. L'idea è
quella secondo cui il progresso tecnico consentirà, come già avvenuto in
passato, di oltrepassare i limiti, producendo di più con un minore impiego di
risorse e di energia. Questa fiducia nella tecnologia è tanto più preoccupante
in quanto è condivisa non solo dagli apologeti della globalizzazione, ma
dall'intero arco delle forze politiche e persino da ampi settori del movimento
ambientalista. Il saggio di François Schneider - come in precedenza quello di
chi scrive - rovescia questa tesi e, sulla scorta di numerosi esempi, giunge a
dimostrare come il progresso tecnico dia luogo a una sorta di effetto
rimbalzo, e dunque a un inatteso aumento nei consumi dei più svariati
generi di beni e servizi.
Critica allo sviluppo e bioeconomia, per quanto fondanti, non esauriscono
tuttavia lo spettro dei contributi qui presentati. Lo stesso Latouche ha sempre
sottolineato quanto la dimensione immaginaria giochi un ruolo essenziale nella
persistenza e pervasività del modello occidentale. La sua messa in discussione non
può quindi prescindere da una decostruzione dei miti e dei presupposti
culturali e antropologici su cui questo si fonda. Questo lavoro di
decostruzione dell'immaginario della crescita è svolto qui con ricchezza di
elementi da Paul Ariès e, con un taglio più propriamente psicologico, da
Georges Didier.
Su un piano più propriamente politico si situano, invece, i contributi di
Pierre Rabhi e Vincent Cheynet. Rabhi, scrittore e pioniere dell'agricoltura
biologica in Francia e in Africa, ha acconsentito a candidarsi alle elezioni
presidenziali francesi nel 2002, facendo della decrescita sostenibile
l'argomento fondamentale della propria campagna elettorale.
Seguendo le orme di Ivan Illich, Rabhi presenta un insieme di proposte di
riforma che - attraverso il recupero di una "sobrietà felice" -
consentono di restituire all'essere umano un più pieno controllo delle proprie
capacità estetiche e manuali, ossia della tecnologia. Vincent Cheynet,
muovendosi a cavallo tra critica dell'immaginario pubblicitario e democrazia,
mostra come, sotto l'apparenza di una falsa moderazione, la violenza esercitata
dal sistema finanziario e mediatico sia estrema. In questo contesto «la
saggezza si confonde con la sottomissione, la ricerca dell'equilibrio con il
nichilismo. Gli pseudo-difensori della democrazia giungono, molto spesso a
propria insaputa, a diventare i guardiani più servili della tirannia». La
prospettiva della decrescita, fondata su una concezione non espansiva e
nonviolenta delle modalità di produzione della ricchezza, si presenta come vero
antidoto rispetto alla logica del sistema dominante: le reazioni di malcelata
violenza che essa ispira nei difensori del potere rappresenta, secondo Vincent
Cheynet, un chiaro segno del suo carattere autenticamente democratico.
In qualche modo cerniera tra la prima e la seconda parte, il testo di Serge
Mongeau è un invito alla "semplicità volontaria". Il concetto -
introdotto da Richard Gregg, un allievo di Gandhi, nel 1936 - «... non
significa povertà; [semplicità volontaria] è un privarsi di qualche cosa per
lasciare maggiore spazio allo spirito e alla coscienza; è uno stato dello
spirito che invita ad apprezzare, assaporare e ricercare la qualità; è una
rinuncia agli oggetti che appesantiscono, infastidiscono e impediscono di andare
a fondo alle proprie possibilità». Il metodo della semplicità volontaria
comincia da un lavoro di introspezione, da un lavoro su se stessi in cui
l'agire politico diviene, secondo l'insegnamento gandhiano, inseparabile dalla
riflessione spirituale. Questo procedere dalla trasformazione di sé alla
trasformazione della società rappresenta, pur non esaurendola, una componente
importante dei contributi sulla decrescita, segnando una differenza importante
dalla tradizione marxista.
È appunto alle buone prassi che è dedicata la seconda parte del volume. Sono
presentate qui tre esperienze che non hanno ovviamente alcuna pretesa di
esaurire l'estrema varietà delle pratiche di decrescita sostenibile, pacifica e
conviviale che si vanno sperimentando nei diversi "cantieri della
decrescita".
Denis Cheynet effettua una impietosa e dettagliata analisi dell'universo
dell'automobile, vero e proprio simbolo dell'ideologia della crescita,
mostrandone gli inauditi costi indiretti, la scarsa efficienza oltre all'elevatissimo
impatto sulla salute degli esseri umani, prima ancora che sugli ecosistemi.
François Terris presenta l'esperienza dei Sistemi di scambio locale (SEL) in
Francia, interessanti laboratori di economia alternativa in cui, tra l'altro,
viene tentata una ridefinizione del ruolo della moneta: da strumento di
accumulazione e dunque di sfruttamento dei più deboli a semplice mezzo per
facilitare gli scambi tra produttori locali. Infine Sabine Rabourdin e Fabrice
Flipo illustrano «La scommessa contro l'effetto serra»: la prima campagna -
condotta in 16 paesi europei da un gruppo di associazioni - finalizzata a
sensibilizzare i giovani al problema planetario dei mutamenti climatici, ma
indirizzata anche a fornire loro gli strumenti per ridurre le emissioni di anidride
carbonica, adottando personalmente comportamenti volti a economizzare le
risorse naturali.