NO-GRAT , NO-TAV
Nella manovra economica necessaria a tamponare le falle virtuali che si
sono aperte o sono state aperte nei conti pubblici e nella solidità dei titoli
di Stato perché non dovrebbero entrare a pieno titolo le cancellazioni o
sospensioni di spese per investimenti controversi e chiaramente non urgenti?
Il conflitto diventato di
rilevanza nazionale sulla costruzione di una seconda linea ferroviaria tra
Torino e Lione verte in questa fase su una operazione preliminare e
collaterale. L'apertura di un cantiere per una galleria di servizio, apertura
giudicata simbolica dalla Commissione Europea per confermare un finanziamento
di 600 milioni, di cui meno di 500 andranno alla parte italiana. Con tutti
soldi che ci sono da recuperare - o che si dice che ci siano da recuperare -
come è possibile che questi pseudo investimenti pubblici restino in piedi?
Certo, possono produrre effetti
positivi sulle imprese che hanno ricevuto (senza gara, N.d.r.) gli appalti, ma
resta la domanda: chi li paga? A quali altre destinazioni vengono sottratti?
Parallelamente nell'Italia in
crisi si muovo parecchie ruspe e gru. Tra di esse anche simbolicamente spiccano
quelle pagate da una delle più grandi banche italiane, Intesa San Paolo, per
costruirsi il monumento simbolo, il più alto grattacielo di Torino, ai bordi
del centro storico. Stravolgerà coi suoi 170 metri un importante paesaggio
urbano italiano ma soprattutto - ecco il punto - lo farà al costo di circa 500
milioni di euro.
Ovviamente Intesa San Paolo non
sta aumentando il personale e non ha il grattacielo come unica soluzione per
ammodernare - se occorre - i propri uffici. I soldi che spende per questo
"investimento" immobiliare d'immagine non sono pubblici, ma quasi.
Sono i soldi dei correntisti e degli azionisti, garantiti dalle politiche
finanziarie italiane ed europee. Non dovrebbe essere automatico che in presenza
di richiami ai tagli e ai risparmi si cominci dalle opere effettivamente
evitabili? (Non dalle pensioni e neanche da temi complessi come le province.)
Evidentemente non lo è, perché
comunque si scrivono a priori a bilancio come valori , come "assets",
come patrimonio, anche le gallerie che rimangono deserte e i palazzi di
terziario che restano vuoti o semivuoti. Ma chi li paga? Prima e accanto a
qualunque ragionamento su quali "manovre" sono necessarie per tenere
in equilibrio l'economia, sarebbe opportuna una moratoria su queste spese.
Meglio pagare qualche penale, se ormai è inevitabile, che continuare a
costruire strutture superflue sul territorio mentre si tagliano fondi e servizi
essenziali per i diritti sociali pubblici.
p. s. Sui giornali di stamattina Intesa San Paolo conferma che ridurrà
il personale di 3 mila unità e inoltre sposterà 5 mila impiegati da uffici
centrali amministrativi a servizi per la clientela. Sul grattacielo?