Torino-Lione per la Tav non c’è traffico
Uno studio dell'Università Bicocca di Milano rivela che
sta sparendo il passaggio di merci tra Italia e Francia:
solo quest'anno il traffico è diminuito del 46 per cento. Una tendenza che si
registra ormai da anni
di Daniele Martini da
il Fatto Quotidiano del 10/2/2011
Alla vigilia dell’apertura del
primo cantiere italiano della Tav Torino-Lione alla
Maddalena di Chiomonte prevista per l’inizio della primavera, uno studio
pubblicato dall’Università Bicocca
di Milano sui flussi di traffico tra l’Italia e i paesi transalpini
gela gli entusiasmi dei favorevoli alla realizzazione dell’opera. Quel
documento, preparato da Andrea Debernardi, e redatto
utilizzando soprattutto fonti ufficiali della Confederazione
svizzera, arriva a una conclusione sorprendente: rispetto al 2008,
nel 2009 (ultimi dati disponibili) per i traffici ferroviari dell’Italia “verso
la Francia, più che di una battuta d’arresto sarebbe meglio parlare di ‘colpo
di grazia’, con il rischio che l’inizio dei lavori del nuovo tunnel di base
coincida con la sostanziale sparizione del traffico merci ferroviario”.
Secondo
lo studio la causa dell’arretramento dei traffici
italo-francesi non è la crisi economica in atto che ovviamente
incide, ma in maniera non determinante. Il calo registrato non solo è veramente
di proporzioni notevoli (meno 46,2 per cento), ma “accentua una tendenza al
decremento già manifestatasi negli ultimi tempi”. La riprova è che la
contrazione riguarda anche le frontiere austriaca e svizzera, ma in questo caso
essa interrompe solo un andamento di crescita in atto da anni. Per quanto
riguarda la frontiera italo-francese, invece, il livello degli scambi
ferroviari è diminuito in modo continuo negli anni e ora è a meno di un quarto
rispetto al massimo del 1997, ed è
appena il 7 per cento del traffico complessivo.
Stando
così le cose diventa sempre più stringente la domanda avanzata non solo dai no-Tav
più estremi, ma anche da numerosi economisti, politici ed
esperti di trasporti, e cioè: ma ne vale la pena? Ha un senso nelle condizioni
attuali della finanza pubblica italiana spendere almeno 12 miliardi di euro in
12/15 anni, secondo la più recente valutazione ufficiale fornita dal
commissario di governo, Mario Virano, cifra che
secondo altri tecnici andrebbe corretta al rialzo fino a 15 e
addirittura 20 miliardi? Una somma, cioè, da due a tre volte superiore al
costo del ponte di Messina.
Esattamente
un anno fa nove esperti, Andrea Boitani, Bruno Manghi, Luca Mercalli, Marco
Ponti, Rémy Prud’Homme, Francesco Ramella, Pippo Ranci, Carlo Scarpa e
Francesco Silva, si chiedevano quale sarebbe potuto essere il beneficio
dell’opera. Rispondendo che “gli studi disponibili mostrano che la ricaduta
della Tav Torino-Lione sul sistema
economico italiano ed in particolare piemontese sarebbe assai limitata. La
linea Torino-Lione consentirebbe una riduzione dei tempi di spostamento di
persone e merci (circa un’ora) verso la Francia, ma si tratta di una quota
intorno all’1 per cento dei movimenti che si effettuano in Piemonte e meno
dello 0,1 per cento su scala nazionale”. Con i nuovi dati della Bicocca
sotto gli occhi, i nove esperti probabilmente oggi rincarerebbero la dose di
scetticismo.
Sentito
dal Fatto, il commissario Virano dice di conoscere i dati sul calo verticale
dei traffici merci tra Italia e Francia e li considera corretti, ma ovviamente
non cambia opinione sulla necessità di portare avanti la nuova ferrovia di cui
è diventato una specie di padre putativo. Dice che per una grande opera come la
Torino-Lione bisogna avere il coraggio di pensare in grande, con una
prospettiva di decenni, e che il calo degli scambi di cui si parla è invece
imputabile a condizioni strutturali e contingenti che sarebbero modificate in
meglio, appunto, dall’entrata in esercizio del nuovo tracciato. Il commissario
cita ad esempio Cavour e una sua mappa delle ferrovie italiane quasi
sovrapponibile ai tracciati attuali, redatta intorno al 1850 con fiducia
nell’avvenire, quando l’Italia era tutta da inventare.
Secondo
Virano il calo dei traffici tra Torino e Lione è dovuto soprattutto ai lavori
in corso da 5 anni sugli 11 chilometri del Fréjus, il vecchio tunnel inaugurato
141 anni fa e di cui si sta abbassando il piano dei binari per consentire il
transito dei carri con i container. In base a queste novità il commissario
annuncia che un gruppo di esperti sta rivedendo i calcoli costi-benefici
dell’opera.
L’autore
dello studio pubblicato dalla Bicocca obietta,
però, che il traffico merci era già calato del 45 per
cento prima che cominciassero i lavori sulla linea del Frejus e
che l’andamento degli scambi alla frontiera francese “presenta una chiara
specificità, che non sembra completamente imputabile a fattori infrastrutturali”.
Secondo Debernardi sono essenzialmente quattro i motivi della ulteriore caduta
dei flussi: la mancanza di operatori in concorrenza con i due incumbent (Fs
italiane e Sncf francesi), la cronica debolezza
commerciale delle Ferrovie italiane nel settore cargo, l’entrata in servizio 3
anni fa del tunnel svizzero di Lotschberg che ha attratto quantità notevoli di
traffico e l’assenza di locomotive politensione sulla linea. “C’è il rischio
– conclude Debernardi – che la Tav diventi una cattedrale nel deserto dei
traffici”.