altra
italia - DOVE IL KEBAB FA PIÙ PAURA DELLA LUPARA
'NDRANGHETA padana
di
Antonello Mangano, Claudio Metallo da www.terrelibere.org
Nel nord Italia le mafie si sono
installate stabilmente: non si limitano al riciclaggio ma puntano a controllare
il territorio, gli appalti, gli enti locali. Ma nessun politico «padano» parla
di emergenza mafia, mentre si susseguono le ordinanze securitarie. Il pericolo
vero sono i venditori di cibo etnico
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Letizia Moratti ha chiesto al ministro Maroni un
decreto legge per permettere di perquisire le case dei migranti a Milano. Anche
senza mandato, per individuare i "clandestini". Siamo ritornati a un
clima da nazifascismo e alle leggi razziali che creano ghetti e schiavi.
L'ordinanza "antidegrado" per via Padova prevede la chiusura alle 22
per le rivendite di kebab e i phone center, cioè luoghi in cui si comunica con
i paesi d'origine, di diverso fuso orario, e che spesso stanno aperti a
qualunque ora. Per i "centri massaggi" il coprifuoco scatta alle 20,
alle 2 per le discoteche, alle 24 per i ristoranti. Norme da tempo di guerra,
ma anche gli ultimi di una lunga serie di provvedimenti e proposte di stampo
nazista. Autisti Atm italiani. Vagoni del metro riservati agli stranieri.
Autobus con le grate ai finestrini usati per rinchiudere migranti senza
documenti.
Curiosamente il sindaco di Milano, come il
ministro Maroni e il presidente della regione Formigoni, non si preoccupa
minimamente delle mafie che in Padania ormai sono entrate negli appalti e nelle
forniture pubbliche e che hanno preso residenza nei comuni attorno a Milano,
Varese, Brescia. Che spesso impongono il pizzo ai negozianti, senza che siano
nate associazioni antiracket. Anzi, si risponde che la mafia non esiste al
nord. Il problema mafioso non è entrato nella campagna elettorale delle
elezioni regionali. È chiaro che al Sud il problema è gigantesco, ma non
bisogna sottovalutare le candidature e la pulizia delle liste in nessuna parte
d'Italia.
A Legnano,
roccaforte della Lega Nord, nel 2008 è stato ucciso con un colpo alla nuca e
abbandonato nelle campagne Cataldo Aloiso, genero di Giuseppe Farao della cosca
Farao-Marincola di Cirò Marina, in Calabria. Il 25 aprile del 2007 viene ucciso
a Tagliuno (Bergamo) Leone Signorelli, raffinatore di cocaina colombiana che
rivendeva alla 'ndrangheta. Cinque mesi dopo i killer aspettano davanti casa
Giuseppe Realini, artigiano del legno bergamasco.
«Si
ammazzano tra loro?». Non è così semplice. Secondo la procura Realini sarebbe
stato ucciso perché unico testimone del delitto Signorelli, a cui erano legati
altri due morti ammazzati: Cataldo Murano e Giuseppe Russo, a loro volta
connessi al clan Filippelli, alleati ai Rispoli che controllano proprio
Legnano. Il cerchio si chiude proprio dove fu ucciso Aloisio: il suo cadavere
fu fatto ritrovare di fronte al cimitero dove è sepolto Carmelo Novella,
esponente dell'omonimo clan catanzarese di Guardavalle, ucciso al bar in un
pomeriggio d'estate a San Vittore Olona, a metà strada tra Milano e Varese.
Tutto ciò è avvenuto non alle falde dell'Aspromonte o sulle coste calabresi, ma
nel cuore della cosiddetta "Padania". Il settimanale l'Espresso ha
recentemente ricostruito ben 25 omicidi di mafia compiuti nel Nord negli ultimi
10 anni. Questi fatti non hanno richiesto nessuna ordinanza comunale, riunioni
straordinarie in Prefettura e nemmeno decreti d'urgenza. Nessuna emergenza
sicurezza.
Se sei nero cambia tutto
La commissione antimafia presieduta da Francesco Forgione, quella della legislatura del secondo governo Prodi (2006/2008), è riuscita a mappare le famiglie mafiose operanti in Italia e ha prodotto una dettagliata relazione in meno di due anni di lavoro. L'attuale commissione deve ancora battere un colpo per capire se è in vita. Secondo l'ente presieduto da Forgione, dunque, in Lombardia operano, con tutta probabilità, le famiglie De Stefano, Morabito-Bruzzaniti-Palamara, Farao-Marincola, Sergi, Mancuso, Iamonte, Falzea, Arena, Mazzafferro, Facchineri, Bellocco, Mammoliti, Imerti-Condello-Fontana, Paviglianiti, Piromalli, Ursini-Macrì, Papalia-Barbaro, Trovato, Latella, Versace, Morabito-Mollica.
Il paese dove si sono insediati i Papalia-Barbaro - Buccinasco - viene
chiamato la Platì del nord. Al sindaco di centrosinistra, Maurizio Carbonera, è
stata incendiata la macchina tre volte, tra il marzo del 2003 e il novembre
2005, mentre era impegnato nell'approvazione del nuovo piano regolatore, non
gradito alla cosca. Per tutta risposta, la regione Lombardia ha promulgato una
legge che impedisce di cucinare kebab nei centri storici.
Ad Adro
(Brescia), c'è una taglia di 500 euro che verrà versata a ogni vigile che
catturerà un clandestino. A Voghera si è deciso che non si ci può sedere sulle
panchine in più di tre persone, per evitare assembramenti di stranieri. In
altre regioni del Nord, afflitte comunque dal problema mafia, tutta
l'attenzione è sulle panchine: a Vicenza devi avere almeno 70 anni se vuoi
sederti, se no stai in piedi. A Sanremo devi avere tra 0 e 12 anni oppure più di
sessanta. Si potrebbe continuare con l'elenco di queste soluzioni per la
sicurezza: ad esempio il "White Christmas" di Boccaglio, comune a
sindacatura leghista, dove entro Natale 2008 si volevano stanare i migranti per
cacciarli dal paese. Per sfuggire a questo clima razzista, spesso gli stranieri
scappano verso sud. Dove trovano, ancora una volta, la ferocia italiana, fatta
di mafia e sfruttamento.
La mafia non esiste
Secondo Libera, che ha tenuto a Milano la
propria giornata nazionale antimafia 2010, sono 665 gli immobili e 165 le
aziende confiscate in Lombardia, che la collocano al quinto posto tra le
regioni italiane, preceduta solo da Sicilia, Campania, Calabria e Puglia. Nel
rapporto "Ombre nella nebbia", Libera sottolinea che occorre superare
il vecchio luogo comune delle aree non tradizionali come zone di riciclaggio.
Ormai anche lì si punta al controllo del territorio: ci sono clan insediati
stabilmente da decenni e la reattività antimafiosa dei cittadini locali è
spesso pari a zero. Nel giugno 2008, trecento poliziotti appoggiati da un
elicottero hanno circondato i palazzi di Quarto Oggiaro, periferia milanese,
all'alba. L'operazione ha messo in evidenza una situazione gravissima.
Piazze-roccaforti e squadre di giovanissimi spacciatori con turni di lavoro
precisi. Un "mercato a cielo aperto" con un giro d'affari di 800 mila
euro al mese. Ma non a Scampia, bensì nella capitale della "Padania",
la terra che ha scatenato una guerra ideologica contro il pericolo islamico ma
che non sa nulla dei potentissimi clan crotonesi (quelli che investivano i
proventi del crimine in Fastweb, per intendersi). Le "profezie" sulla
presenza mafiosa nei prossimi cantieri milanesi nell'Expo non hanno generato
alcun provvedimento, anzi la tendenza è la riduzione nei controlli sugli
appalti legati ai "grandi eventi". Le cosiddette
"infiltrazioni" mafiose nei cantieri Tav del settentrione non hanno
prodotto neppure un editoriale sdegnato.
Leggi criminogene
È facile diventare "clandestino" al
tempo della crisi. Basta un licenziamento. Le settimane passano inesorabili
verso lo scivolamento nell'irregolarità, ovvero uno status che è diventato
reato col pacchetto sicurezza. Anche se rimani onesto, comunque rischi di
finire dentro. Alla fine, una regola nata col pretesto della sicurezza potrebbe
trascinare tante persone nell'illegalità e creare maggiore insicurezza.
La
Bossi-Fini impedisce, nei fatti, l'arrivo in forme regolari. Nessun
imprenditore assume un lavoratore dall'altra parte del mondo, senza averlo mai
visto. E chi lo fa non può adattarsi ai tempi lunghi della burocrazia. Dunque
si parte sempre più spesso con falsi contratti di lavoro, su cui ha già messo
le mani la mafia. Nel salernitano, dove tanti marocchini sono stati fatti
arrivare così e poi resi irregolari da imprenditori che si sono volatilizzati.
A Reggio Calabria, dove le cosche Iamonte e Cordì hanno fatto entrare centinaia
di indiani per poi condannarli alla condizione di invisibili.
La mafia
ingrassa, la Lega costruisce immeritate carriere politiche. Il reato non è
etnico, e non avrebbe senso sostituire alla campagna contro i migranti quella
contro i meridionali, che segnarono gli esordi dei leghisti. L'unica lotta è
quella contro il crimine organizzato e lo sfruttamento, come dimostrano le
rivolte di Castelvolturno e Rosarno fatte dagli africani. Al contrario, la
mancata reazione contro il crimine organizzato è la cartina di tornasole di
società malsane, che non vogliono sicurezza ma semplicemente scaricare - con
viltà - paure e incertezze sui più deboli. Oltre che clan italiani, nelle città
del Nord ci sono gruppi stranieri sempre più forti: albanesi e soprattutto
nigeriani. Ma a questi si sono opposti eroicamente solo le centinaia di donne -
quasi sempre ex prostitute - che hanno denunciato i loro aguzzini nell'ambito
dei programmi dell'articolo 18, rischiando la pelle. E che non hanno mai
ottenuto un ringraziamento, una medaglia, un titolo in cronaca, una stretta di
mano.