di Alberto Gaino da La
Stampa del 10/6/11 – Cronaca di Torino
http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/406417/
«Gli occhi dei calabresi sono
dappertutto». Questo fu l’approccio, tempo fa, di un affiliato alla
‘ndrangheta con un imprenditore edile torinese impegnato a costruire villette a
schiera alle porte della città, in una zona dove riteneva di non dover subire
richieste estorsive. A questo genere di attività, strategica per una mafia
interessata a colonizzare il territorio ovunque gli riesca di penetrarne il
tessuto economico e le relazioni con i politici locali, sono riservate oltre
500 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare dei 150 ‘ndranghetisti
individuati a Torino.
Sono decine gli imprenditori vessati, molti di loro non hanno mai sporto
denuncia. Come si fosse intorno all’Aspromonte, non nel Torinese. Si è arrivati
a loro seguendo le conversazioni intercettate dei malavitosi. Dopo la retata
che ha azzerato il vertice dell’organizzazione criminale, i carabinieri del
colonnello Antonio De Vita devono ora raccoglierne le deposizioni. Diventa
chiaro il senso dell’appello lanciato nella conferenza stampa dell’altro giorno
dal viceprocuratore nazionale antimafia Antonio Patrono: «Piemontesi non
abbiate paura, denunciate i vostri persecutori».
Afferma
il gip Silvia Salvadori: «Gli episodi di estorsione scoperti testimoniano lo
stato di assoggettamento delle vittime e dimostrano che, forti della nota
appartenenza alla consorteria criminale, gli estorsori non debbono neppure più
ricorrere a violenze e minacce per ottenere risultati. Gli investigatori danno
atto dell’esistenza di una forte situazione di omertà, derivante da tale
assoggettamento, che rappresenta l’unica spiegazione al fatto che le denunce
siano pochissime e ancor meno quelle spontanee. In particolare, due sono gli
ambiti in cui le indagini hanno portato alla luce questi meccanismi: quelli
delle imprese edili e dei locali di intrattenimento».
Valle
di Lanzo, si deve risistemare l’alveo del torrente Stura che l’attraversa. Si
aggiudica l’appalto il consorzio Italimprese di Potenza e si aprono i cantieri.
Dove si presentano - siamo fra il 2004 e il 2005, all’inizio di queste indagini
- due degli arrestati di due giorni fa. Dicono che «dovevamo fare noi i
lavori» e di non aver potuto perché erano stati arrestati «diversi
imprenditori e loro colleghi» informa il gip per sottolineare il gesto
compiuto subito dopo dai due ’ndranghetisti con il capocantiere: «Gli
mostrano l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Adolfo Crea e
Vincenzo Argirò e altri. Gli dicono “questo siamo noi”, “tu puoi solo pagare
(50 mila euro) o andare dai carabinieri”. Aggiungono che loro sono soliti
bruciare escavatori...». L’imprenditore ricattato si presenta in una
stazione dell’Arma a Torino ma rifiuta di ufficializzare la denuncia.
La
‘ndrangheta impone anche al Nord le «guardianìe» nei cantieri edili e nei
locali di intrattenimento. Niente di più e di diverso da un’offerta di
«protezione» agli imprenditori che «cominciano a versare il loro “obolo”
mensile - registra il giudice - per poi consegnare nel tempo l’intera
propria attività al mafioso».
È
un sistema progressivo di appropriazione che viene applicato con imprenditori
che hanno ruoli politici. È il caso di Nevio Coral, un pezzo grosso nel
centrodestra torinese, arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa.
I suoi rapporti con la ‘ndrangheta nascono dall’accettazione da parte sua della
guardianìa, poi Coral diventa il «giocattolo» che in tanti nell’organizzazione
si contendono per utilizzarlo come «biglietto da visita» con il sistema
bancario e quello degli appalti. Subentra anche un «avere» da parte di Coral.
Lo spiega il capo locale di Cuorgnè, Bruno Iaria, ad un complice: «Lui ci fa
il favore che abbiamo preso il lavoro e noi gli diamo una mano in politica».
Molti
degli arrestati sono imprenditori. Ma si dividono fra quelli finti, che hanno
creato imprese di copertura, e chi ne ha create di vere (10 sono le aziende
sequestrate in questi giorni). È il caso di Giovanni Catalano, fratello del
padrino torinese della ‘ndrangheta, in carcere insieme da un anno. Il figlio
Luca ha raccolto nei mesi scorsi 180 firme di solidarietà nei confronti del
padre fra clienti della loro impresa fornitrice di calcestruzzo e imprenditori
del settore, qui nel Torinese. Centottanta persone disposte a metterci la
faccia in un affare del genere da queste parti sono una novità.
Luca
Catalano è un giovane ingegnere che ha dovuto rinunciare all’elezione nella
lista Pdl al consiglio comunale di Orbassano, hinterland torinese, dopo l’arresto
del padre. Pur non essendo indagato, anche di lui si occupa l’Operazione
Minotauro dei carabinieri, perché è Catalano junior ad accompagnare la
candidata Pdl alla presidenza della Provincia, nel 2009, a conoscere lo zio e
un altro uomo di vertice della ‘ndrangheta a Torino nel bar del primo.
Periferico e anonimo. Come il volto apparente dell’organizzazione criminale in
città.