Dopo il suicidio di Nugnes, l'ombra delle
intercettazioni sulla giunta
Al centro dell'indagine il provveditore, cinque assessori e un imprenditore
di
Giuseppe D'avanzo da Repubblica del 4/12/08
NAPOLI - Il fatto è che una manina si è portata via dagli uffici della Direzione investigativa antimafia di Napoli una copia delle intercettazioni dell'indagine che, nel suo avvio e senza alcuna ironia, gli investigatori chiamavano Magnanapoli. Dicono fonti vicine all'inchiesta che ora il boccino ce l'hanno in mano un paio di "barbe finte" - di spioni - che distillano veleni con almeno tre obiettivi ormai espliciti. 1. Azzoppare un'inchiesta che, presto svelerà come sinistra e destra, governo cittadino e opposizione consiliare vivono, a Napoli, d'amorosi sensi quando si discute e si decide di appalti e affari. 2. Regolare qualche conto in sospeso tra le burocrazie della sicurezza. 3. Soffiare "per input politici e gerarchici" il nome di innocenti, incappati nelle intercettazioni telefoniche, per farne colpevoli da sbattere sui giornali. Bisogna allora cominciare da qui - dalla disinformazione - per diradare qualche nebbia. L'operazione consente di vedere all'opera le manine galeotte, gli utilizzatori en plein air, i virtuali beneficiari, gli sventurati target.
Uno sventurato target è Antonio Di Pietro. Suo figlio Cristiano,
34 anni, al tempo consigliere provinciale di Campobasso, si mette in contatto
con Mario Mautone, provveditore alle opere pubbliche di Campania e Molise. Mal
gliene incolse.
I comportamenti di Mautone sono già al centro dell'inchiesta di
Napoli. Iperattivo, interlocutore favorito di amministratori, politici,
imprenditori, amico giovialissimo di questori, generali e magistrati. E'
settembre dello scorso anno. Una manina consegna al senatore Sergio De Gregorio
(Partito delle libertà) la notizia che Cristiano Di Pietro è "indagato
dalla procura di Napoli in un'inchiesta sulla ricostruzione post-terremoto in
Molise". La notizia farlocca viene rilanciata dal Giornale, che
ancora ieri ostinatamente la ripubblica. Raccontano che, di quelle
intercettazioni, venga a conoscenza anche Silvio Berlusconi; che venga
sollecitato a utilizzarle come una mazzuola sulla testa del suo
"nemico" storico (Di Pietro) e contro il partito democratico (governa
Napoli e la Campania da quindici anni).
Il premier non ne fa
nulla. L'uomo ha un felice intuito perché la storia, come gliela raccontano, è
bugiarda. E' vero, il giovane Di Pietro - intercettato - discute con Mautone
della sorte di un paio di caserme dei carabinieri in Molise. "Più che
correttamente", dicono oggi fonti vicino all'inchiesta. Il padre, Di
Pietro il vecchio, Antonio, in quei mesi ministro delle Infrastrutture, ha il
cattivo carattere che ha - si sa - e al primo stormir di foglie dell'indagine
rimuove Mautone sottraendogli l'autonomia di provveditore per consegnarlo a un
incarico non operativo al ministero.
"Mi sono sempre comportato così - dice ora Di Pietro - Se
sapevo che la magistratura stava valutando la correttezza dei comportamenti di
un alto dirigente lo destinavo a un incarico non operativo - è accaduto in
cinque, sei occasioni - nell'interesse del ministero, della giustizia, del
dirigente indagato o soltanto coinvolto nell'indagine". Fonti vicino
all'inchiesta confermano che Di Pietro si è comportato in questa storia con
"esemplare correttezza".
Il venticello calunnioso soffiato contro il leader dell'Italia dei
Valori è analogo all'aria venefica che le "barbe finte" sbuffano
contro il colonnello Gaetano Maruccia (comandante provinciale dei carabinieri)
e il generale Vito Bardi (comandante regionale della Guardia di Finanza in
Campania). Li dicono, con il questore Oscar Fiorolli, indagati, compromessi
dall'amicizia e rovinati dagli interessi opachi del provveditore. In realtà, i
nomi dei militari saltano fuori nelle conversazioni telefoniche, ma in maniera
neutra. Bardi e Maruccia prendono subito il largo da quel tipo, Mautone.
Fiorolli, più amichevole e frivolo, si attarda a frequentarlo, ma non fino al
punto di lasciarsene coinvolgere, a quanto pare.
E' tra questi miasmi e veleni che precipita Giorgio Nugnes. Nelle
ultime ore, prima del suicidio si aggira tra le redazioni dei giornali.
Determinato a scrollarsi di dosso ogni accusa, chiede ai cronisti che apprezza:
"Ma perché anche i servizi segreti indagano su di me?". Ipotizzano
gli investigatori che Nugnes, nella notte tra venerdì e sabato 29 novembre,
possa essere stato avvicinato dalle "barbe finte", pressato, minacciato
con false notizie fino al punto che l'uomo ha ceduto di schianto la mattina
dopo, impiccandosi. Se queste supposizioni dovessero trovare conferma, più che
di un "nuovo Enzo Tortora", come suggerisce Francesco Cossiga,
Giorgio Nugnes sarebbe la vittima di una stagione di veleni che era sconosciuta
a Napoli, città più facile al melodramma e al buffo che alla tragedia.
Sgombrato il campo dal loglio, resta il grano ed è grano molto
guasto. Comunque vada, quando le conversazioni telefoniche diventeranno
pubbliche, della giunta di Rosa Iervolino resterà soltanto polvere per le
prassi di governo, l'etica che le ispira, gli interessi personali protetti, la
rete di potere non trasparente e trasversale che quei colloqui portano alla
luce.
L'inchiesta giudiziaria trova il suo focus in un triangolo. Il
provveditore alle opere pubbliche; cinque assessori; l'imprenditore Alfredo
Romeo. Sullo sfondo, a Roma, i rapporti "tutti ancora da chiarire"
con politici nazionali, tra cui Renzo Lusetti (Pd), Nello Formisano (IdV),
Italo Bocchino (PdL). Il "triangolo" di interessi è alle prese con un
global service, un progetto di gestione integrata delle proprietà della
pubblica amministrazione. Rosa Iervolino lo presentò pubblicamente nella
primavera del 2007 come "un regalo per Giorgio Napolitano che trascorre
qui la Pasqua". Il piano, "in una visione unitaria", avrebbe
dovuto "valorizzare il patrimonio pubblico, dagli immobili alle strade,
dai palazzi monumentali a quelli di edilizia residenziale".
E' un appalto che i
protagonisti istituzionali e amministrativi - Mario Mautone, il provveditore;
Enrico Cardillo, l'assessore al bilancio (ora dimissionario); Giorgio Nugnes,
dimissionario dall'assessorato alla protezione civile - cuciono come una giacca
ben tagliata sulle spalle di Alfredo Romeo. A quanto pare, le indagini non
svelano "cavalli di ritorno", mazzette che premiano la corruzione -
se non pallide tracce, tutte ancora indagare - ma le fonti di prova raccolte,
per la procura, sono adeguate a dimostrare la fraudolenza della gara e, quindi,
la richiesta di misure cautelari - in soldoni, di arresti - inviata al giudice
per indagini preliminari che, se fa in fretta (ha l'incarto da luglio),
potrebbe decidere anche prima di Natale. Turbativa d'asta, dunque. Il reato non
è esplosivo.
Esplosive sono le conversazioni che dimostrano quanto il parolaio
guerresco del confronto pubblico tra destra e sinistra sia, a Napoli, soltanto
una mascherata. In realtà, ogni rivolo della spesa pubblica si decide in un
compromesso utile a proteggere gli interessi personali, la rendita politica, le
quote di consenso di ciascun partito. Una realtà politico e amministrativa che
trova la sua conferma nel sostegno di Forza Italia alla giunta Iervolino in
occasione del bilancio, nella protezione che alla Regione Silvio Berlusconi
offre al pericolante Bassolino. L'equilibrio amministrativo e istituzionale non
è costruito per l'interesse pubblico, con l'urgenza di lavorare insieme per far
fronte alle gravi criticità della Campania, alla crisi profonda della città, ma
intorno alla corruzione, al clientelismo, per usare le formule del capo dello
Stato.
Forse informato per rispetto istituzionale (il procuratore di
Napoli Giandomenico Lepore smentisce), Giorgio Napolitano ha anticipato (se si
hanno orecchie per ascoltare) le ragioni della prossima crisi politica che
travolgerà, con l'inchiesta giudiziaria, l'amministrazione e il ceto politico
cittadino. Lo ha fatto così: "E' assolutamente indispensabile che cambino
i comportamenti di tutti i soggetti, pubblici e privati, che condizionano
negativamente il miglior uso della risorse disponibili con il peso delle
intermediazioni improprie che possono ricondursi a forma di corruzione e
clientelismo, interferenza e manipolazione. (Bisogna) mettere in discussione la
qualità della politica, l'efficienza delle amministrazioni pubbliche e
l'impegno a elevare il grado complessivo di coscienza civica". A buon
intenditore, poche parole.