Siamo alla fase del “meno 1 “
Si vuole cancellare l’anomalia Vallesusa
Dalla rubrica “Opinioni” su Luna Nuova del 29/7/08 – pag.6
Nel corso della serata promossa a Villar Focchiardo da Comunità montana e Comune, durante le esposizioni di Antonio Ferrentino e del professor Tartaglia, le loro argomentazioni politiche e tecniche mi hanno innescato per riflesso un paio di ricordi.
Circa due anni prima,
in quella stessa palestra, per iniziativa del locale comitato No Tav si teneva
un'affollata iniziativa informativa, cui invitammo e partecipò Angelo
Tartaglia, fresco di insediamento all'interno dell'Osservatorio tecnico.
Rammento che egli illustrò benissimo e lungamente, con dovizia e passione (in
totale assonanza con l'altro relatore, il professor Cancelli) tutti gli
argomenti di natura trasportistica, economica, ambientale, e direi anche etica,
per cui era non solo ragionevole, ma necessario opporsi al... fare una nuova
linea Torino-Lione, in quanto progetto senza fondamento tecnico alcuno,
insensato ed immorale.
Suppergiù in quel
periodo, ricordo come in più d'una riunione di quello che allora si chiamava
Comitato istituzionale, poi diversamente ribattezzato prima di essere
dichiarato defunto come sede magari poco concludente ma reale ed abituale di
confronto tra amministratori e cittadini e associazioni, sia il presidente
della Comunità montana che il professor Tartaglia spiegarono a chi non capiva
i sottili marchingegni della politica il loro punto di vista sul ruolo politico
dell'Osservatorio tecnico. Che avrebbe dovuto fornire alla fetta onesta della
classe politica (erano i tempi del governo Prodi) che non aspettava altro, le
ragioni tecniche e scientifiche per potersi tirar fuori con dignità da quel la
sciagurata operazione del progetto alta velocità in alle di Susa in cui s'era
cacciata. Quella era la prospettiva di soluzione politica che avrebbe evitato
la necessità di nuove barricate.
Ci si può sbagliare,
magari anche per presunzione, ci mancherebbe. Il fatto è che le cose mi paiono
essere andate assai diversamente, addirittura a parti invertite. Nel senso che
invece è poi stata la classe politica che ha orchestrato e diretto il corso
della storia successiva. A mio parere in questi due anni si è attuata quella
che, per rifarmi ad impostazione e terminologia del Fare, chiamerei la fase
" -1 ", cioè quella propedeutica alla numero 0 e tutte le
successive: la fase del tentativo di normalizzazione dell'anomalia valle di
Susa.
Un gran lavorìo per
depotenziare quello straordinario patrimonio, faticosamente costruito, fatto di
sapere tecnico diventato sapere diffuso, partecipazione popolare la più
composita e massiccia, unità dialettica fra amministratori e cittadini, metodi
di lotta nonviolenti. Che ha goduto (e ancora gode) dell'appoggio non certo del
mondo dell'informazione, ma di molti eminenti specialisti del settore.
Un'originalità che ci rendeva difficilmente vincibili. Che sfuggiva al
controllo della classe politica nelle sue espressioni partitiche. E come tale,
pericolosa ed intollerabile.
Questa anomalia è
stata analizzata, a partire dalle relazioni dei servizi segreti, è stata
perseguita una strategia per indebolirla, corroderla, disinnescarne il
potenziale "eversivo". E la cura di questo male è stata affidata ad
un architetto buono per tutte le stagioni e tutti gli schieramenti, abilissimo
nel suo mestiere di facilitatore, e grande seduttore.
E così oggi sento
amministratori con cui si è stati spalla a spalla definire "estremismi"
o "incapacità propositive" quelle che fino a non molto tempo fa
chiamavamo insieme le "nostre ragioni", cavalcare la retorica della
contrapposizione fra il buon realismo e di contro il cattivo "non voler
fare nulla". Così oggi vedo che la fetta di popolazione eventualmente
favorevole al Tav, o quella agnostica, quella che si adegua, quella che tanto
lo fanno o qualcosa bisogna lasciar fare, è diventata spesso l'alibi, la
giustificazione, per non dire il referente, la parte su cui contare. Non più il
terreno su cui seminare informazione corretta per cercare di far maturare nuove
coscienze critiche, nuova consapevolezza.
C'è molta amarezza e
pure indignazione in queste prese d'atto, ma non è un'invettiva né è per
lanciare anatemi. Non solo perché io voglio molto sperare che il percorso di
normalizzazione non abbia il suo compimento, passando, come purtroppo storicamente
succede in questi processi, attraverso più o meno radicali, più o meno
repentini cambiamenti di posizione di protagonisti (nonché tramite la
conseguente fase altrettanto sistematica della criminalizzazione del
dissenso). Ma in quanto noi No Tav in ogni caso andiamo avanti per la nostra
strada, in autonomia di pensiero, a continuare a sostenere quelle ragioni che
quella non lontana sera il professor Tartaglia definiva giuste e ragionevoli.
Paolo Miletto, Villar Focchiardo