Questo
contributo è tratto dal capitolo 1 (bozza Novembre 2004) dello studio
intitolato:
“METROPOLI
TRANQUILLE” -
Una politica dei trasporti ragionevole per il Nord Italia
condotto dall'Ing. Andrea Debernardi (Soc. di Ingegneria dei
Trasporti POLINOMIA di Milano) su commissione del WWF Italia.
Viene qui riprodotto per gentile concessione del WWF e dell’ing.
Debernardi
1.1.Retoriche ufficiali e disponibilità di risorse
Da molti secoli, l’Italia settentrionale rappresenta un ambito macroregionale denso, che si inserisce come area forte della geografia europea. Al pari di molti altri, anch’esso conosce da qualche decennio a questa parte problemi di traffico importanti, associati sia agli elevati livelli di congestione riscontrati sulla rete stradale (e non solo), sia ai non trascurabili impatti generati sull’ambiente naturale e/o sulle aree urbanizzate.
La retorica ufficiale, sviluppata a supporto dell’attuale politica dei trasporti, sfrutta questi elementi critici per promuovere la realizzazione di grandi corridoi infrastrutturali, che, a detta dei promotori, dovrebbero contribuire a ridurre considerevolmente i livelli di congestione, generando altresì una diminuzione dei principali impatti ambientali. Tuttavia, la realizzazione di questi corridoi richiede risorse assolutamente ingenti, ed allo stato certamente non disponibili, se non in minima parte. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una “politica dell’annuncio”, ricca di suggestioni e capace di innescare aspettative importanti nei cittadini e nel mondo produttivo, ma povera di realizzazioni concrete e, dunque, ben poco rispondente alle problematiche esistenti.
Ovviamente, questa non è una soluzione. Anzi, elevando di fatto il livello del conflitto per l’acquisizione delle scarse risorse disponibili, le politiche dell’annuncio finiscono per rendere più o meno casuale l’ordine di avvio dei diversi progetti, con il risultato di non risolvere i problemi più urgenti, quando di non crearne di nuovi, attraverso l’indiscriminato adeguamento ad ulteriori suggestioni, ed a nuove aspettative.
Il doveroso riconoscimento della limitatezza delle risorse disponibili imporrebbe invece un ben più approfondito approccio alla programmazione degli investimenti pubblici, molto più attento alla selezione delle opere da attuare, nonché alla definizione di idonei ordini di priorità. Gli strumenti in questa direzione non mancano: occorre soltanto la volontà di applicarli in maniera seria ed imparziale. D’altro canto, essi non tarderebbero ad evidenziare forti differenziali di efficienza ed efficacia tra gli interventi oggi in discussione: non è per nulla improbabile che una loro corretta valutazione tecnico-economica, ed ambientale, farebbe ritenere poco utili od addirittura superflui investimenti oggi considerati “strategici”, e per converso molto più importanti opere oggi ritenute marginali, o comunque caratterizzate da un ridotto livello di promozione politica e/o imprenditoriale.
E’ un’affermazione che può forse meravigliare, ma che non risulta affatto azzardata, se solo si considera che molte grandi opere oggi in discussione sono state ideate sulla base di fraintendi-menti profondi, che sfociano talvolta in vere e proprie mitologie sulla genesi degli attuali problemi di traffico.
Nel momento stesso in cui si assume la rilevanza del tema dell’effettiva disponibilità di risorse, e si riconosce dunque la necessità di selezionare gli interventi sul sistema di trasporto, emerge il problema di una diagnosi accurata delle cause della situazione attuale. A tale proposito, è sufficiente ampliare lo sguardo dalla quantità del traffico, alla sua qualità e struttura funzionale, per evidenziare alcuni elementi importanti, ben noti da anni, ma quasi sempre marginalizzati in sede programmatica e progettuale.
In primo luogo, si deve osservare che, nei punti in cui risulta particolarmente intenso (e dunque più critico sotto il profilo della congestione), il traffico risulta quasi sempre molto più locale di quanto comunemente non s’immagini. Anche lungo i corridoi fondamentali delle reti transeuropee di trasporto, gli spostamenti di lungo e lunghissimo raggio assorbono quote di domanda relativamente modeste e dunque, di norma, non particolarmente problematiche sotto il profilo della capacità infrastrutturale.
Per converso, i traffici di breve e medio raggio rappresentano quasi ovunque le componenti di domanda non soltanto prevalenti, ma anche maggiormente dinamiche, sia per quanto concerne il trasporto passeggeri, che per quanto riquarda quello delle merci.
Questo accade proprio perché il Nord Italia è un ambito territoriale storicamente denso, che, dopo le profonde trasformazioni associate alla formazione delle sue grandi aree metropolitane, ospita oggi quasi metà della popolazione italiana.
A partire dagli anni Settanta, la progressiva espansione delle principali aree metropolitane, verso ambiti via via più esterni, ha determinato la formazione di alcuni importanti sistemi urbani di livello regionale, quali in particolare il Piemonte centrale intorno a Torino, l’area milanese ed il Pedemonte lombardo, l’area veronese ed il fondovalle dell’Adige sino a Trento e Bolzano, l’area centrale veneta intorno a Vicenza, Padova, Venezia e Treviso, quella triestino-udinese, il litorale ligure, la direttrice della via Emilia da Piacenza a Rimini. Questi sistemi tendono ormai a saldarsi in un’unica megalopoli, capace di generare una domanda di mobilità di breve raggio piuttosto intensa, seppur relativamente dispersa. In mancanza di valide alternative, questa domanda tende a riversarsi su una rete stradale ed autostradale originariamente concepita per altre funzioni, determinando la progressiva saturazione di molti itinerari, ed in particolare di quelli collocati nei pressi dei principali poli urbani.
La controprova dell’importanza giocata dal traffico metropolitano di breve e medio raggio nella formazione delle principali problematiche di congestione è facilmente avvertibile nelle aree non interessate al fenomeno della diffusione insediativa, come gran parte dell’arco alpino, la dorsale appenninica ed alcune zone della bassa pianura, che si caratterizzano per livelli di traffico molto più modesti, e quasi mai critici in termini assoluti.
Ci si può forse chiedere per quanto tempo ancora questi fenomeni territoriali potranno continuare ad essere sottovalutati, restando sostanzialmente estranei alle logiche di sviluppo delle politiche dei trasporti di scala nazionale, ed anche regionale. Il prezzo da pagare rischia di essere molto salato, e per molti versi persino inatteso.
Vi sono buone ragioni per ritenere che il potenziamento dei grandi corridoi interregionali ed internazionali non rappresenti affatto un’opzione neutra rispetto alle problematiche della diffusione insediativa, ma al contrario che esso si configuri come un fondamentale incentivo per l’ulteriore espansione dei contesti urbanizzati e, dunque, della domanda di trasporto.
E’ quanto si è già verificato negli scorsi decenni: una politica infrastrutturale fondamentalmente orientata al potenziamento dei principali corridoi autostradali di connessione tra le grandi aree urbane nazionali (perseguito anche in assenza delle necessarie premesse in termini di livelli di domanda servita) ha finito per tradursi in una sistematica premiazione degli spostamenti di lunga percorrenza, rispetto alla mobilità di breve e medio raggio.
Con l’andare del tempo, questo modo di pensare, e di procedere, ha finito per trasformarsi in un incentivo alla rilocalizzazione di molte attività, sia residenziali che produttive. E tale rilocalizzazione si è tradotta, a sua volta, in un potente motore della domanda di mobilità, la cui crescita si lega oggi, più che all’aumento del numero degli spostamenti, all’incremento della distanza percorsa in ciascuno di essi.
E’ possibile argomentare che questo processo, lungi dall’essere inatteso, rappresenta proprio l’obiettivo di investimenti infrastrutturali finalizzati a garantire condizioni di generalizzata accessibilità, in modo da sostenere lo sviluppo economico delle aree marginali. Secondo questo punto di vista, la diffusione insediativa e l’incremento del traffico non rappresenterebbero altro che un effetto obbligato, e pertanto desiderabile, di un processo di sviluppo economico che ha determinato benefici importanti per gran parte del territorio del Nord Italia. Sono considerazioni non trascurabili, ed in parte anche condivisibili, che si rapportano ad un ben preciso modello di sviluppo, operante nelle regioni settentrionali negli ultimi quattro o cinque decenni.
Il punto è però che, al di là dei benefici economici generati sulle singole regioni, tale modello non ha mantenuto tutte le sue promesse. In particolare, i grandi investimenti infrastrutturali effettuati sulla rete stradale tra la metà degli anni Cinquanta e la metà degli anni Settanta hanno certo contribuito a facilitare i collegamenti interregionali, ma non si sono affatto tradotti in una riduzione dei costi di trasporto gravanti sul sistema, qualificandosi piuttosto come incentivi al consumo di mobilità. L’effetto economico di questo processo, sotto il profilo della produttività e della competività del sistema, è incerto.
Quale che sia il giudizio sulla necessità e sull’opportunità del cammino di sviluppo economico e territoriale seguito dalle regioni dell’Italia settentrionale, a fronte degli elevati livelli di crescita di una domanda di trasporto ormai forse fuori controllo, ci si può certamente interrogare sulla sua sostenibilità non soltanto ambientale, ma anche economica e finanziaria. D’altro canto, il disordine insediativo conseguente alla sostanziale equiaccessibilità territoriale, è sempre più frequentemente citato come fattore primario della crisi attraversata da molti distretti industriali. Raggiunto l’obiettivo della diffusione dello sviluppo economico, è forse tempo di orientare le politiche di settore verso altre finalità.