LO SPAZIO
DI UNA POLITICA DELLA LOGISTICA:
La mia relazione punta a dimostrare due asserzioni fondamentali:
-
che lo scenario più realistico è quello di un aumento significativo
del trasporto di merci e che ciò è dovuto ad una strutturale riorganizzazione
dei processi logistici;
-
che di conseguenza le politiche di intervento più adeguate
non sono più quelle della sostenibilità (quelle cioè tese a rendere compatibile
i trasporti con l’assetto attuale e futuro delle risorse ambientali) ma, più
seccamente, quelle della riduzione dei trasporti.
Per farlo tratterò di seguito i tre seguenti punti che
richiamano direttamente anche il titolo della mia relazione:
-
L’evoluzione strutturale della logistica
-
Le politiche per la sostenibilità dei trasporti
-
Le politiche per la riduzione dei trasporti
1. L’EVOLUZIONE STRUTTURALE DELLA LOGISTICA
Normalmente si tende a immaginare
che la domanda di trasporto merci si svolga schematicamente nel seguente modo:
- il produttore industriale o il
distributore commerciale ha bisogno di trasportare un lotto di merce
- si informa sulle alternative di
prezzo disponibili
- sceglie la modalità di trasporto
più economica
Questa è in realtà una modalità
minoritaria di domanda di trasporto (quella che si definisce trasporto
occasionale o spot).
In realtà la domanda di trasporto merci è normalmente un’attività
pianificata in relazione alle esigenze produttive (esempio: alimentare di
materia prima la produzione di pneumatici) o distributive (esempio: rifornire i
magazzini della grande distribuzione della città di Milano). Più esattamente la
domanda di trasporto non è altro che il risultato dell’organizzazione logistica
di un particolare processo produttivo e distributivo. In altri termini: la
domanda di trasporto merci dipende dal modo in cui è stato organizzato il
flusso di materie prime, semilavorati, componenti e prodotti finiti; un flusso
che parte dalle zone di produzione delle materie prime e arriva sino ai mercati
di consumo dei prodotti finiti.
Se vogliamo dunque capire come sta
cambiando la domanda di trasporto di merci, dobbiamo innanzitutto interrogarci
sull’evoluzione dei processi logistici.
A questo proposito possono essere
identificati tre importanti processi di trasformazione STRUTTURALE della
logistica, che di seguito illustro schematicamente.
1° Processo – La deverticalizzazione
Siamo abituati ad immaginare che i
prodotti che consumiamo siano prodotti all’interno di un qualche stabilimento
industriale. Non è più così; da tempo ormai praticamente tutti i prodotti
industriali che utilizziamo sono stati oggetto di un processo di
deverticalizzazione: ogni fase di produzione viene svolta in uno stabilimento
diverso. Ognuno di questi stabilimenti è collocato in zone diverse del
continente e del globo, là dove è maggiore la specializzazione in quella
specifica fase produttiva.
2° Processo – I magazzini
viaggianti (o just in time)
Con la deverticalizzazione è
diventata fondamentale la gestione dei magazzini. Prendiamo ad esempio
l’assemblaggio di un automobile; è necessario che arrivino da parti diverse del
mondo: il pianale, le ruote, il motore, le componenti plastiche, le componenti
elettroniche, ecc. Servono allora dei magazzini per evitare che il processo
debba fermarsi in attesa della componente mancante: ma magazzini molto
riforniti costano (l’immobilizzo di merci in magazzino – o capitale circolante
– richiede infatti un investimento ad hoc) e poco riforniti espongono al
rischio di non avere più i pezzi necessari. La soluzione è stata introdotta dai
giapponesi: aumentare la frequenza delle consegne – garantendone l’affidabilità
– di fatto trasferisce in larga parte i magazzini sui mezzi di trasporto e
consente di avere in sede dei magazzini di emergenza ridotti al minimo.
3° Processo – La globalizzazione
Ormai non sono più solo le fasi di lavorazione ad elevata specializzazione che si spostano in Paesi anche lontani. E’ tutto il processo produttivo che si trasferisce (delocalizza) nei Paesi che garantiscono basso costo del lavoro e un mimino di affidabilità istituzionale generale.
Anche i prodotti finiti non
vengono più venduti solo nei paesi di produzione ma puntano a conquistare quote
di mercato anche nei bacini di consumo più lontani.
Quali sono gli effetti sulla
domanda di trasporto di merci di questi processi di trasformazione logistica?
E’ bene distinguere tra effetti
quantitativi e effetti qualitativi.
Sulle qualità non c’è ombra di
dubbio. La domanda di trasporto di merci ha preso a crescere a livello
planetario ben oltre il livello di crescita del reddito e della produzione.
Detto in altri termini: è aumentata l’intensità di trasporto della produzione e
distribuzione di merci (il che è l’esatto contrario di quanto si prefiggeva la
Commissione europea con il cosiddetto “disaccoppiamento”: far crescere il
trasporto di merci meno della crescita della produzione).
Del resto ciò è ovvio se la tela
di un jeans viene tagliata in Corea, tinta in Tunisia, cucita in Messico e
etichettata a Malta. O se oltre il 50% dei giocattoli venduti nel mondo viene
ormai da uno sconosciuto ai più distretto industriale cinese. O se quello che
prima viaggiava in lotti consistenti e cadenzati usando treni e navi, ora
viaggi in piccole partite ad alta frequenza usando il camion.
Quindi la prima conclusione è: LA
TRASFORMAZIONE STRUTTURALE DEI PROCESSI LOGISTICI GENERA UN INCREMENTO
CONSISTENTE DELLA DOMANDA DI TRASPORTO DI MERCI (SUPERIORE A QUALSIASI
PREVISIONE BASATA SOLO SULL’INCREMENTO DELLA PRODUZIONE E DEL CONSUMO).
Ma c’è anche un effetto
qualitativo.
La crescente complessità dei
processi logistici (merci che viaggiano da una parte all’altra del pianeta e
che devono arrivare al posto giusto nel momento giusto e in condizioni di
usabilità e vendibilità) ha portato le
imprese di produzione e di distribuzione ad affidare a terzi le attività di
trasporto (portando a quella che si definisce “esternalizzazione del trasporto”
o outsourcing).
A chi vengono affidate le funzioni
di trasporto prima esercitate direttamente: a dei grandi operatori
specializzati proprio nelle attività di trasporto e di logistica?
Si tratta di grandi operatori che
gestiscono i flussi di merci di più imprese; vengono per questo anche
denominati “integratori”. Avendo a disposizione flussi consistenti e
continuativi di merci da trasportare trovano più conveniente usare più spesso
il treno o la nave. (Esempio: 10 divani da trasportare dalla Puglia in Germania
andrebbero quasi sicuramente in camion; ma se i divani diventano 500 allora
diventa economicamente sostenibile anche il treno).
Quindi abbiamo una conclusione di
segno opposto a quella precedente: LA CRESCENTE COMPLESSITA’ DEI PROCESSI
LOGISTICI HA PORTATO ALL’AFFERMAZIONE DI GRANDI IMPRESE DI TRASPORTO E DI
LOGISTICA IN GRADO DI CUMULARE I CARICHI DI PIU’ CLIENTI E, PROPRIO PER QUESTO,
DI USARE DI PIU’ IL TRENO E LA NAVE.
Ai nostri fini tutto sta a capire
come si bilanciano i due effetti contrapposti:
trasformazione della logisticaàpiù trasporto di merciàpiù camion?
oppure
complessità della logisticaàpiù grandi
imprese di trasportoàpiù treni?
In realtà questa era una domanda
che si poteva porre dieci anni fa. Oggi è ormai chiaro che il processo
dominante è quello della moltiplicazione dei flussi; la dirompenza della
crescita della domanda di trasporto è tale da superare la capacità
organizzativa delle grandi imprese di trasporto.
2. LE POLITICHE PER LA
SOSTENIBILITA’ DEI TRASPORTI
L’approccio tradizionale per
fronteggiare la crescita inarrestabile della domanda di trasporto e per ridurne
gli effetti nefasti sull’ambiente e sulle popolazioni si basa su una serie di
trasporti che sono ormai noti e condivisi.
Li illustrerò quindi solo
schematicamente.
In sostanza si ritiene che la
riorganizzazione della logistica che ha portato all’esplosione della domanda di
trasporto non sarebbe stata possibile se il costo del trasporto includesse
anche il valore economico dei danni ambientali, sanitari e sociali che esso
genera.
Da qui l’idea di operare
artificialmente questo aumento del costo del trasporto, applicando delle tasse
pari appunto al valore dei danni generati. In particolare l’obiettivo è la
redistribuzione tra modalità della domanda di trasporto: obiettivo che dovrebbe
essere raggiunto applicando tasse minori sulle modalità ambientalmente meno
dannose (nave, treno) e più elevate su quelle più dannose (camion, aereo).
In questa direzione si muovono le
indicazioni europee per una “internalizzazione dei costi interni” (che non è
altro che un modo contorto per dire che bisogna introdurre delle tasse
ecologiche sui trasporti). E questo è quanto ha cominciato a fare di recente la
Svizzera introducendo la TTPCP (tassa sui trasporti pesanti commisurati alle
prestazioni) di cui certamente parlerà dopo Roman Rudel.
L’idea di fondo in questo caso è
che – come prima accennato – la scelta di modalità di trasporto meno negative
in termini ambientali dipende in misura non secondaria anche dalla capacità
organizzativa delle imprese di trasporto. Si tratta allora di erogare incentivi
e sostegni per favorire e accelerare i processi di outsourcing (cioè di affidamento a grandi gruppi logistici delle
funzioni di trasporto usualmente svolte internamente) e per incrementare il
ricorso al trasporto intermodale, ferroviario e marittimo.
Va in questa direzione uno dei
programmi più di successo in materia di trasporto promossi dalla Commissione
europea: il Marco Polo. Mentre si sta concludendo con successo la prima
edizione, se ne sta organizzando la seconda che partirà nel 2007 con un budget
almeno cinque volte più alto del precedente.
Anche il programma per il
potenziamento delle cosiddette “Autostrade del mare” (trasporto con traghetti
nazionali e internazionali dei semirimorchi stradali) si muove nella stessa
direzione.
Se aumenta la domanda di trasporto
e vengono attivate delle politiche per aumentare la quota del trasporto
ferroviario diventa sempre più necessario aumentare l’offerta di trasporto
ferroviario, specialmente nelle direttrici più colpite dall’incremento dei
flussi. Il che può essere fatto in due modi:
-
ammodernando i servizi e le infrastrutture esistenti
-
costruendo nuove infrastrutture.
Proprio la costruzione di nuove
infrastrutture richiede che si attivi anche una collaterale capacità di
costruzione di occasioni pubbliche di discussione e di confronto di alternative
(si pensi al debat public francese o ai referendum
confermativi svizzeri).
In sintesi si potrebbe allora
concludere che una buona politica per la sostenibilità dei trasporti dovrebbe
comporsi di quanto hanno avviato gli Svizzeri proprio in tema di
attraversamento alpino (referendum, TTPCP e nuove gallerie di base),
affiancando i migliori interventi europei (Marco Polo e Autostrade del mare).
Ma come ho già anticipato, a mio
parere anche questo non basta.
3. LE POLITICHE PER LA RIDUZIONE
DEI TRASPORTI
Per quello che ho spiegato
parlando delle trasformazioni strutturali della logistica, dovrebbe essere
chiaro che oggi – e sempre di più in futuro – esistente una componente di
flussi che attraversano le Alpi che non hanno origine in Europa, ma
prevalentemente in Estremo Oriente.
Venti anni fa era di moda
sostenere l’assurdità di flussi merci che provenivano ad esempio dal Giappone
(ancora non c’era stato il boom della Cina) ed erano destinati a Milano o
Torino ma, siccome i porti italiani erano inaffidabili e cari, approdavano a
Rotterdam e ad Amburgo per poi arrivare in Italia passando per le Alpi.
Se quello era un assurdo (e lo
era!) non si capisce perché non dovrebbe essere un assurdo anche l’idea
opposta: attrarre a Genova (o a Napoli, o a Taranto) i flussi di merce
provenienti dalla Cina e destinati alla Germania o alla Francia.
E invece in questi ultimi anni si
è scatenata una vera e propria corsa – almeno nelle dichiarazioni d’intenti – a
voler fare questo: a trasformare l’Italia in un nodo di scambio dei flussi
intercontinentali di merce, a fare dell’Italia la “piattaforma logistica del
Mediterraneo”. E di conseguenza si sono moltiplicati i progetti e le
iniziative:
- da una parte ci sono gli
organismi di attrazione degli investimenti esteri (le cosiddette agenzie di
marketing territoriale) che a livello nazionale e in molte regioni
(innanzitutto in Piemonte e in Campania) cercano di convincere i grandi
operatori mondiali della logistica e del trasporto a porre le loro basi europee
proprio in Italia
- dall’altra si costituiscono i
raggruppamenti d’interesse per promuovere la costruzione delle nuove
infrastrutture e far diventare i loro desideri elementi portanti delle priorità
di ammodernamento delle reti europee. E’ in questa logica che vanno
interpretate le nuove gallerie di base del Frejus e del Brennero e – da ultimo
– il progetto del “corridoio dei due mari” che dovrebbe collegare Genova e
Rotterdam rendendo necessario il terzo valico ligure e un nuovo tunnel anche per
il Sempione.
Di fronte al sommarsi di uno
scenario tendenziale di aumento dei flussi di trasporto e di un coagulo di
interessi per catturare una quota crescente di flussi di solo attraversamento,
gli interventi per la sostenibilità del trasporto attraverso le Alpi (tasse
ecologiche,modernizzazione della logistica e delle infrastrutture) rischiano di
essere inutili, se non addirittura controproducenti (dato che faciliterebbero
il moltiplicarsi dei flussi, più che loro sostenibilità).
E’ invece è probabilmente
necessario passare per una nuova opzione politica che riparta dalle fondamenta
della politica di protezione delle Alpi. Un nuovo percorso logico è
innanzitutto necessario:
-
per esplicitare l’incommensurabilità in termini economici del
valore ambientale e umano del bene comune “Alpi” e definire a priori (e non
scoprire a posteriori) la capacità di carico dell’ambiente alpino;
-
per passare di conseguenza dalla logica degli incentivi e disincentivi
a quella del razionamento e dei divieti (da articolare differenziando i flussi
di merce prioritari e quelli che non lo sono);
-
per impostare una politica di ammodernamento della logistica,
non per razionalizzare i flussi a lungo e lunghissimo raggio, ma per riportare
in ambito locale la produzione e il consumo delle merci (per promuovere dunque
una “logistica del ciclo corto”); il tutto con evidenti effetti anche in termini
di priorità infrastrutturali.
Questo nuovo approccio è definito
– anche da autorevoli studiosi – della “decrescita”. A me questa definizione non
piace perché dà l’idea di un tendenziale impoverimento. Preferisco invece
parlare di “diversa qualità dello sviluppo”; in questo caso di “diversa qualità
del trasporto”.
In ogni caso si tratta di un
approccio che ha un evidente portato in termini di consenso (e anche di
conflitto); non tanto riguardo alla costruzione di una singola infrastruttura e
all’ennesima grande opera, quanto proprio sulla definizione di in un nuovo
modello economico, sui cambiamenti che esso richiede e sui costi di transizione
che certamente vanno sostenuti.
* Gerardo
Marletto (1961) è professore associato di economia
applicata all’Università di Sassari. Ha insegnato politica ed economia dei
trasporti al Politecnico di Milano e all’Università di Roma – Tor Vergata ed
stato per diversi anni responabile del centro studi di Federtrasporto. Negli
ultimi anni si è occupato prevalentemente delle relazioni tra trasporti,
ambiente e innovazione. Tra le sue ultime pubblicazioni: La politica
italiana dei trasporti: una rilettura critica, Economia pubblica n.6/2004; Una politica industriale per un’altra
mobilità, Economia Società Istituzioni n.1/2004.