L'ITALIA IN VAL DI SUSA
di
Marco Revelli da Il Manifesto del 19/2/10 –
pag. 1
Quanto è accaduto in Val di Susa nella notte tra mercoledì e
giovedì è terribilmente significativo dell'Italia di oggi. Per certi versi
tragicamente esemplare. Mentre il paese intero sprofondava nel fango per lo
scandalo della Protezione civile, esattamente nel momento in cui a Roma i
giudici della Corte dei Conti denunciavano la crescita esponenziale della
corruzione, lo Stato si scatenava, con una violenza del tutto sproporzionata e
ingiustificata, contro una popolazione che - tra i pochi - tenta di contrastare
la logica dell'affarismo e la devastazione del territorio. Comandava la piazza
- guarda chi si rivede - lo stesso alto funzionario per il quale i PM titolari
dell'inchiesta genovese sul «macello» della scuola Diaz avevano chiesto la
condanna a un anno e mezzo di reclusione con l'accusa di aver tentato, come il
suo capo De Gennaro, di occultare le responsabilità. E che con De Gennaro era
stato assolto, con una sentenza che sollevò scandalo.
Non stupisce che anche questa volta le testimonianze parlino di un
accanimento particolare nei pestaggi, con scene simili a quelle di Genova 2001:
l'uso feroce dei manganelli, la gente a terra malmenata da grappoli di agenti
inferociti, la caccia all'uomo anche quando gli assembramenti erano sciolti,
complice l'oscurità e l'assenza di giornalisti. Risultato: un giovane in
gravissime condizioni per un trauma cranico con emorragia, una donna di
Villarfocchiardo con fratture plurime al volto e alle costole e sospette
lesioni interne, decine di feriti curati dai medici in valle per timore
dell'arresto in ospedale.
Il tutto per realizzare un'impresa inutile, futile se non
truffaldina come ben sa chiunque si sia occupato da vicino della cosa: un
carotaggio dal puro significato simbolico, in un terreno geologicamente già ben
conosciuto e analizzato, fatto con l'unico scopo di mostrare burocraticamente a
Bruxelles che qui si «fa qualcosa» e raccattare con un espediente i fondi
europei stanziati. Un dispendio di denaro pubblico per intercettare flussi
finanziari da redistribuire nella rete delle imprese e dei professionisti
coinvolti in attività prive di utilità reale.
C'erano, dunque, in un «punto solo» - nello spazio sintetico di un
episodio - un po' tutti gli ingredienti della crisi italiana. Di questo lungo,
strisciante 8 settembre della repubblica, senza Alleati e senza partigiani, in
cui tutto sembra «andare giù» nel fragore del gossip e nell'impotenza delle
azioni. C'era l'arroganza cieca di un potere logoro ma ancora capace di far
male. C'era il ritorno arrogante, prepotente, del nostro passato prossimo non
risolto né emendato: la vergogna cruenta di quel G8 genovese, incrociata e
sovrapposta alla vergogna sordida del mancato G8 sardo, l'uno all'insegna delle
torture (impunite) della Diaz e di Bolzaneto, l'altro delle escort del Centro
massaggi romano... C'era, infine - a far da capro espiatorio e a testimoniare
un residuo di dignità - la solitudine politica di un pezzo di «popolo» che comunque
resiste alla logica che ci ha portati fin qui. E non accetta la riduzione della
propria comunità a merce da svendere e mettere a profitto.