Il gioco delle tre carte, e altre storie
Nel presentare la legge
finanziaria per il 2006, il Consiglio dei Ministri del precedente governo
faceva nel 2004 il punto della situazione finanziaria del paese, e dichiarava,
a bocce ferme o quasi, che il deficit
della spesa pubblica era stato nel 2004
pari al 2,9% del prodotto interno lordo (p.i.l), quindi dentro il limite
imposto dall’accordo europeo, siglato al momento della costituzione della
moneta unica (3% del p.i.l). Per l’anno 2005 si prevedeva di abbassare questo
rapporto al 2,7%.
Che le cose non siano andate in questi termini è sotto gli occhi di
tutti. Oggi ci viene chiesto di tirare la cinghia per circa 35 miliardi di euro
in un anno, al fine di rientrare nel limite del 3%, abbondantemente superato
negli anni precedenti. I motivi che rendono necessario il sacrificio, buoni o
cattivi che siano, vengono cantati in coro sui mezzi di comunicazione; ma dei
motivi che hanno reso del tutto errate
le proiezioni della finanziaria 2005, e persino la valutazione a posteriori del
debito degli anni precedenti, si preferisce non parlare. Qualcuno della nuova
maggioranza prova ad attribuire il deficit alla finanza allegra del precedente
governo, ma evita con cura di approfondire l’argomento; non si sa mai, Tremonti
si potrebbe inferocire. Perché non è
vero che il precedente ministro del Tesoro non sapesse fare i conti; lui il
pallottoliere lo sa usare benino.
Se il deficit è divenuto di colpo
più alto di circa un punto del prodotto
interno lordo, è perché l’istituto europeo di statistica, nella sua funzione di
controllore dei bilanci dei vari Stati dell’Unione Europea, si è rifiutato di
avallare una truffa schifosa, ma a tutti nota e da tutti condivisa, che la
nostra classe dirigente era andata affinando in passi successivi, dai falsi
degli anni ’90 attorno alla natura societaria di TAV Spa, fino alle norme
previste dalla legge n. 443 del 2001, la cosiddetta Legge Obbiettivo del governo Berlusconi. Questa truffa si chiama modo di finanziamento delle grandi opere.
Senza entrare nel merito di una
lunga e complicata storia[1],
ci limitiamo a ricordare che l’idea centrale della truffa consiste
nell’istituzione di una Scatola Vuota s.p.a.
(Alta velocità s.p.a., Infrastrutture s.p.a., Ponte di Messina s.p.a.,
et cet.), una società con capitale pubblico ma di diritto privato, il cui ruolo
è quello di finanziare l’apertura dei cantieri e la costruzione delle grandi
opere, facendo debiti con le banche. Salvo il fatto che questa società definita
di diritto privato gode per legge di un privilegio straordinario; qualunque sia
la stupidaggine finanziata, o l’entità delle somme impiegate, la loro
restituzione – e anche il pagamento degli interessi – è garantito dal Tesoro,
quindi dalla ricchezza collettiva; debito qui, debito là, signore e signori,
dov’è il debito?
L’istituto europeo di statistica
ha preteso che i mutui accesi con le
banche dalle Scatole Vuote s.p.a. fossero conteggiati nel debito pubblico, come
era giusto che accadesse: fine del gioco delle tre carte.
Detto questo, tanto per ricordare
il quadro, possiamo accennare per sommi capi ai problemi che rimangono aperti:
1) all’istituto
europeo di statistica non importa nulla del modo con cui la voragine del debito
nascosto verrà riempita; anzi, tenuto conto del generale clima politico, se il
tutto si risolverà in un massacro dei servizi sociali, l’evento sarà
probabilmente benvenuto; aprirà la porta ai servizi privati a pagamento.
A noi importa, invece. Tuttavia, ora che il denaro è sparito, ingoiato nella palude amministrativa che protegge i cantieri, le cooperative di costruzione, la Rocksoil di Lunardi come la CMC di Ravenna o l’Impregilo, non possiamo che elemosinare una qualche mitigazione degli aspetti più incresciosi della stretta finanziaria, o sperare di diluire la botta in anni successivi. Con lo sberleffo di qualche cialtrone miliardario, che dopo avere posto le premesse della situazione attuale ci chiama alla virtù del sacrificio in nome degli interessi generali.
La forza di
questa truffa consiste nello sfasamento temporale tra il momento in cui il
debito è creato e nascosto – e di cui usufruiscono una minoranza di persone, i
padroni delle banche, i funzionari politici, i dirigenti o proprietari delle
imprese di costruzione – e il momento in cui tutti gli altri vengono chiamati a
pagare. Ma proprio per questo motivo va ricordato a gran voce che esiste un
filo diretto tra il taglio di servizi essenziali, il mancato inserimento delle
nuove generazioni nel mondo del lavoro, la carenza di innovazione del prodotto
delle aziende italiane da una parte, e la politica delle grandi opere
dall’altra. Vi è un trasferimento continuo di risorse a favore di un segmento
limitato di popolazione, che ha la faccia di definirsi classe dirigente, il
quale impoverisce il resto del paese, e prefigura una situazione in cui verrà a
cadere anche la parvenza di uno stato di diritto. Il flusso è diretto verso
settori di bassa tecnologia – popolati da semianalfabeti di origine politica o
da affaristi rampanti – ma adatti a far cassa rapidamente. Legare questi
aspetti in un discorso unitario è il compito politico più rilevante
dell’iniziativa contro la legge obbiettivo, a Roma il 14 Ottobre.
2) Non esiste
nessuna vera differenza, rispetto a questo argomento, tra centro-destra e
centro-sinistra.
A parte qualche inevitabile contesa sulla divisione del bottino, si può dire che gli uomini dell’uno e dell’altro schieramento sono in realtà nello stesso giro di affari. Secondo quanto ha raccontato Sergio Cusani a Susa nel febbraio di quest’anno, il progetto dell’Alta Velocità ferroviaria è nato, tanto per citare un fatto, da un accordo tra Fiat Impresit (ora Impregilo) e Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna, ben prima che accorresse a sguazzarvi dentro la Rocksoil di Lunardi. E per quanto riguarda l’architettura amministrativa e finanziaria che sostiene i progetti, essa è stata progressivamente messa a punto nell’arco di quindici anni, senza alcuna discontinuità tra un governo e il successivo.
Tanto è
vero che nel momento della crisi l’attuale governo ripete, con il trasferimento
del Tfr ( la liquidazione) all’Inps e
con la sua destinazione al finanziamento delle grandi opere, lo stesso
miserabile artificio della Scatola Vuota s.p.a., facendo figurare come
un’entrata di cassa quella che è un’appropriazione della ricchezza dei
lavoratori, quindi un debito da onorare[2].
Occorre dire per onestà che Rifondazione Comunista e Verdi si sono dimostrati
per alcuni aspetti critici della logica delle grandi opere; ma la debolezza
della loro posizione di principio deriva non solo dal fatto che essa si è
dissolta spesso e volentieri nel momento delle scelte – e non solo in sede
locale, i Verdi ad es. hanno avallato l’assurdità tecnica che le linee AV
sarebbero servite a decongestionare il trasporto stradale di merci, quando
nessuna soluzione, se questo fosse stato il problema da risolvere, avrebbe
potuto essere meno fondata – ma anche dal suo carattere di una contestazione degli effetti ultimi, che
evita di nominare le cause. E’ un atteggiamento di debolezza politica
irrimediabile dichiararsi contrari al progetto AV perché eccessivamente
costoso, senza spiegare il favore che
esso incontra in tutte le altre formazioni politiche con il fatto che si tratta
di un eccezionale strumento per l’appropriazione incontrollata del denaro
pubblico. E specialmente senza dire che si tratta di una scelta che ha valore
di sistema; l’aprire una voragine nei conti pubblici è non solo un furto alla
maggior parte della popolazione, è la leva attraverso cui far passare la privatizzazione
dei servizi, presentata come inevitabile per la mancanza di fondi ulteriori.
Nei giorni
pari qualche sconcio buffone ci racconta che dobbiamo sostenere, per decine e
decine di anni, investimenti demenziali in completa perdita, per la
modernizzazione, per la visione strategica, per il parere illuminato di Camillo
Benso conte di Cavour, da lui interpellato con la tazzina; e nei giorni
dispari, un altro vestito con il saio della penitenza ci viene a dire, la voce
compunta, che siamo alla canna del gas, e che dobbiamo affidare la gestione
dell’acqua a una società privata, perché non vi sono capitali pubblici che
consentano il potenziamento, e neppure la gestione della rete. Lui non
vorrebbe, ha il cuore che sanguina, ma è una scelta obbligata.
Solo che i
due, l’arlecchino e il penitente, vanno a cena insieme; sono soci in affari, se
non direttamente, attraverso il loro partito.
3) Abbiamo
detto che si tratta di una truffa, e che
oramai è del tutto legale.
Non siamo
divenuti pazzi. I nazisti hanno sterminato milioni di persone, senza violare
una sola legge del loro Stato; erano loro, anzi il loro beneamato Capo, a
formulare le leggi. Non per questo quanto hanno fatto ha smesso di
rappresentare un crimine. Tornando ai fatti attuali, non era scritto da nessuna
parte che, in regime apparentemente democratico, una progressiva concentrazione
di poteri e di forze interessate al saccheggio della ricchezza pubblica non
arrivasse a svuotare di significato la democrazia stessa, né che la rapina del
denaro di tutti divenisse l’attività normale
del settore dominante del paese. In realtà, per rendere la competizione
politica una farsa, è sufficiente il controllo totale dell’informazione.
Nessuno sa per chi vota, né per quale motivo.
La mancanza
di strumenti di comunicazione colloca tutti gli altri in uno stato di
inferiorità; se vogliamo uscire da questa condizione dobbiamo costruire
circuiti di informazione alternativa. Le lotte di cui siamo protagonisti vanno
nella direzione dell’interesse generale; eppure, qualche idiota si permette di
indicarci come portatori di interessi particolari, poveri montanari affetti
dalla sindrome Nimby. Tutto questo può accadere perché non abbiamo gli strumenti per arrivare ai molti che
giorno dopo giorno vengono derubati, senza saperlo, del poco era stato concesso
alla fatica dei loro padri. Annullare questa separazione è il primo dei nostri
impegni; non è un impegno lieve, ma non possiamo evitarlo.
4) Ultima
considerazione.
Non credo che siamo di fronte a eventi così drammatici come quelli che attendevano le sottorazze ingoiate da Auschwitz; se ho ricordato le imprese dei nazisti è stato solo per sottolineare attraverso l’esempio più evidente del secolo appena trascorso, come la legge e il crimine possano andare sottobraccio; e come la coscienza sotterranea di questa condizione possa divenire un potente elemento di coesione conformista.
Ma non ci
troviamo neppure ad affrontare un semplice borseggio; la posta di questa partita è più alta. Sono in gioco l’equilibrio
di poteri tra enti locali e potere centrale, pietra angolare della democrazia;
l’indipendenza, o semplicemente il diritto ad esistere di enti autonomi di
controllo, che l’invasione dei politici tende ad annullare – vedi il
comportamento delle varie agenzie di protezione dell’ambiente o la scomparsa
delle ferrovie di stato come tecnostruttura autonoma.
In campo
culturale, l’idea stessa della competenza è stata sostituita dalla retorica più
becera, presa a prestito dal linguaggio militare che accompagna le grandi
imprese – l’opera strategica, il corridoio numero cinque, ecc. -.
Il tutto,
infine, ha come contesto un problema
denso di implicazioni per l’immediato futuro. Chi è in grado di
interpretare i modelli di previsione globale per le variazioni di stato di
questa boccia di acqua, aria e terra su cui viviamo – ne abbiamo al nostro
interno un buon numero – sostiene che il cosiddetto sviluppo porta alla
catastrofe, attraverso la progressiva degradazione delle risorse fondamentali.
Le grandi opere devastano in modo irreversibile un bene primario: il
territorio. Non è obbligatorio pensare che chi guida la corsa al disastro sia
così stupido da tagliare volutamente il ramo a cui si appoggia; più
ragionevolmente i Formigoni, Bresso e Illy
sanno che il processo non sarà
uniforme, e contano di raggiungere i loro soldi in qualche regione del
mondo che resisterà più a lungo: una scelta da borghesia coloniale.
Ma noi che
abbiamo avuto in sorte di vivere nelle aree destinate prima delle altre allo
scempio, dobbiamo trovare la forza di trasformare la nostra protesta in un
messaggio di valore generale. Erga omnes.