I modi con cui il giornale La Stampa di Torino cerca di sovrapporre l’immagine dei nuovi brigatisti, arrestati in questi giorni, al movimento popolare di protesta contro il progetto di alta velocità ferroviaria in valle di Susa, rappresentano un esempio, da manuale, di disinformazione. La differenza di comportamento rispetto ad altri quotidiani sembra riconducibile, purtroppo, al ruolo del presidente della società editrice come grande promotore della Torino-Lyon: una voce importante, dunque, del composito schieramento di poteri che stanno dietro la politica delle grandi opere. Per anni chi non ha avuto altra fonte se non il giornale ha acquisito dell’intera vicenda una visione, distorta e ridicola, di scontro tra il progresso e l’oscurantismo.
Tuttavia, in questi giorni è stato fatto un passo ulteriore. La confusa storia dei nuovi brigatisti -a metà sopravvissuti, per quel che sembra di capire, di una linea (la formazione del partito proletario combattente) che da un quarto di secolo non è più presente, neppure sottotraccia, in alcuna sede di dibattito, a metà appartenenti alla delinquenza comune- ha offerto al giornale il destro per una operazione di suggestione dei lettori, portata avanti con tecniche che si possono definire come un fotomontaggio più elaborato di quello classico.
Non
potendo sostenere che i brigatisti abbiano infiltrato il movimento di protesta,
La Stampa titola nell’edizione del 14 febbraio, e su cinque colonne,
unico giornale al mondo “BR: un modello
la lotta no-Tav” facendo riferimento, a giudicare dall’articolo
di Susanna Marzolla e da quello di Massimo Numa in cronaca cittadina, al fatto
che gli aspiranti brigatisti avrebbero scritto su un giornale clandestino,
letto solo da loro (circa quindici) e dalla Digos, che in valle di Susa si è
verificata “una forma di lotta che ha
riscoperto il valore della salute”, più altre due o tre banalità
roboanti del tipo “le dinamiche che
spazzano via l‘intermediazione istituzionale” ecc. Poco vale che il
giorno dopo, nel quotidiano del 15 febbraio, la riposta redazionale alle molte
lettere di protesta che esprimono la nostra stessa preoccupazione, sostenga che
“resta il fatto” che il giornaletto “L’Aurora” cita la lotta no-Tav: sia perché
un movimento non può essere contaminato dagli estranei che esprimono interesse,
sia perché diverse sono le responsabilità di un ciclostilato che -come già
detto- raggiunge qualche decina di persone e un quotidiano che è letto da
centinaia di migliaia.
Del
movimento di protesta della valle di Susa si sono occupati i mezzi di
informazione di buona parte di Europa, tutti i politici in cerca di voti e gli
ex di qualsiasi tipo in cerca di rilancio, i servizi segreti italiani, e non
sappiamo chi altri ancora. Da aderenti, o simpatizzanti, del movimento
valsusino, siamo colpiti dal fatto di essere stati oggetto di studio anche da
parte di Alfredo Davanzo e Vincenzo Sisi, di cui non avevamo mai udito fino a
ieri parlare; ma non possiamo che rimanere perplessi della circostanza che
questi due abbiano impiegato il loro tempo a studiare, come sottolinea il
giornale, “i no-Tav come modello di
organizzazione”. Perché delle due l’una: o il giornale di Torino
è disposto a scrivere di tutto pur di nominare, e stampare nella mente dei suoi
lettori, la sigla no-Tav in un contesto negativo, o gli aspiranti brigatisti
vivevano in un perenne stato di confusione mentale.
Pochi
movimenti politici sono stati più alieni e ostili di quello valsusino alla sola
idea del partito, figurarsi di quello di stampo marxista-leninista, con la sua
linea di comando e la gerarchia che ne deriva. Né ha avuto alcun ruolo nella
genesi del movimento di protesta la convinzione che spetti a una particolare
sezione del mondo del lavoro, l’operaio di fabbrica, pur rispettato per la sua
fatica, il compito di liberare l’umanità intera. Il movimento No-Tav, come lo
chiama La Stampa, ha come sua prerogativa il non avere alcuna gerarchia
prestabilita; quindi, secondo gli schemi della sinistra storica, nessuna
organizzazione.
Proprio
per questo è difficile che serva da bacino di reclutamento per una formazione
marxista-leninista; rispetto alla cultura dominante in quei gruppi, il
movimento valsusino costituisce una discontinuità netta. Il giornale vuole
suggerire esattamente l’opposto, e poiché non ha alcun elemento per sostenerlo,
riporta in cronaca cittadina le parole del vicequestore Petronzi, il quale
esclude “tassativamente” una
contaminazione tra il movimento No-Tav e le Brigate Rosse –“non c’è nessun indizio che vada in questa
direzione”– anche se ripete la notizia che “i brigatisti hanno studiato
con estrema attenzione ogni fase della
protesta contro la Tav in Val Susa. Per loro ha costituito un modello”.
Il
fatto che il giornalista Massimo Numa, a virgolette chiuse, aggiunga una frase
retta sintatticamente dall’ultimo verbo usato da Petronzi (“e anche un humus favorevole al
proselitismo”) come se questa fosse un’aggiunta o un secondo
pensiero del vicequestore, è qualcosa che va sotto il segno della
manipolazione della notizia. Eseguita con quel tanto di mestiere da evitare la
smentita -le virgolette che salvano-, ma non per questo apprezzabile. Verrebbe
voglia di domandare a Numa quali, tra gli arrestati, sia stato allevato nell’humus valsusino, ma non si riceverebbe
risposta. Del resto, proseguendo nella strategia della confusione, dopo un paio
di pagine, lo stesso giornalista ci informa con un titolo a tre colonne che i “neobrigatisti erano affascinati dai no-Tav”,
salvo poi scrivere nel testo che gli ideologi di Seconda Posizione “non si sono infiltrati nel movimento”
ma hanno partecipato in prima persona a tutto il ciclo delle manifestazioni,
nella veste di “osservatori”.
In
altre parole, qualcuno di loro è stato nel mezzo di cortei di decine di
migliaia di persone, senza aprire bocca e senza prendere iniziative: osservava.
Speriamo che a nessun aspirante brigatista sia venuto in mente di confondersi
con qualche banda di assatanati delle curve, durante una partita di calcio,
altrimenti il legame tra i no-Tav e gli assassini di Catania sarebbe cosa
fatta, per la proprietà transitiva.
Infine
l’argomento è ripreso, nella forma astuta della domanda anonima –“qualcuno sostiene che...”-
nell’intervista a Marco Revelli. L’intervistato smentisce con fastidio, ma la
sovrapposizione è compiuta. Potremmo andare avanti, ma non ne vale la pena. Le
tecniche di manipolazione dell’immagine sono note, sia nella vendita di un
prodotto, sia nella propaganda politica; sull’argomento sono stati scritti
buoni libri (tra gli altri, proprio sul tema Tav, uno del prof. Calafati
dell’Università di Ancona).
Un
aspetto in particolare ferisce nella campagna recente della Stampa:
chiunque sappia leggere non può che rimanere colpito dal modo strumentale con
cui è costruita la notizia, dalla assenza di fatti che dovrebbero sostenere il
messaggio che si vuole trasmettere. Per assumere un atteggiamento simile,
occorre contare su una complicità diffusa molto forte, che in genere accompagna
il linciaggio di una minoranza, ritenuta pericolosa, o di una popolazione
straniera. E’ proprio della propaganda di guerra l’accostamento sistematico, e
irrazionale, di un gruppo esterno a qualche rappresentazione terrifica e
ripugnante; serve a creare l’idea del nemico, una maschera di comodo la cui
presunta ferocia giustifica la propria.
La novità è che la tecnica di demonizzazione è ora applicata a una parte dei cittadini italiani: è un confine pericoloso quello che stiamo attraversando, e non abbiamo un’idea di dove questa deriva possa portare.
I promotori della politica delle grandi opere hanno perso il senso del limite. Farebbero bene a riacquistarlo, ed è bene che i giornali pubblichino le lettere di quanti, in valle di Susa o a Vicenza, vogliono esporre le proprie ragioni, invece di deturparne l’immagine. E’ vero che in realtà questi gruppi non possiedono kalashnikov, ma l’ostinazione delle persone miti può essere molto dura da superare, forse più resistente di un partito unico rivoluzionario.
Alessandra
Algostino
Gianni Ascheri
Simona Bani
Fabio Bovi
Claudio Cancelli
Patrizia Cancian
Eleonora Cane
Giuliana Cupi
Giorgio Faraggiana
Maria Cristina Ferro
Salvatore Ficarra
Maria Chiara Giorda
Luca Graziano
Daniele Jalla
Angela Lano
Caterina Livide
Ermes Martinasso
Paolo Mattone
Clementina Mazzucco
Luca Mercalli
Guido Montanari
Alberto Porro
Luigi Provero
Chiara Sasso
Giuseppe Sergi
Angelo Tartaglia
Massimo Vallerani
Fulvio Zavaroni
Massimo Zucchetti