Perché le grandi opere non si fanno
Critiche e consigli derivati entrambi da una visione saggia
dell’economia e della tecnica dei trasporti.
Ma chi dovrebbe ascoltare è sordo alla saggezza
di
Marco Ponti da Il Fatto quotidiano, 8 ottobre 2010.
Le grandi opere
“prioritarie”, decise nella legge finanziaria che si appresta a essere
presentata, adesso sono diventate 28 (cfr. Sole 24 Ore di martedì), quasi tutte
di trasporto, strade e ferrovie. Un nuovissimo elenco. I governi di
centrodestra, dopo la celebre lavagna presentata da Berlusconi a Porta a Porta
con 19 opere prioritarie, hanno prodotto davvero un grande numero di elenchi:
il numero delle opere ha oscillato da 9 a 184, con moltissime sottovarianti.
Poi di opere ne hanno fatte pochine e spesso per nostra fortuna, visto che
molte e costosissime, probabilmente non servono, o non sono affatto
prioritarie.
Nel mondo sviluppato,
gli elenchi di opere pubbliche si chiamano “shopping lists”, per distinguerli
dai piani di investimento dotati da una qualche razionalità complessiva. Ma a
quest’ultimo (ultimo?!?) elenco manca anche un minimo assoluto di elementi di
valutazione e di priorità, che possano almeno suggerire ai contribuenti (nel
caso delle ferrovie e metropolitane), o a agli utenti (nel caso delle autostrade)
con quale logica si è deciso di spendere i loro soldi. Mancano ovviamente
analisi costi-benefici sociali comparative (ma questo c’era da attenderselo,
dato il deserto culturale in materia da sempre esistente in Italia). Ma mancano
anche più semplici analisi finanziarie comparative (cioè il bilancio
costi-ricavi, che segnala l’onere pubblico complessivo dell’opera e che per
questa ragione deve contenere stime sul traffico servito). Ma manca anche il
più semplice dei dati, appunto le previsioni di domanda. Queste consentirebbero
ai cittadini (ai pagatori) di confrontare un’opera costosissima su cui passerà
poco traffico con una più economica su cui ne passerà moltissimo e di
aspettarsi che di ciò si sia minimamente tenuto conto nelle scelte di priorità.
Ma se la logica della spesa è spartitoria e prescinde da ogni razionalità
economica, dare dati di domanda può essere pericoloso, anche in caso di analisi
di domanda “addomesticate”, cioè non fatte da soggetti indipendenti e in modo
comparativo.
Basta guardare al recente passato: la linea Alta Velocità
Milano-Torino per esempio (ma tanti altri ce ne sono) è costata 8 miliardi di
euro, ha una capacità di 300 treni al giorno e ne porta 14, cosa largamente
prevedibile e da molti tecnici invano prevista e segnalata per tempo.
Ma l’elenco delle 28 opere sarà comunque utile: farà partire molti
cantieri (soprattutto in vicinanza di elezioni), per i quali poi non ci saranno
i soldi per finire le opere, che si trascineranno per tempi biblici. Niente di
male: l’obiettivo è aprire i cantieri, non finire le opere. L’orizzonte del
consenso politico non supera certo la durata (residua) di una legislatura, e
moltissime hanno durate superiori anche se realizzate secondo programma.
C’è una razionalità di fondo in questa follia: il funzionamento
degli appalti nelle opere civili. La concorrenza funziona pochissimo e non solo
in Italia: gran parte delle risorse devono essere reperite in loco (macchinari,
cemento, inerti, parte della mano d’opera). Quindi vincono quasi sempre imprese
nazionali, che in buona quota poi si servono di imprese locali. Quindi le opere
civili sono uno dei pochi strumenti con cui lo stato può finanziare le imprese
nazionali e locali. Poi succede a volte che le imprese manifestino gratitudine,
che in sé è un sentimento virtuoso.
Purtroppo poi il settore è anche particolarmente afflitto dalla
presenza della malavita organizzata, sempre a causa della scarsa competizione
possibile e del diffuso intreccio politica-affari che ne segue. Malinconico ma
non inspiegabile, per le ragioni sopra illustrate, il pieno supporto dato dal
Pd e anche da Di Pietro a questa logica di spesa. La foglia di fico della
contrarietà all’inutile Ponte di Messina del Pd infatti nasconde l’assenso a
tutto il resto, spesso ancora più inutile e costoso.
Per finire, tre accorate raccomandazioni: 1) dare un minimo di
dati comparativi, per rincuorare i pagatori delle opere. 2) Tener conto che il
traffico è prevalentemente di breve distanza, che si serve assai meglio con le
“piccole opere” locali e con la manutenzione, che generano tra l’altro più
occupazione in tempi più brevi, a parità di spesa. 3) Infine, partire coi
cantieri solo quando tutti i soldi necessari a finire l’opera sono allocati e
“congelati”. Lo “stop and go” infinito dei cantieri è micidiale sul piano sia
dei costi che della funzionalità, come troppe esperienze passate hanno
mostrato.