Le domande senza risposta
La TAV in
Val di Susa fa discutere. Speriamo che la discussione continui, e risponda
positivamente a tutte le esigenze.
di Luciano Gallino da Repubblica del 30/11/05
Sono tendenzialmente favorevole a un rilevante trasferimento del traffico merci dalla strada alla rotaia. Potrei quindi essere etichettato come un potenziale pro Tav, per inclinazione e per gli studi fatti sulle conseguenze dello sviluppo industriale. La massa delle merci in viaggio per l'Europa è formata in effetti o da materie prime o semilavorati o componenti destinati all'industria, oppure da beni prodotti dall'industria. Il mezzo più efficiente per trasportarli, dal punto di vista energetico, e il meno oneroso per l'ambiente, è certo la ferrovia. Ben vengano dunque i progetti intesi a trasferire sui treni alcuni milioni di tonnellate di merci l'anno.
Nel caso della Val di Susa, in
quanto tendenziale pro Tav, sono rimasto però – almeno fino ad ora – alquanto
deluso.
Mi
attendevo che i politici, gli amministratori, i dirigenti d'impresa, gli
esperti rispondessero con argomenti circostanziati alle perplessità di ordine
tecnico ed economico sollevate da varie parti sulla grande opera che dovrebbe
attraversare, per il lungo, tutta la valle. Ora è certo possibile che mi sia
perso qualche articolo o discorso super-documentato. Resta il fatto che gli
argomenti pro Tav in Val di Susa avanzati negli ultimi mesi mi paiono rientrare
prevalentemente nella categoria "ce lo chiede l'Europa", ovvero
"non si può bloccare il progresso", o, ancora, "non si può
cedere alla demagogia". Un po' poco, per uno che è sì pro Tav, ma che
vorrebbe vedere la sua causa difesa con ragioni compiutamente argomentate.
Proverò a riassumere in alcuni punti le domande che mi pare non abbiano
ricevuto finora, dal fronte pro Tav, risposte approfondite.
1)
Sarebbe utile sapere quali analisi economiche sono state fatte, ovvero quali
strumenti legislativi si pensa di introdurre, per assicurare che una volta
compiuta la grande opera il traffico merci si sposti realmente, in misura tale
da giustificare i costi economici e sociali dell'opera, dalla strada alla
rotaia. Tale quesito è stato sollevato da un economista liberale, Mario Deaglio
(La Stampa, 11/11/2005). I binari non sono dotati di un'attrazione magnetica
tale per cui si possa essere certi che, una volta posati, fiumi di merci
lasceranno la strada per affluire su di essi. Sarebbe drammatico se, dopo 15-20
venti anni di lavoro, trasformazioni radicali, sociali economiche e ambientali,
di un'intera valle, e 15 miliardi di euro (che potrebbero facilmente diventare
18 o 20) le merci continuassero a correre sui tir.
2)
Altri studiosi di economia, nemmeno essi estremisti, hanno osservato che il
potenziamento della linea esistente, quella del Fréjus, e una appropriata
politica tariffaria pro-ferrovia e moderatamente anti-Tir, la domanda
ferroviaria per Modane potrebbe arrivare a quasi 17 milioni di tonnellate/anno.
Con la realizzazione della Tav in Val di Susa la domanda potrebbe arrivare – ma
non è certo, perché la composizione delle merci cambia – a poco più di 21
milioni di tonnellate l'anno (Andrea Boitani, la voce.info, 23/11/2005). Su un
piatto, dunque, ci sono forse quattro milioni di tonnellate in più sui treni;
sull'altro, un traforo di 52,7 chilometri, più uno di dieci, con 15 miliardi di
spesa e oltre. Sarebbe gratificante, per chi crede nell'importanza del
passaggio alla rotaia, capire come si pensa di equilibrare i due piatti della
bilancia.
3)
Gli svizzeri sono molto avanti con il raddoppio del Gottardo ferroviario e con
la costruzione del nuovo tunnel del Loethchberg, dalle parti del Sempione. Pare
ovvio che nei prossimi anni gran parte del traffico merci del milanese e di
gran parte della Lombardia prenderà tale direttrice per andare sia a Nord che a
Nord-Ovest. È possibile vedere, e serenamente discutere, qualche studio
che mostri in qual modo tale novità, che diventerà operativa molto prima
dell'eventuale Tav in Val di Susa, verrà ad incidere sulla convenienza di
quest'ultima opera? Se mai un simile studio fosse in giro, un pro Tav
tendenziale come chi scrive lo vedrebbe volentieri accompagnato da qualche
studio comparato che dimostrasse razionalmente la convenienza, a livello
nazionale, dell'opera valsusina rispetto a varie alternative. Quali, ad
esempio, il raddoppio del Brennero, o il potenziamento della linea da Torino a
Nizza, o della stessa linea preesistente del Fréjus.
Ho
lasciato da ultimo, ovviamente, la domanda delle domande. Anche nel caso in cui
si dimostrasse con cifre e argomenti ben fondati che la Tav in Val di Susa è,
dal punto di visto economico, e a lungo termine, superiore a tutte le
alternative possibili, e garantisce con elevata probabilità il passaggio di
grandi volumi di merci dalla gomma alla ferrovia, bisogna chiedersi come si
pensa di mantenere in valle un megacantiere della durata di 15-20 anni, che
produrrà e dovrà poi trattare e trasportare alcuni milioni di tonnellate di
materiali di scavo, contro la volontà di tutta una popolazione. Certo,
impiegando un paio di migliaia di poliziotti e carabinieri al giorno, per tutto
quel periodo, si potrebbe anche farcela. Ma con costi sociali e politici sin
troppo facilmente immaginabili.
A
questo punto la domanda non può che essere girata a Romano Prodi. Perché come
economista che punta al governo, ha certamente le carte in regola per chiedere
che, prima di avviare i macchinari degli scavi, i pro Tav della regione e del
paese diano risposte tecnicamente esaurienti alle osservazioni critiche
sollevate finora. Ma soprattutto perché la questione è diventata per intero
politica, come sono tutte le grandi questioni economiche non appena si scavi un
poco sotto le loro apparenze tecniche. La loro sostanza è sempre la stessa: si
tratta di distribuire con equità i costi e i benefici tra le popolazioni, gli
strati sociali e i territori coinvolti in innovazioni radicali. Nella vicenda
della Val di Susa parrebbe, al momento, che i costi gravino prevalentemente su
una parte sola. Vorremmo capire come Prodi pensa di ridurre tale squilibrio, o
magari se non medita di impostare uno scenario affatto inedito, che preveda più
benefici che costi per tutti gli interessati.