Caro
Sviluppo, sei contro il Progresso!
di
Gianni D'Elia da L'Unità
del 18/12/05
La lotta
della Val di Susa contro la nuova ferrovia ad alta velocità (Tav) sembra una
«lettera luterana» spedita al Palazzo. Questa volta a scrivere, però, non è
Pasolini, un intellettuale isolato, ma un intero pezzo d’Italia: un ambiente, un
paesaggio, una comunità di cittadini, di valligiani.
Perché
è una lettera eretica, contro il dogma moderno dello sviluppo tecnocratico, che
mette nel nulla il valore del Progresso democratico; una lotta della qualità
della vita e dello sviluppo stesso, contro la quantità semplicemente
utilitaristica dello Sviluppo senza Progresso, «fatto pragmatico ed economico».
Come tutte le eresie, è contrastata con la violenza verbale e fisica, con la
mistificazione comunicativa. Tutto comincia e finisce nel linguaggio. Le botte
della polizia vengono chiamate contatto; i blocchi e l’occupazione dei
cantieri e delle strade vengono assimilati ad atti antagonisti, anzi, a
soggetti antagonisti e anarchici, che naturalmente sono terroristi e sovversivi
pericolosi. Eppure, dicono le stesse cose dei valligiani: non vogliamo
questo Sviluppo. È vero che la tattica di lotta (violenta) ha già fatto
fallire tutti i movimenti italiani precedenti, e che quindi l’invenzione e la
correzione dei vecchi metodi di lotta, oltre che la critica morale di essi, sarà
la posta in gioco perché l’umanità vinca contro il potere la sua battaglia di
qualità.
Bisogna difendere la parola antagonismo, perché è l’essenza della
non violenza del futuro. E le frange e i metodi violenti vanno isolati e
condannati, pena un’altra sconfitta delle ragioni.
La
qualità non violenta e simbolica di questa lotta dovrà imporsi con la parola e
il consenso più grande. Questa lettera eretica è scritta al Palazzo, all’Europa,
ma anche alla Sinistra, al «Potere nel potere» che è anche ogni opposizione di
governo. Infatti, la Sinistra di
governo ha votato e deciso questa grande opera, anche se non la vuole imporre
con la polizia e la militarizzazione dei luoghi montani. Eppure, Governo e
Opposizione sono d’accordo nel dire che questa grande opera va fatta, così come
la Regione Piemonte, guidata dal centrosinistra.
Sono
tutti d’accordo su questo Sviluppo quantitativo, che ignora i pericoli dello
Sviluppo stesso. I Comuni e i cittadini, invece, i valligiani, sono per il
Progresso, e cioè per uno Sviluppo che rispetti l’ambiente, il paesaggio, la
salute delle persone. Ora, se i
costi umani e ambientali sono percepiti a livello di massa come superiori ai
guadagni economici e comunicativi pretesi, significa che c’è una resistenza di
massa alla omologazione dello Sviluppo, ai suoi pericoli produttivi, alla
dispersione nell’aria dei veleni d’amianto e radioattivi che la montagna (la
Natura) conserva nascosti, come l’uranio.
Subito
le «cornacchie» dello Sviluppo al governo hanno gridato al regresso, mentre i
nostri «aquilotti» di sinistra, che al governo dello Sviluppo ci vogliono
andare, ripetevano il verso del consenso da cercare, dell’accordo da trovare, e
dell’opera da fare. Invece, lo scandalo eretico della democrazia di base chiede
altro: un cambio di rotta verso il Progresso vero, che dovrà significare anche
un ritrovamento della velocità ordinaria della vita, e di un’economia che può
rispettare la montagna più della corsa di merci, la salute più dei soldi, la
bellezza più della storia. Corsa di treni, e corsa di merci, e velocità della
ricchezza, che riproduce la velocità della miseria dell’altro terzo del mondo.
Perché se lo Sviluppo produce il Sottosviluppo, come ammonivano i marxisti, la
velocità dello Sviluppo produce la velocità della Miseria: «Così non si può più
andare avanti» (Pasolini). Ora si vede come la lotta della Val di Susa
sia, nell’Italia omologata di Berlusconi, una lotta non economica ma culturale
e, in definitiva, filosofica.
Oggi
si fa, e poi si progetta, si dice di voler verificare il progetto; ma il
progetto è partito per farsi, per realizzarsi, e solo un’ipocrisia
epistemologica può riservarci la verifica, quando il fare per il fare l’ha già
ampiamente abolita.
Oggi in molti abbiamo così poca fiducia in questo
Sviluppo, che non crediamo alle sue verifiche fatte per realizzarlo. Chissà da
quanti anni ingurgitiamo vernici di vasi e vasetti, contenitori di merci
prodotte senza controllo se non sulla carta: suprema beffa terminologica, perché
è proprio l’involucro, la scrittura, che ci avvelena.
Usare
le gallerie che ci sono, i trafori e le linee già sufficienti per uno Sviluppo
del Progresso, è dunque il messaggio grande di questi cittadini di valle e di
montagna, che rifiutano il cosiddetto progresso di uno Sviluppo selvaggio e
senza una guida morale e culturale che non sia il danaro, la fretta di produrre
e di consumare la nostra vita, in questa civiltà a bassa velocità quanto più
corre e si danna (e ci danna), col suo Sviluppo velenosissimo e non contenibile
né sul pianeta né ormai, speriamo sempre di più, nella nostra coscienza di
risvegliati dal sogno bestiale dell’economia politica. Tra il governo e
l’opposizione, c’è un nuovo Dissenso. Sono tornate le lucciole di Pasolini:
Sviluppo e progresso. E cioè il Progresso come «nozione ideale (sociale e
politica)»: così Pasolini, in Scritti corsari (pp.
215-219).
Evidentemente,
questa lettera corsara e luterana riguarda la Sinistra, perché con essa sembra
finire la vecchia dissociazione consumistica: non si è più disposti a vivere lo
Sviluppo nell’esistenza, relegando il Progresso nella coscienza.
Cosa dice la lettera? Vivere il Progresso (vero) nell’esistenza significa
perciò difendere l’umano più che l’economico, mentre vivere lo Sviluppo nella
coscienza significa essere dissidenti, fuori dal coro del Palazzo e
dell’Opposizione ufficiale. Chi la raccoglierà in Italia?
Forse,
in questo trentennale del delitto di Pasolini, è nata una nuova rivoluzione
antropologica, una mutazione imprevista, che dà molta speranza per il futuro.
L’Italia è in questo molto più avanti e più umana, più poetica e scandalosa
della Francia e del resto d’Europa.