La chiave di lettura per l’ultimo
articolo di Le Dauphiné Liberé sono anzitutto l’accordo di Torino del 29
gennaio 2001 (che, se pur parziale, è tuttora l’unico ratificato sui circa 15
siglati tra Italia e Francia sull’argomento) per cui “il progetto internazionale” è diviso in tre parti: la parte comune
italofrancese (cioè il tunnel di base con la parte da St. Jean de Maurienne
sino a Bussoleno-Bruzolo); la parte
francese dal Sillon alpino (termine geografico che significa genericamente
la confluenza delle valli alpine e che si colloca nella zona di Chambéry), e la parte italiana che, secondo il
trattato, va dalla zona di Bussoleno-Bruzolo al nodo di Torino.
La CIG (commissione
intergovernativa italofrancese) ha competenze specifiche e di dettaglio sulla
parte comune, e di definizione del corridoio e della tipologia di opere sulle
parti nazionali, come si deduce dal fatto che nel 2000 fu la CIG che decise di
non far approfondire gli studi della soluzione Val Susa – Val Sangone,
relegandola ad un’ipotesi di emergenza da valutare successivamente (cosa che
tuttora non mi risulta sia stata fatta).
Il progetto internazionale è
quindi un tutto unico per l’UE, in quanto le vie di accesso sono indispensabili
per quelle finalità che motivano il contributo europeo.
Il vecchio progetto Alpetunnel e
SNCF prevedeva, da parte francese, una linea TGV da Lione a Torino ed una
risistemazione della linea merci “storica”, che è quella che scende da Digione,
costeggia il Lac Bourget ed attraversa Chambéry. Solo su quest’ultima sarebbero
passati i pesantissimi treni della “autostrada ferroviaria” che, nella versione
originale, sono di 70 grandi vagoni (i treni AFA che passano attualmente sono
di 11-18 vagoni). Il traffico sarebbe stato poi riunito nel tunnel di base e,
in linea di principio, avrebbe dovuto essere nuovamente sdoppiato in Italia in
una linea TGV e merci: ma le Ferrovie italiane optarono sin da principio per
una linea unica con traffico misto.
Il semplice ammodernamento della
linea merci storica da parte francese fu riconfermato in uno studio specifico
del 2002. Ma nel 2005, forse anche per la difficoltà di sostenere un progetto
merci Lione-Torino in cui le merci non vedevano neppure Lione, LTF elaborò un
nuovo progetto molto più ampio e costoso del precedente, che venne presentato a
gennaio-febbraio 2006.
Nel nuovo progetto da parte
francese tra Lione e l’imbocco del tunnel di base è prevista una nuova linea
TGV che passerà a Nord di Chambéry, ed una linea merci proveniente da Digione
che, invece che dirigersi verso Chambéry, scende su Lione, contornerà la città
con una nuova tangenziale ferroviaria, ed infine raggiungerà il tunnel di base
passando a Sud di Chambéry, più o meno nel corridoio del primo progetto TGV,
quello che era stato spostato a nord dopo le violente proteste del 1993-1998.
L’attraversamento esterno di Chambéry consente di evitare la strettoia che,
secondo dati governativi, limita a 10 MT il traffico merci al tunnel del
Frejus.
Un anno dopo, il 19 marzo 2007, il
Ministro dei Trasporti Perben, che si candida a sindaco di Lione, riesce a
mettere d’accordo il consiglio regionale della regione Rhône-Alpes, i consigli
generali di Isere, Rhône, Savoia, Alta Savoia, i consigli municipali di Lione,
Chambéry, Grenoble, Annecy, e le rispettive comunità di cintura, ed insieme al
governo ed alle ferrovie francesi firmano un “accordo di finanziamento” per 4,4
miliardi di euro (!) che definisce la nuova linea ferroviaria di accesso al
tunnel di base e la ripartizione dei rispettivi oneri. Le opere permetteranno a
Chambéry di essere collegata a Lione con una linea TGV (che è l’ambizione
storica della capitale della Savoia) e di avere una circonvallazione merci a
sud, non più all’aperto, ma tramite il tunnel sotto al massiccio della
Chartreuse; a Lione di avere una circonvallazione ferroviaria e di essere il
punto di transito delle merci che vengono dal Nord e si dirigono verso l’Italia
(l’80% di quelle che transitano al Frejus), a Grenoble di avere un raccordo
ferroviario migliorato ed alle comunità savoiarde di godere di protezioni
acustiche adeguate. Il finanziamento è previsto per il 20% a carico della UE,
per il 40% a carico dello Stato e per il 40% a carico delle amministrazioni
locali.
Secondo alcuni esperti francesi, in
Francia si parla assai più di questo accordo che del tunnel di base ed il fatto
che venga detto esplicitamente che questa nuova linea assicura la circolazione
di 20 MT tra la Francia e l’Italia (e non la famosa quantità di 40 MT)
indicherebbe che, accontentate le richieste locali francesi, il governo non
vede più il tunnel di base come priorità assoluta.
Questo accordo viene molto
sbandierato sui giornali italiani presentandolo come una concreta fattibilità
finanziaria della parte francese del progetto internazionale.
Da parte italiana le cose vanno
come sappiamo. Da giugno 2006 a giugno 2007, il nuovo governo, pur ostentando
decisione, non riesce a compiere alcun approfondimento tecnico sulla variante
di destra Dora – Val Sangone ed arriva alla data di presentazione della domanda
di contributo alla UE in un clima di nulla di fatto.
Penso che i ministri italiani,
dipendendo interamente da informazioni di chi è interessato a costruire
l’opera, fossero convinti di poter presentare alla UE delle “serie intenzioni”
e basta. Non credo che avrebbero dato tanta importanza alla Torino-Lione ed ai
contributi europei se avessero saputo sin dall’inizio che alla fine avrebbero
presentato alla UE un dossier così insignificante, senza un piano finanziario
vincolante (come richiedeva la UE da almeno tre anni), senza un progetto
preliminare per la nostra tratta e con una domanda complessiva, per la parte di
competenza italiana, pari al 5% dei due preventivi.
Probabilmente hanno provato a far
valere il documento di programmazione economica e finanziaria e, dopo il suo
naufragio, hanno dovuto ripiegare sul possibile, cercando di nascondere con la
sceneggiata della presentazione delle buste il sostanziale insuccesso. Tanto la
pagella sarà data solo a febbraio 2008 e questa data, per il governo, è
sicuramente lontana.
Riassumendo, a luglio 2007, i
ministri delle opere pubbliche italiano e francese (Di Pietro e Fillon) si
mettono d’accordo per chiedere all’UE 725 milioni di euro per il tunnel di base
(un terzo per la Francia e due terzi per l’Italia, come, secondo accordo,
saranno divisi i costi). L’Italia non chiede nulla per la parte nazionale,
mentre in Francia tutti sono convinti che il governo chiederà il 20% dei 4.4
miliardi di euro stimati per la parte di loro esclusiva competenza.
E qui succede quanto descritto
nell’articolo. Il governo francese non chiede nulla all’UE e, da quanto è
scritto nell’articolo, “non intende impegnarsi finanziariamente” per l’accordo
sottoscritto che, quindi, decade.
E’ probabile che i quadri dell’orgogliosa
amministrazione francese abbiano rispolverato l’audit governativo 2003,
severamente critico con la Lione-Torino, che il precedente governo socialista
non aveva voluto recepire. E’ anche probabile che, vedendo che il governo
italiano, pressato dalle comunità locali, non aveva remore nel cancellare il
progetto nazionale esistente, il governo francese ne abbia tratto pretesto per
svincolarsi anche lui dalle esose richieste delle proprie comunità locali, che
ormai superano tutti i livelli di spesa compatibili.
La situazione del tunnel di base
da parte francese non è comunque rosea: la discenderia di Modane è iniziata,
operativamente, a giugno del 2002 e doveva essere terminata in 30 mesi: se va
bene lo sarà in 65 (oltre 5 anni per fare 4 chilometri), cioè più del doppio.
Arrivati in fondo dovrebbero poi fare delle prospezioni geologiche: si parlava
di una galleria di prospezione di due o tre chilometri.
Quindi anche da parte loro la
possibilità di “dare inizio” al tunnel di base, a parte le difficoltà
finanziarie, è remota e comunque non attuabile nei 2 anni chiesti dalla UE.
Quali sono le conseguenze?
Senza un’indicazione delle vie di
accesso il progetto della Torino-Lione è incompleto per due terzi e quindi al
momento attuale è irrealizzabile e l’ampiezza di questa incompletezza non fa
prevedere che nei prossimi 5 anni possa essere superato ciò che non lo è stato
nei 14 anni precedenti.
Tutte le condizioni dell’opera:
costi o difficoltà di intesa con le comunità locali, andamento dei traffici sui
valichi interessati, risultati della sperimentazione di trasporto modale, sono
sempre più negative. Le cosiddette “misure di trasferimento modale” su cui
punta il nostro governo sono inconsistenti perché, anche ricorrendo a divieti,
la quota di merci pericolose non supera il 10% del totale, quindi non
determinerebbe nulla di significativo ed una tassazione extra del trasporto
merci è irrealizzabile là dove non si riesce a diminuire neppure le
agevolazioni sul prezzo del gasolio.
L’indicazione delle 20 MT all’anno
come capacità della linea merci tra Lione e St. Jean de Maurienne, data
dall’accordo francese di marzo (quello lasciato ora decadere) indica comunque
che ci si orienta verso traffici che non sono incompatibili con la linea
esistente.
Il progetto della Lione-Torino non
è ancora tecnicamente morto, ma è sicuramente in una irreversibile fase
regressiva, cioè quella in cui si toglie un pezzo dopo l’altro ed in cui chi
poteva offrire la mano di sostegno comincia a toglierla: come ha fatto ora il
governo francese.
Il pericolo maggiore è passato:
ora bisogna fare attenzione affinché, per salvare la faccia, non si facciano
partire fasi settoriali di lavoro che farebbero inutili danni, lavorando magari
per qualche anno e poi fermandosi e lasciando aperti i cantieri per sempre.
Mario Cavargna