Tra i vortici della guerriglia: caschi, limoni e tutti i dialetti
Dalla boscaglia esce una sola parola d’ordine: teniamoli impegnati tutto il giorno
di Massimiliano Borgia da Luna Nuova del 5/7/11
– pagg. 6-7
Forse nemmeno 5mila
anni fa, quando era un insediamento neolitico, il versante che dalla Maddalena
sale alla Ramats ha visto così tanta
gente salire e scendere in mezzo ai ripari sotto roccia. Domenica quei ripari
sono serviti a trovare rifugio dai gas, e a riposarsi, a ragazzi (e meno
giovani) che parlavano tutti i dialetti d'Italia e nemmeno sapevano bene dove
fossero. Ma quando il corteo degli antagonisti e anarchici è arrivato a
rompere la placida domenica mattina di Sant'Antonio, borgata della Ramats, a
sua volta frazione alta di Chiomonte, si è visto subito che questa era gente
che sapeva il fatto suo.
La parola d'ordine era
di non tentare davvero lo sfondamento del fortino della Maddalena, ma di
tenere impegnata la polizia per tutto il giorno. Così, alle 11, lo spezzone
staccatosi mezzora prima dal corteo di Exilles si è unito a un altro, molto
più corto che arrivava dal Cels. In tutto, 1.500 persone hanno iniziato a
"prepararsi". Tutti mostravano di sapere a memoria cosa si deve fare
in questi casi.
Tutti erano
perfettamente attrezzati alla guerriglia. Anfibi o scarpe con suola da
montagna. Caschi di ogni genere per rintuzzare le manganellate e bavagli per
celare il volto alle foto e riprese della polizia.
Poi le maschere antigas, quelle professionali da verniciatore a spruzzo o addetto alla rimozione dell'amianto, che proteggono vie respiratorie e occhi; le stesse che usano polizia e carabinieri. E dagli zainetti saltano fuori bottigliette d'acqua torbida, biancastra. E' acqua piena di maalox, l'antiacido che si prende per digerire, che passato sugli occhi riduce l'effetto dei lacrimogeni.
E poi i limoni. Tutti
hanno limoni nello zaino e in tasca, ma ci sono due ragazze che ne stanno
preparando una borsa-frigo piena. La porteranno nei boschi e continueranno a
distribuirli come buone vivandiere. E alla fine il castagneto sarà
letteralmente disseminato di questi frutti mediterranei. I limoni si tagliano,
ma vanno tagliati possibilmente prima dell'uso, per non tenersi in tasca
coltelli che la polizia potrebbe trovarti addosso.
Ma la precauzione è di
pochi. E' evidente che forse un coltellino nello zaino ce l'hanno tutti. I
limoni si sfregano sugli occhi e leniscono i bruciore del gas Cs. Poi gli
esperti guastatori indossano guanti per non farsi venire le vesciche e maneggiare
i lacrimogeni che scottano, alcuni hanno guanti con protezioni rigide.
Prima di partire
all’assalto, questa truppa guerrigliera si rifocilla a un banchetto dove sono
stati preparati panini e bevande. La gente della Ramats non sembra avere
paura. Li vede giovani con facce da studenti. Qualcuno si ferma a parlare. C'è
anche un anziano che li incoraggia e un vecchio cacciatore che gli spiega i
sentieri: «Quante coturnici ho preso nei prati sopra questi boschi», ci
dice guardando in alto verso i Quattro denti. Una signora esce dal garage con
un pacco di guanti da lavoro. Non sa bene cosa vuole fare quella gente strana,
ma è evidente che gli sono simpatici perché distribuisce guanti di pelle a
tutti. «Glieli davano a mio figlio al lavoro».
Si sentono i conciliaboli dei diversi gruppi arrivati da Veneto, Roma, Napoli, Toscana, Bologna, Genova e tanti altri posti. Tra di loro si chiamano con soprannomi, o se si preferisce "nomi di battaglia" come facevano i partigiani. Per non farsi mai riconoscere.
Ma nessuno sembra
armato. Non vediamo bottiglie incendiarie. Non vediamo sbarre di ferro. C'è uno
che ha una fune robusta con gancio traino per, eventualmente,
"tirare" la recinzione. Si distribuisce qualche tronchesina.
Non ci sono bottiglie
molotov. Le "armi" si sa già che saranno i moltissimi sassi della
Maddalena e i rami di castagno. Anche se, nel castagneto sono posizionati
pesanti estintori per fermare l'avanzata della polizia e, pare, pacchetti di
bombe-carta.
Lì in mezzo, guai a
farsi riconoscere come giornalista. Meglio tenersi in tasca il lasciapassare
della questura e non tirare fuori il taccuino. Tutto deve restare solo nella
testa e le foto vanno fatte approfittando dei momenti di confusione.
Parte il serpentone
lungo il sentiero che è anche un tratto della Grande traversata delle Alpi. Da
lì si arriva proprio all'area archeologica. Un elicottero inizia a volteggiare.
Sarà il rumore costante e martellante di tutta la giornata.
Dopo mezzora si arriva
alla zona dei ripari neolitici. Ovviamente nessuno sa cosa sono, ma vanno bene
per prepararsi allo scontro. I primi scendono, ma trovano i reparti delle forze
dell'ordine oltre la recinzione. Inizia lo sparo dei lacrimogeni. Per sei
lunghe ore sarà una continua esplosione di colpi. Almeno una ogni 3 -4 minuti,
contando i momenti morti.
Lunedì scorso, i
lacrimogeni avevano svolto un ruolo essenziale nella conquista della Maddalena
da parte delle forze dell'ordine. Era una mattina davvero anomala: nella
stretta di Chiomonte c'era totale assenza di vento. Oggi è una normale giornata
estiva alpina.
Verso mezzogiorno
inizia a salire la "brezza di valle" che si forma per il
riscaldamento dell'aria in pianura. Ma è ancora una brezza, appunto, e soffia
solo sopra le chiome dei castagni. Il gas si sprigiona dentro il castagneto e
ristagna come l'umidità del mattino. Così inizia l'inferno.
Scendere è stato
veloce. Ma risalire significa farsi 200 metri di dislivello di tornanti, prima
di potersi muovere in diagonale. La brezza segue il crinale in salita, quindi
si scappa col fiatone per la ripida mulattiera ma respirando un gas che è fatto
apposta per provocare gli effetti dell'asma, che ha un potere disorientante e
che ti fa chiudere forzatamente gli occhi.
Anche a questi esperti
dello scontro un po' di panico inizia a venire fuori. C'è la paura che la
polizia inizi a salire continuando a sparare gas. «Ragazzi, deve scendere
fino infondo solo chi ha la maschera - urla il passaparola - chi non ha
la maschera non intasi il sentiero, lasciamo defluire i compagni che tornano
su».
Intanto continua ad
arrivare gente, altre centinaia di persone. Nei castagni ci sono anche ex
amministratori valsusini, insospettabili pensionati presidenti di associazioni,
gente che pensa di venire a dare manforte. Ma che finisce per starsene seduta
sulle rocce di questo castagneto terrazzato, che è un'antica frana, diviso
persino da reti paramassi.
Un dedalo di tronchi,
massi enormi, pietraie, muretti difficili da salire. Il posto non è
rassicurante per questi padovani, romani, pisani. E quando sale il primo romano
con una mano tagliata da un lacrimogeno le facce si fanno terribilmente serie.
«Là sotto non si combina nulla, compagni. Non ci lasciano avvicinare alle
reti. Sparano ad altezza d'uomo e c'è troppo gas».
In quella confusione
si sente arrivare qualcosa, velocissimo tra le foglie: sono due camosci imbizzarriti
che schizzano in mezzo ai manifestanti che hanno appena il tempo di vederli.
Ma dopo mezzogiorno il vento cambia. La brezza di valle sale più forte. Come sanno bene i montanari ora è un vero vento. A questo punto si può prevedere la direzione che prenderanno le nuvole di gas, ma questo vantaggio è sconosciuto a questa "truppa" che non conosce la montagna. Nella confusione, però, questi hanno l'aria di muoversi bene. Sembra si conoscano tutti, molti si sono salutati come vecchi amici che non si vedono da tempo. Del resto fanno parte un tutti degli stessi network antagonisti, sono compagni di tante battaglie.
Gli antagonisti si
rendono solo sempre più conto che la polizia non tenterà una salita e che
resterà intorno alla recinzione della necropoli. Tenta una copertura con una
ruspa del cantiere che può salire e dare copertura ai reparti. Ma desiste. E
così per un tempo infinito (fino alle 16) è un continuo susseguirsi di uscite
dal bosco con lancio di pietre, bombe carta che producono botti foltissimi,
raudi magnum dentro bulloni per mandarli più lontano, fuochi d'artificio a
tubo.
Ci sono dei ragazzi
francesi con frombole (come nel medioevo e nell'Intifada) che lanciano con
una precisione incredibile. Il mezzo idrante che spara un'acqua che ti lascia
una sensazione di bruciore d'ortica viene centrato più volte sui vetri.
Polizia e carabinieri
rispondono con continui rifornimenti di lacrimogeni: a grappolo sparati con
gli speciali fucili e a bomba a mano. Sparano anche ad altezza d'uomo. E un
paio di antagonisti vengono presi in pieno (ma arrivano notizie che sono molti
di più). Le poche cariche servono a tenere lontano dalla recinzione
archeologica, che è comunque già stata tagliata.
Intorno al primo
pomeriggio l'episodio più grave. Un plotone di carabinieri fa quello che non
doveva fare: si addentra troppo in questo dedalo di bosco pieno di rocce
enormi. Nel ripiegamento un gruppetto rimane indietro. Gli antagonisti riescono
a isolarne uno che viene letteralmente linciato. Viene privato di tutte le
protezioni e preso ripetutamente a calci ovunque con gli anfibi. Estrae la
pistola, avrebbe potuto trasformarsi in un nuovo Mario Placanica e qualcuno
diventare il nuovo Carlo Giuliani.
Ma gli sono talmente
addosso, inferociti, che riescono a prendergli l'arma. Se non fossero
intervenuti in due, bastoni alla mano, menando a destra e manca per staccare
chi gli era addosso, chissà cosa non sarebbe successo.
Così gli antagonisti lo
hanno in ostaggio. Viene immediatamente proclamata una tregua e aperta una
trattativa con la digos che si svolge nel mezzo della necropoli. Gli
antagonisti vogliono restituirlo in cambio della liberazione dei fermati che
la polizia ha tradotto dentro la Maddalena. I mediatori sanno che non possono
chiedere troppo e che questa che sta succedendo è una cosa pericolosissima.
Alla
fine, dimostrando comunque i nervi saldi, la digos propone la
"liberazione" di un fermato che giace comunque in condizioni gravi in
una stanza dei locali della Maddalena. Si tratta di Fabiano Di Berardino,
antagonista bolognese, che viene trasportato, sembra dopo essere stato lasciato
ore sotto il sole, con un elicottero al Cto. Il bolognese, ieri, ha reso note
su Youtube le circostanze del suo fermo violento.
Intanto, si diffonde
la voce che gli antagonisti e la polizia stanno trattando anche sulla
restituzione della pistola. Ma tenersi l'arma d'ordinanza è davvero un gesto
che potrebbe avere conseguenze gravissime e incontrollate. Così è stata privata
del caricatore, sembra gettato nei boschi, e riconsegnata alle forze
dell'ordine.
Finita la tregua
ricomincia la guerriglia. Ma anche con il sistema di cambi tra chi ha
combattuto e chi si è riposato ormai va a rilento: sono tutti esausti e
iniziano ad avere voglia di salire sui pullman e tornarsene a casa. Arriva la
voce che la polizia sta tentando una salita dalla Ramats per bloccarli tutti e
inizia la ritirata lungo lo stesso sentiero.
Per oggi, si può
lasciare questa valle di Susa che hanno forse troppo mitizzato; pensando
davvero che a Chiomonte sia in atto una resistenza che ha necessariamente
bisogno di nuove Brigate internazionali.
di Massimiliano Borgia da Luna Nuova del 5/7/11
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Forse nemmeno nella
terribile primavera del 1944, tempo di rastrellamenti nelle borgate della
valle di Susa, a Sant'Antonio della Ramats hanno visto scene del genere. Una carica
di uomini in tenuta mimetica "camo" correre davanti alla chiesetta,
davanti alle due fontane, davanti agli abitanti esterrefatti che stavano negli
orti e sull'uscio a chiacchierare.
L'intento di questa
cinquantina di "berretti verdi" delle Fiamme gialle, più un ventina
di carabinieri, guidati da agenti di Ps, sembrava quello di bloccare i
responsabili della battaglia della Maddalena al loro ritorno alla Ramats.
Identificarli e poi, in seguito, fare partire le denunce. Invece è stata solo
una carica, che a un certo punto ha rischiato di lasciare gli agenti circondati
in un luogo che non conoscevano.
E' successo alle 17.
Già 20 minuti prima, nei boschi, si era diffusa la voce: «Salite via tutti, sembra
che stia venendo su la polizia per metterci in trappola e beccarci tutti».
Invece i blindati sono arrivati con gli antagonisti già tornati in buona parte.
Non hanno bloccato la strada che scende a Exilles e non hanno creato nessuna
rete di vaglio. Sono scesi e hanno caricato. Hanno attraversato i 300 metri
dell’abitato e si sono ritrovati nei prati sopra il serbatoio della centrale di
Chiomonte.
Gli antagonisti sono
scappati nei vicoli e poi sono in parte risaliti nei boschi sopra il villaggio,
per rompere quello che sembrava un assedio. I finanzieri invece sono tornati
indietro dopo 15 minuti, risaliti sui blindati e tornati giù, senza portare a
termine nessun genere di operazione.
Così, in paese sono
rimaste le code alle fontane per rinfrescarsi dopo otto ore di battaglia.
Qualcuno è andato in cantina e ha offerto a quei ragazzi con fazzoletti e
maschere antigas bicchieri di vino della Ramats. Una signora ha preparato una
sfilza di caffè («Lei mi ha detto due di zucchero, vero?») mentre sul
suo divano un ragazzo con il gomito rotto al collo veniva controllato da una
manifestante-medico. In borgata, un ragazzo francese ha bevuto per sbaglio
dell'acqua ossigenata (ora è al Cto) e intorno si è formato un capannello per
soccorrerlo; un italiano veniva aiutato a passare la crema lenitiva sopra le
contusioni da manganello e altri parlavano con gli abitanti sulla porta o sul
balcone.
In piazza cartacce e
bottiglie vuoi, e la voglia di lasciare tutto pulito messa da parte. Ma una
ragazza grida ancora: «Ragazzi, prima di andare via dobbiamo pulire tutto».
Nessuno ne aveva più voglia.