“L’inceneritore
ci brucerà il futuro” Il fronte del NO riempie il municipio
Ecologisti,
medici e agricoltori tracciano la mappa dei rischi
di Luisa Fassino
da Luna Nuova del 29/1/08 – pag. 9
Rivoli- «Le
generazioni future non ci perdoneranno mai quello che stiamo facendo».
Con questo pensiero ambientalisti, medici, agricoltori e attivisti continuano a dire no alla costruzione dell'inceneritore del Gerbido, cercando di sensibilizzare il più possibile sui rischi che questo genere di impianti provocano sull'ambiente e sulla salute umana. Sabato mattina, nella sala consiliare di via Capra, il Coordinamento regionale ambientalista dei rifiuti, insieme a Coldiretti, ha portato davanti ad un folto pubblico numerosi interventi, dai rischi per la salute e le malattie provocate dalle polveri sottili nel sangue e nei prodotti agricoli, agli studi effettuati sul territorio, dai carichi inquinanti già presenti nella zona, agli aggravanti dell'inceneritore del Gerbido. Quest'ultimo sarebbe infatti inserito in una zona dove sono presenti molte aree agricole, il Caat, il centro agroalimentare ma anche industrie già ad alta concentrazione inquinante come la "Servizi Industriali" di Orbassano.
«Nel 2004 è
stato sottoscritto un protocollo d'intesa tra la Provincia, i consorzi e i
sindaci per un’equa distribuzione dei carichi ambientali sul territorio che
prevedeva la ricollocazione della Servizi Industriali, in quanto
incompatibile con l'inceneritore per il suo alto tasso inquinante», spiega
Gianna De Masi, consigiiera per la Provincia di Torino. L'accento va sul peso
che comporterebbe tale spostamento ma anche la bonifica del territorio e lo
stress ambientale calcolato in base alla popolazione, la superficie, il
consumo del suolo, l'uso dell'acqua, le emissioni e il traffico. «Ma ci
troviamo in una situazione di stallo - continua De Masi - II protocollo
non è mai stato rispettato e l'area delineata è sempre più soggetta a fattori
inquinanti e insofferente ad impianti invasivi».
Ma sono gli esempi di
inceneritori già esistenti sul territorio che devono far pensare e che
dimostrano maggiormente, secondo il comitato ambientalista, quanto siano
dannosi per la popolazione e il territorio. Si punta il dito anche sui
finanziamenti governativi che vengono concessi a questi impianti, facendo
passare i termovalorizzatori come fonte di energie rinnovabili. «Prendiamo
ad esempio l'impianto di Brescia -spiega Attilio Tornavacca, direttore
dell'ente di studio per la pianificazione eco-sostenibile dei rifiuti
- Dove può essere bruciato di tutto, senza alcuna selezione. Così sarà l'impianto del Gerbido, una
tecnologia vecchia di 40 anni, in un Paese dove il limite di emissione viene
fissato con due pesi e due misure, secondo cioè la capacità dell'impianto, ma
la popolazione non cambia le sue caratteristiche fisiche secondo la zona in
cui si trova».
E sono appunto i rischi
per la salute la maggiore preoccupazione degli attivisti contro gli
inceneritori. «L'impatto che la nostra specie ha dato sull'ambiente
- commenta la oncoematologa Patrizia Gentilizi - ha ormai rivelato i suoi
danni in maniera inequivocabile, dalla presenza di sostanze chimiche nel
cordone ombelicale delle donne in gravidanza, all’aumento del tasso di tumori
che ogni anno si incrementa dell'1-2 per cento solo nei bambini, fino ai
disturbi neurologici e comportamentali». L'interrelazione tra ambiente e
la composizione del Dna sarebbe tanto forte da influire sul comportamento umano
e tracciare le caratteristiche genetiche delle future generazioni. I bambini
sono i soggetti più a rischio, insieme agli anziani, degli effetti
inquinanti delle sostanze chimiche e che si manifestano solo sul lungo e medio
periodo. Si va in modo più leggero da una manifestazione più massiccia delle
allergie, a problemi cardiocircolatori, fino a più pesanti alterazioni
endocrine, immunitarie e neurologiche, ma soprattutto un aumento considerevole
dell'incidenza dei tumori. Grossi rischi anche per la catena alimentare: le
polveri sottili, talmente fini da entrare in circolo nel sangue, si sedimenterebbero
sul terreno e da lì, tramite gli allevamenti, nella carne, nel latte e nelle
coltivazioni agricole.
Le alternative ci sono:
una raccolta differenziata compostata che possa incrementare al massimo il
livello di riciclaggio e la diminuzione degli imballaggi al minimo
indispensabile. Certo per poter utilizzare questa metodologia è necessario
un'alta percentuale di raccolta differenziata, oltre il 60 per cento, ma il
comitato ambientalista e la Coldiretti confermano che è possibile, anche fino al
95 per cento, portando ad esempio città come Bergamo e altri Paesi europei.
Maggior tutela delle materie prime quindi, e una crescente coscienza civica e
ambientale che possa portare al massimo rendimento i materiale che usiamo e
ridurre al minimo inquinamento e sprechi.