Chiomonte ore 18: sul ponte sventola bandiera bianca
Pietre e lacrimogeni ad altezza d’uomo: due ore di guerriglia, poi la resa a mani alzate
di Marco Giavelli da Luna Nuova del 5/7/11 –
pagg. 4-5
Pietre contro lacrimogeni, lacrimogeni contro pietre. Il tira e molla, alla centrale idroelettrica di Chiomonte, è andato avanti per oltre due ore. È così, a colpi di candelotti sparati anche ad altezza d'uomo, che i reparti di polizia e carabinieri sono riusciti ad avanzare, prendendo possesso del ponte che faceva da rampa di lancio per pietre e bastoni da parte dei circa 200 antagonisti rimasti sul campo di battaglia. Con gli agenti schierati in assetto antisommossa la carica sembrava ormai imminente, ma a quel punto gli stessi manifestanti più duri sono avanzati a braccia alzate verso le forze dell'ordine, dando il là alla trattativa che ha poi sancito la tregua.
La battaglia alla
centrale di Chiomonte ha forse provocato meno feriti, da una parte e dall'altra,
rispetto a ciò che è avvenuto sugli altri fronti, ma non per questo è stata
meno aspra. Qui, nella tarda mattinata di domenica, erano confluiti i due
cortei partiti uno da Exilles e l'altro da Chiomonte. Per questo motivo, le
forze dell'ordine avevano deciso di trincerarsi dietro tre barriere con robuste
griglie metalliche appoggiate su altrettanto imponenti blocchi new jersey.
Obiettivo: evitare di esporsi ad ogni possibile contatto con i manifestanti più
caldi. Il corteo, un fiume in piena di gente assolutamente pacifico, è infatti
sfilato senza alcun problema intorno a mezzogiorno per poi risalire verso il
campo sportivo, dov'erano in programma gli interventi dei sindaci. Alcune
migliaia di manifestanti si sono invece fermati alla centrale, addensandosi
nei prati attorno al ponte, lungo il greto della Dora e sui curvoni che
risalgono verso Chiomonte per un meritato spuntino, nell'attesa che partisse
l'azione di disturbo. Era evidente infatti che anche qui, prima o poi, qualcosa
sarebbe successo, altrimenti sarebbe stato un assedio monco.
Mentre dalle Ramats e
da Giaglione piovevano le prime notizie di manifestanti feriti, dal microfono
Alberto Perino e Lele Rizzo hanno invitato più volte le famiglie con bambini ad
allontanarsi dalla centrale, dove lentamente l'aria andava impregnandosi dell'odore
acre dei lacrimogeni sparati a monte. Il comizio di Beppe Grillo ha solo
ritardato di un'oretta quello che probabilmente sarebbe successo anche prima.
L'assedio inizia nel
primo pomeriggio, verso le 14. Mentre l'elicottero della polizia sorvola incessantemente
il fronte della centrale, alcuni attivisti iniziano a battere il guard-rail con
i bastoni, come ai tempi delle trivelle. Ma l'azione vera e propria parte
quando un gruppo di antagonisti, legata una corda alla griglia del primo new
jersey, ne tira giù un pezzo come se stesse facendo il tiro alla fune. Una
parte di barricata è infranta. È il segnale che il gioco si fa duro. Alcuni
manifestanti si avvicinano di tanto in tanto alla seconda barriera, fra gesti e
insulti. Da un momento all'altro tutti si aspettano i lacrimogeni, che di lì a
poco arrivano insieme al lancio di pietre verso poliziotti e carabinieri dal
ponte della centrale.
Sono pochi i valsusini
lì in mezzo. Si sentono soprattutto accenti di persone giunte da fuori:
romani, toscani, emiliani, milanesi. Alcuni "indigeni" del movimento
hanno il loro bel daffare a tenere a bada le "teste calde". «Non
tirate le pietre. Dobbiamo dimostrare che sono loro i violenti, non noi!
Altrimenti sarà un massacro mediatico». Ma l'appello cade nel vuoto.
Sostituito più tardi, quando lo scontro si fa via via più duro, da appelli di
segno opposto lanciati dalla frangia antagonista: «Servono pietre, portate
pietre!». La battaglia va avanti senza sosta, ma ormai sul ponte e nelle
immediate vicinanze ci sono solo più gli irriducibili. Gli altri sono tutti
addensati lungo i tornanti che salgono verso Chiomonte. Chi all'ombra per
godersi un po' di refrigerio. Chi come su una balconata ad assistere
preoccupato allo spettacolo. Intanto le forze dell'ordine azionano una ruspa
con cui minacciano di abbattere le barriere. Di tanto in tanto i reparti di
polizia e carabinieri accennano ad avanzare. Quando lo fanno, la sassaiola
diventa ancora più fitta. Lo stesso vale per i lacrimogeni. Ai primi lanci in
aria, con i manifestanti che quando riescono li gettano verso la Dora, seguono
altre ondate di candelotti sparati ad altezza d'uomo che colpiscono alcuni
manifestanti, uno dei quali viene soccorso dall'ambulanza. Entra in azione
anche l'idrante della polizia, che spara getti d'acqua sui manifestanti. La
conca della centrale è avvolta in una cappa di fumo acre e pungente.
L'aria si fa
irrespirabile, anche se stavolta il popolo No Tav è molto più attrezzato
rispetto allo sgombero, con mascherine, limoni, bacinelle d'acqua e
bottigliette di Maalox da versarsi in faccia.
Ma ad un certo punto
l'ondata di gas lacrimogeni, con il vento a favore, si fa sempre più insopportabile
e anche i più caldi sono costretti ad arretrare. È qui che polizia e
carabinieri avanzano, in parte salendo dal terrapieno che costeggia la strada
per le Ramats, in parte prendendo possesso del ponte. C'è un buon quarto d'ora
di stallo. Si teme la carica, ma è qui che in una decina si avvicinano alla
polizia con le mani alzate. È il gesto decisivo per la tregua.
Alla delegazione
trattante si uniscono anche il consigliere regionale grillino Davide Bono e il
vicesindaco di San Didero Giorgio Vair: l'accordo è che la polizia rimuova
tutti i blocchi per chi non riesce a scendere dalle Ramats in cambio della
ritirata dei No Tav, ma solo verso Chiomonte. A nessuno viene infatti
consentito di defluire oltre il ponte. Quello, ormai, è terreno della polizia,
che si dice disponibile a valutare una nuova sistemazione dei No Tav per i
giorni a venire (campeggio lungo il fiume, presidio lungo la strada), ma non a
quell'ora della domenica, dopo la lunga battaglia.