Il gatto, la volpe e i
valsusini
di
Guido Ceronetti da La Stampa
del 22/12/05
Per
quanto ricordo e so e ho appreso circa la Valsusa, questa TAV, legalmente
(ahimè: legalmente) portata avanti dai burosauri tecnocratici di Roma, Bruxelles
e altri centri di potere che decidono per tutti, sarà per la gente del luogo una
grande e irreparabile mazzata: la peggiore, avendone già collezionate tante. Chi
nasconde l’arma contundente si presenta compuntamente da salvambiente,
protettore, naturofilo: nessuno salva l’ambiente meglio dei suoi devastatori.
Opera gridata necessaria, vitale, guai se l’Italia resta fuori: il repertorio
degli sdegni e delle commiserazioni per chi si oppone è corale, non mancano
neppure i corsivisti e gli opinionisti più saporiti: sei un tapino, un
antistorico, un candelaio, uno gnocco, un gozzuto, un fuorilegge... -Ehi vieni
qua, brav’uomo, mettiamoci a un tavolo, dialoghiamo!- Valga, per i valsusini
anti-TAV, un pensiero con molta paprika di Kafka: «Uno degli strumenti del male
è il dialogo».
Il male è
già al lavoro perché mentre l’Informazione chiudeva le imposte per sciopero uno
di questi famosi Tavoli era apparecchiato in fretta, col confortevole risultato
che tolti i blocchi, sospesi i lavori per gli accertamenti d’ambiente e di
salute, la linea si farà. Ma certo! Perché dall’altra parte del Tavolo i seduti
sanno già ora che gli accertamenti accerteranno un’idoneità ospitale, una
compatibilità dell’ottantanove per cento, addirittura salvaguardando le
condizioni fisiche della manodopera - tutta straniera e ignara - gettata a
inalare amianto e uranio nelle gallerie. Un Premio Nobel per rassicurare lo si
trova sempre.
Avvertire
il buon Pinocchio valligiano che non va a trattare con Biancaneve, ma con gli
eterni Gatto e Volpe e una loro fitta prole, schierati con l’irrisione e
l’inganno nel cuore tenebrosino, invitandoli ad armarsi (non occorre porto
d’armi) di ferrata diffidenza, mi sembra soccorso umanitario. La furberia
italiana di vertice, quando stabilisca di minchionarti, è irraggiungibile di
bravura: potrebbe dare scacco perfino al principe Shang, far vacillare la testa
a Machiavelli in persona. Lo sapeva bene Vilfredo Pareto che, essendo troppo
onesto, aveva paura di rimettere piede in Italia, e il filosofo Berkeley che
lasciò Roma esclamando: «Fuggiamo dalle continue truffe di questi
italiani!».
Purtroppo
non possiamo arrotolare una intera Valle, la più inzuppata di storia antica,
moderna e preistorica di tutte le Alpi, come una bandiera ammainata e
proteggerla in una bacheca, lasciando al suo posto il Nulla, e dare al
nichilismo tecnocratico impaziente un po’ di non-essere da sgranocchiare:
«Accomodatevi, fate quel che volete, la Valsusa si congeda dal visibile e dal
patibile». Sogghignate, burosauri: la sostanza spirituale della Valsusa è una
realtà e non credo s’infilerebbe come un guanto questo nuovo colossale scempio
materiale, battistrada di annichilimento tecnocratico incombente.
Trenta o
trentacinque anni fa una cava alle Chiuse che ha insipientemente divorato mezza
montagna (alle Chiuse, dove l’imperialismo carolingio dissolse la monarchia
locale longobarda, soggiogando l’humilemque Italiam) minacciava con le sue
detonazioni e i suoi scossoni di far precipitare sui tetti di Sant’Ambrogio la
Sacra di San Michele, misteriosa sentinella benedettina fin dall’anno Mille. Gli
spiriti della Sacra la salvarono, come la Bell’Alda, con l’unico argomento
valido che ci rimane: il turismo di massa... Ma le sue non sono soltanto pietre
venerabili, una corrente energetica cosmica profonda unisce il Monte Sant’Angelo
in Gargano, passando per lo sperone della Sacra, al Mont-Saint-Michel
sull’Atlantico, e sono tre punti guardati dalla spada dell’arcangelo Michele,
sul quale convergono oggi devozioni di nuova religione certamente note a
Introvigne. La Sacra e la Novalesa davano ricetto ai pellegrini che lungo la via
francigena, passando per il Moncenisio, andavano a Santiago, campus stellae...
Sarebbe interessante sapere quante locande della Stella c’erano a Susa e nei
borghi della Valle, dove passavano i pellegrini, e se ne sopravviva qualche
sperduta insegna, pizzeria o bar per camionisti dei TIR, più pesanti degli
elefanti bardati di Annibale, che di là arrivarono all’Aufido, alla pianura di
Canne.
All’imbocco
della valle c’è il Musinè, la montagna incantata delle Alpi dell’Ovest, diversa
da tutte, arida come un Ghilboa, con la stessa caratteristica di fare impazzire
gli strumenti di volo, di alterare i campi magnetici, del Triangolo
(pericolosissimo) delle Bahamas. Gli avvistamenti ufologici sul Musinè precedono
l’origine moderna della parola UFO: sono uno dei suoi segreti. La superficie è
disseminata di strane disposizioni di coppelle di pietra interpretate come resti
di culto lunare o solare, calendari e osservazioni astrofisiche di popoli
addirittura preceltici, forse atlantici o lemuriani. Intoccabile e temuto, il
Musinè, e anche bene imbottito di amianto... E oggi già installazioni militari
lo profanano... Ma la TAV farebbe di peggio: lo bucherebbe da parte a parte,
mostruosamente, ottusamente, per farci passare il suo trenino... Il Musinè
consegnato al tritolo, alle ruspe, alla follia
tecnologica!
Dire di
no al progetto è intelligenza razionale, è illuminato buonsenso. La gente che si
oppone, che resiste, quella pacifica e disperata, non è là per sottoporsi alle
ragioni di un’economia sradicata dall’uomo: ha qualcosa di più importante da
difendere, e se è contro la politica è perché è dalla parte della
vita.
Si può
anche andare a discutere coi burosauri: ma attenzione alle loro mine nascoste
nelle parole.