Pro Natura Piemonte
e-mail: pronto@arpnet.it Internet:
www.arpnet.it/pronto
Orario: lunedì-venerdì 15-19; sabato 9-12
Organizzazione Regionale della Federazione Nazionale Pro Natura
Associazione con personalità giuridica (Deliberazione Giunta
Regionale del Piemonte N. 5-4179 del 25 marzo 1986)
Codice Fiscale: 80090160013
Osservazioni sulla
perizia presentata dalla De Palacio
La cosidetta “perizia
indipendente” presentata il 26 aprile dalla responsabile europea del progetto
della Lione-Torino merita qualche commento, per quel che dice e per quel che
non dice.
Anzitutto gli autori. Sono un
gruppo di tecnici di una società di consulenza; non si tratta di docenti
universitari o di funzionari pubblici, che possono essere economicamente
indipendenti da questo tipo di incarico, ma membri di una di quelle società che
fanno gli studi di V.I.A. per conto delle aziende. Un’attività che è così a
rischio di “manipolazioni” a favore di chi dà la commissione che la normativa
italiana richiede una dichiarazione giurata degli autori sulla veridicità dei
dati e dei contenuti del lavoro prodotto.
Il loro incarico è strettamente
limitato alla tratta tra Saint Jean de Maurienne e Chianocco. E se teniamo
presente che, sulla parte italiana di questa tratta, che rappresenta solo il
30%, il CIPE – che non ci è certo favorevole – ha inserito 89 specificazioni e
6 raccomandazioni, si può valutare l’ottimismo con cui questa perizia risponde
sempre di “sì” ai 45 quesiti di conformità che si pone. Una percentuale
“bulgara”, come si diceva ironicamente una volta, che basta da sola a sollevare
parecchi sospetti.
Ma veniamo anzitutto a quello che
questo studio “non dice”.
Non dice nulla di trasporti. Invano,
scorrendo le 170 pagine della relazione e le 50 di allegati, si cercherebbe un
dato sul traffico attuale, su quello futuro, sul numero dei TIR che ci sono o
che si prevedono di avere: assolutamente nulla. Gli esperti non si addentrano
nella valutazione del perché si deve fare quest’opera, ma neppure ne riprendono
degli argomenti. È vero che dedicano 30 pagine ad un fumoso calcolo della
capacità della linea storica, ma il fatto che possa trasportare 18 o 19 milioni
di tonnellate non significa niente se non si specifica quanto si pensa che sia
la necessità di trasporto. È tragicomico che una questione di tale importanza
venga liquidata con cinque parole: “quindi nel 2020 sarà satura”, senza dare un
grafico o qualsiasi altro dato che possa giustificarla. Nel 2005 il traffico
ferroviario ed autostradale tra Italia e Francia, nel settore alpino, è stato
inferiore a quello del 1993, quando partì il progetto, ma questo viene ignorato
e si ripete la solita, vecchia affermazione sulla saturazione che è già stata smentita
per il 1997, per il 2005 e che si dimostra sempre più irrealistica. Come si può
affermare che gli studi sono “coerenti e completi” se non si affronta
l’argomento principale, quello da cui poi deriverebbe la dimensione del
progetto, l’esame delle alternative e della “opzione zero”?
Forse la decisione di non citare
dati nasce dal timore di compromettersi ed infatti l’unico dato che usano suona
male per i loro progetti: è là dove scrivono che, a parità di peso, un treno
merci ordinario trasporta in un anno 165.000 tonnellate nette, mentre uno di
Autostrada Ferroviaria ne trasporta meno della metà (75.000 tonnellate nette),
con tutto l’aggravio di costi e spreco energetico che ne consegue.
Ma veniamo alle parti dove gli
esperti hanno lavorato di più e cioè sui problemi idrogeologici e delle materie
pericolose, giungendo alla solita conclusione che LTF ha fatto tutto in modo
coerente ed appropriato.
Curiosamente i due documenti che
“salvano” gli studi LTF sono datati dicembre 2005 e gennaio 2006, ben dopo la
decisione di fare una perizia, e mai pubblicizzati, anche se si tratta di
documenti che sarebbero stati indispensabili per la Valutazione di Impatto
Ambientale fatta nel 2003.
Quello sui problemi idrogeologici
informa che le gallerie della parte internazionale (cioè escluse quelle della
bassa valle) dreneranno ogni anno da 60 a 125 milioni di metri cubi di acqua
(p. 48); e quest’ultimo dato sembra più coerente visto che a Mondane il primo
chilometro di galleria sfiora i 6.000 metri cubi di acqua l’anno. È difficile
credere che l’imponente drenaggio annuale di un quantitativo di acqua poco meno
grande del Lago del Moncenisio “avrà effetti minimi” e si stenta a credere che
il relativo abbassamento di falde avrà poca influenza sia sulla alimentazione
del lago che su tutta la rete idrica che viene da quelle montagne. Anche perché
poche righe più avanti si ammette il rischio che la galleria “dreni” l’Arc ed
altri corsi d’acqua.
Ma i dati ancor più preoccupanti
consiste nel fatto che le acque usciranno tiepide, dovranno essere raffreddate
in un bacino che creerà nebbie e non potranno essere utilizzate – tranne
qualche vena potabile – perché, con ogni probabilità, conterranno gas
radioattivo (radon) e solfati oltre i limiti di legge. Non è chiaro se la
perizia si riferisce solo al radon quando parla di acque che possono essere
tossiche, ma comunque ammette che le conseguenze dell’immissione di tali dati
drenaggi nei corsi d’acqua sono un problema grave e che non è ancora stato
valutato (p. 59).
Gli studi sulla radioattività
iniziano con una corretta esposizione di cosa sia il radon: il sesto elemento
della catena dell’Uranio 238, che si presenta sotto forma di pericolosissimo
gas. Si ricorda che è otto volte più pesante dell’aria e che può venire
veicolato dalle acque sotterranee, che poi lo liberano venendo in superficie.
Questa premessa si scontra però con la necessità di giustificare l’affermazione
LTF “che il rischio uranio e radon sono nulli”. Ed allora l’esperto o chi ha
poi messo insieme il dossier sfodera gli argomenti LTF: nelle 8.000 misurazioni
fatte su rocce tratte dai carotaggi non è risultato alcun valore sopra la norma
(ma non dice che i carotaggi del massiccio dell’Ambin, su circa la metà della
lunghezza del tunnel di base, sono meno del 10% del totale) e calcola che la
dose di radiazioni annuale assorbita da un operaio che lavorasse tra rocce come
quelle in cui si apre la galleria dell’Agip Mineraria di Venaus – ovviamente
non a contatto – sarebbe ancora ammissibile. Qui il trucco – molto grave perché
si parla di salute umana – sta nel tacere che la gran parte della radiazione
prodotta da queste rocce non arriva alla persona in forma diretta, perché le
particelle alfa e beta in questione, avendo una massa relativamente grande,
urtano le molecole circostanti e si fermano in qualche decina di centimetri.
Mentre la radioattività che ci raggiunge e che troviamo nell’intorno è quella
veicolata da radon e polveri, che esprimono il loro potenziale distruttivo
venendo a contatto diretto della pelle e delle mucose polmonari.
Per quanto riguarda l’amianto, ci
si dilunga sulla protezione degli operai che lavorano nei cantieri, richiamando
le norme usate nel tunnel svizzero del Gottardo. Ma le condizioni di quel
traforo sono ben diverse da quelle della valle di Susa, soprattutto nel tratto
della bassa valle che lo studio ignora e in cui si trova la maggior presenza di
rocce amiantifere. È però interessante apprendere che la galleria di Bussoleno,
in cui la presenza di amianto era stata lungamente messa in dubbio ed
addirittura negata con l’ultimo sondaggio, è stata recentemente spostata per
ridurre l’attraversamento di rocce amiantifere, e in questo modo passerebbe da
2,2 km a 1,1 km (che rappresenterebbero comunque 300.000 metri cubi).
Purtroppo per noi la quantità
globale di amianto che dovrebbe essere estratta dalle nostre montagne non è
insignificante come al Gottardo, dove può effettivamente bastare indossare tute
stagne, mettere i respiratori e lavorare sotto spruzzi d’acqua, che però non
sappiamo come verrà trattata. Da noi il problema non è solo la qualità del
materiale, ma la quantità e la totale assenza di indicazioni per il loro
trattamento e la messa a dimora; tant’è che dopo tre anni dalla presentazione
della V.I.A. non è ancora stato indicato nessun sito specifico. La soluzione di
“fare come fanno gli Svizzeri”, che quando trovano delle rocce amiantifere le
portano in discarica e le sotterrano è (forse) proponibile dove i quantitativi
sono minimi e la cosa si risolve in pochi giorni, non qui dove le rocce
amiantifere sono dell’ordine di milioni di metri cubi, disomogenee e
comporterebbero cave aperte per anni in posti sensibili. Però anche questa
parte dello studio di LTF, che non indica siti di deposito per i materiali
tossico-nocivi, viene ritenuta coerente ed esauriente da parte dei periti della
De Palacio.
Come viene ritenuto coerente ed
esauriente che la Valutazione di Impatto Ambientale sia stata approvata senza
avere una discarica a disposizione, visto che la “cava del Paradiso”, che si
era data per acquisita, andrà ad essere richiesta solo il mese prossimo ed è
ancora molto incerto se sarà autorizzata.
Sulla correttezza di questo caso
gli esperti indipendenti la sparano grossa e difendono LTF dall’accusa di aver
violato la direttiva comunitaria che imponeva procedure di Valutazione di
Impatto Ambientale sia in Italia che in Francia, sostenendo che bastava che lo
sapesse la CIG (la Commissione che approva i progetti della Torino-Lione),
dimostrando di non conoscere che l’elemento fondamentale di una V.I.A. è la
possibilità che tutti i cittadini interessati possano esprimere il proprio
parere.
Le osservazioni e le critiche a
questo lavoro riempiranno un dossier, ma non si può terminare senza citare una
frase: “Gli esperti non dispongono di informazioni sulle fonti di finanziamento
(dell’opposizione al progetto), che meritano di essere esaminate al fine di
vedere quali sono le lobbies che
possono nascondersi dietro a questi gruppi di pressione”. Questa affermazione,
oltre che calunniosa, è gravissima, perché è fuori dal contesto dell’incarico
ed è evidentemente messa lì solo per screditare il movimento di fronte ai
funzionari e ai parlamentari europei di Bruxelles. Un gesto che mostra più di
ogni altra cosa quali siano gli scopi, il valore e l’imparzialità i questo
lavoro.
Mario Cavargna
3 Maggio 2006