«BUCARE L'AMBIN E' COME SVUOTARE UNA VASCA»
Allarme
ambientale: a rischio le falde acquifere che alimentano numerosi paesi
di
Andrea Spessa da
luna nuova n. 74 martedì 14 ottobre 2003
Il buco di prospezione si avvicina e Legambiente lancia un allarme: potrebbe essere una catastrofe ecologica. Chi scava la galleria (7 chilometri abbondanti di tunnel dal diametro di 6 metri che partono dal cantiere dell'Aem, sotto il viadotto dell'A32, e puntano dritti al cuore del massiccio dell'Ambin) non ha idea di quello che incontrerà lungo il percorso. La stessa galleria nasce proprio dall'esigenza da parte dei costruttori di capire cosa nasconde l'Ambin, poiché le normali tecniche di prospezione come i carotaggi dall'alto (in stile pozzo di petrolio) non riescono a raggiungere le profondità necessarie e a fornire dati sicuri sulla qualità della roccia sottostante.
I rischi della prospezione orizzontale sono evidenti: la
quantità di materiale estratto è enorme, ed è provato che in diversi siti
l'Ambin contiene nei suoi strati più superficiali un'elevata quantità di
uranio, quantità che potrebbe aumentare ulteriormente scavando in profondità.
Quindi lo smarino che esce dal tunnel (e che i progettisti prevedono di
depositare in discariche temporanee attorno a Venaus o nelle cave di valle)
potrebbe essere radioattivo.
A ciò si aggiunge il problema acqua: vista la totale
mancanza di indagini approfondite sul sistema idrografico dell'area, il rischio
potrebbe essere quello di "togliere il tappo" all'Ambin provocando un
fenomeno di prosciugamento delle falde superficiali in un'area vastissima: la
galleria di prospezione trasformata in un fiume e la montagna senza più
sorgenti. Un precedente in zona c'è: la costruzione della centrale sotterranea
Aem (a pochi metri dal luogo in cui dovrà sorgere il tunnel geognostico) ha
subito dei rallentamenti fortissimi proprio a causa della pessima qualità della
roccia e della presenza di un lago sotterraneo, che è stato prosciugato con
grandi spese e ritardi sulla tabella dei lavori. E il tunnel della centrale è
di dimensioni più ridotte rispetto a quello di prospezione.
Un altro campanello d'allarme arriva dagli esperimenti
condotti nel '70 dal Gruppo speleologico piemontese del Cai-Uget nella grotta
del Giaset, una cavità profonda 232 metri con partenza a quota 2690 metri sotto
la punta Malamot, sul territorio di Lanslebourg. Gli speleologi hanno versato
della fluorescina, sostanza che colora l'acqua, nel piccolo torrente che scorre
al fondo della grotta e sistemato dieci fluorocaptori (rilevatori di
fluorescina) nelle sorgenti a valle per tracciare il percorso delle acque di
profondità. I risultati sono stati stupefacenti: la sostanza è ricomparsa in
superficie solo dopo parecchi giorni e svariate centinaia di metri più a valle
sia sul versante francese che su quello italiano, in ben nove delle dieci
sorgenti monitorate. La fluorescina si è spinta fin sulla piana di San Nicolao,
sotto la grande scala che conduce al lago, a quota 1930 metri. Un dato che
mette in evidenza come, già nella parte superficiale, l'Ambin sia percorso in
tutte le direzioni da piccole e grosse falde che comunicano fra di loro. La
stessa composizione geologica della montagna (calcari, gessi, evaporiti) fa pensare
alla presenza di falde collegate e serbatoi di acqua estesi e profondi, i
cosiddetti laghi fossili.
«Ero nel team che ha effettuato l'esperimento nella
grotta del Giaset - racconta Marziano Di Maio, speleologo del Cai - e visti i
risultati ritengo che scavare un tunnel che buchi l'Ambin dal basso per sette
chilometri senza aver effettuato indagini più approfondite è un grosso
azzardo». Legambiente Piemonte e Pro Natura hanno inviato al ministero dei
lavori pubblici una lettera in cui, vista la delicata situazione idrogeologica
della zona Ambin Moncenisio, chiedono ulteriori indagini con sistemi non
invasivi (traccianti, monitoraggi, esplorazioni con sonde guidate) e la
pubblicazione dei dati originali delle indagini compiute dagli enti gestori
della diga del Moncenisio. Perché i problemi e i disastri ambientali che si
sono verificati durante lo scavo del traforo del Gran Sasso e delle gallerie
per la linea ad alta velocità Firenze-Bologna (interi paesi senz'acqua,
torrenti e fonti asciutte) dimostrano che giocare con l'acqua può essere
pericoloso quanto giocare col fuoco.