Seminario
Intervento di LUCA MERCALLI
Luca Mercalli
climatologo, presiede la “Società Meteorologica Italiana” e dirige la rivista
“Nimbus”.
Buongiorno a tutti, prometto che non ci metterò un’ora. Farò una sintesi, sono abituato di solito ad avere tre minuti, quindi qui già mi sembra di essere a cavallo.
Allora, io dirigo una rivista che
si chiama Nimbus, e quindi mi trovo molto a mio agio, immediatamente, a commentare
un termine che è un acronimo e che viene spesso usato in questi contesti, che è
NIMBY, che vuol dire not in my backyard (non nel mio cortile). Questo
termine è stato usato moltissimo a proposito della Valle di Susa in questi
ultimi tempi. È stato usato soprattutto dalla professoressa Bresso che ha
appellato come tali i valsusini - e io mi metto tra loro - dicendoci che siamo
tutti delle persone che non vogliono le opere nel loro giardino ma che
sarebbero pronte a dare il loro avallo se le opere venissero fatte nel giardino
di altri. Ora, tutti sappiamo bene che siamo qui a discutere sull’opportunità
di un’opera che non vogliamo né in Val di Susa, né in alcun altro luogo.
Ma vediamo un attimo che cos’è
questa sindrome nimby.
Prendo spunto da un articolo comparso su Panorama, niente meno che di Chicco Testa, ex presidente Enel, il quale ha detto: «La mappa dei no è sterminata e scoraggia chiunque, pubblico o privato, intenda mettere mano alla costruzione di opere e infrastrutture, sebbene nessuno neghi l’esistenza di un deficit infrastrutturale, che è uno degli elementi principali del differenziale di crescita e di qualità del nostro Paese rispetto ad altri. Perché, nella maggior parte dei casi, le opposizioni sembrano motivate da ragioni ambientali, l’ambiente è spesso il filo conduttore… Ma basta un’analisi appena approfondita per rendersi conto che nella maggior parte dei casi non ci troviamo più di fronte a opere sconclusionate, o meramente speculative, come spesso invece è accaduto nel passato. Al contrario, da molte di esse potrebbe derivare un netto miglioramento ambientale».
Allora: voi guardatevi attorno.
Qualsiasi sia il posto in cui abitate, tranne pochi fortunati che hanno ville
in collina o qualche alloggio in località alpine esclusive, magari come Gstaad,
come Interlaken... penso che gli altri, grosso modo, dalla finestra di casa
loro vedano sempre qualche elemento del nostro progresso – da una piccola
antenna di telefonini a un elettrodotto, o a un grosso condominio, a una grossa
area industriale o a quei capannoni cementizi tutti uguali, quegli scatoloni
che ormai stanno dilagando sul bel paesaggio italiano. Chissà che cosa direbbe
Antonio Stoppani oggi, a riscrivere Il Bel Paese, quello che oggi conosciamo
solo come formaggio e che forse varrebbe la pena rileggersi…
Allora, qual è il problema di
Chicco Testa? Che non si è accorto che sta declamando esattamente il problema
che abbiamo: non ci sta più niente. Perché questa mappa di no che dilaga,
questa cartina d’Italia piena di puntini rossi e di bandierine che sorgono qui
e là? Perché ognuno ha il suo piccolo o grande TAV in giardino. Perché non ci
sta più niente. Perché siamo 60 milioni di persone con degli appetiti e delle
necessità che ormai travalicano quelle che sono le necessità di un vivere
“normale”.
Facciamo un esempio tratto proprio
dalla biologia. Ci vorrebbero le equazioni di Volterra e Lotka... Volterra è
stato un grande matematico italiano che ha posto tra l’altro le basi
dell’ecologia. Però qui diciamo soltanto che di solito ogni popolazione, ogni
sistema preda – predatore, ha dei fattori limitanti nel proprio ambiente.
Prendiamo il leone che si mangia le antilopi. Se ci sono troppi leoni, oppure
se il leone vuole mangiare troppe antilopi, dopo un po’ finiscono le antilopi e
muoiono un po’ di leoni. E, più o meno, sul lungo periodo la popolazione si
mette in equilibrio con l’ambiente. Ora, voi prendete chi scava gallerie, chi
cola cemento. Fate un po’ che questa sia la visione di un grosso animale
predatore. Cosa fa? Cresce sempre di più. Compra sempre più bulldozer, compra
sempre più betoniere... allarga sempre di più la propria struttura, che diventa
gigantesca. E cosa succede: che ogni giorno deve trovare i suoi 100 chili di
carne da ingozzare, perché se no, come fa a vivere? In questo caso, i 100 kg di
carne potrebbero essere 100 ettari di terreno vergine da spianare e da
ricoprire di asfalto, di cemento e di tondini... di quello che volete. Dove
sono i fattori limitanti di questo sistema? Chi è che, in sostanza, ferma il predatore
al punto giusto, dicendo «guarda che le prede stanno finendo» ovvero, il
terreno, per esempio, sta finendo, è sempre più cementato.
Doveva essere la Politica, questa.
È ovvio che in un sistema di mercato puro la grande struttura di costruzione fa
il suo mestiere, deve ingoiare i suoi 100 kg di carne al giorno. Chi gli può
dare torto? Chi è che gli deve dire: «Attento... le antilopi stanno finendo. Se
ne mangi troppe, poi muori anche tu?» La Politica deve mettere dei paletti. Ma
se la Politica è parte di questo pranzo, prende magari 3 o 4 kg di carne buona
catturata dal leone... o spolpa anche solo le ossa... ecco... oggi potremmo
dire che la Politica è una iena: mangia carogne, mangia i residui del cibo che
gli altri le buttano, il cosciotto lì, bello pronto.. al forno. Che cosa fa? È
parassitismo, che incentiva il predatore. Il paletto non c’è, e le antilopi,
piano piano, scendono. Poi è vero che la biologia ci dice, alla fine, che
moriranno anche i leoni quando saranno finite le antilopi. Difficile, però,
perché si adattano a molte prede, di tipo diverso. Intanto però muoiono le
antilopi. Chi sono le antilopi? Mah... ce ne sono molte davanti a me. Siamo un
po’ tutti noi, le antilopi.
E allora, di fronte a questa cosa
di Chicco Testa io direi che ci si deve rendere conto che forse oggi c’è un
paradigma nuovo che sta emergendo: c’è stato il cosiddetto boom economico del
dopoguerra, abbiamo risolto dei problemi annosi e importanti che era giusto
risolvere. Avevamo la pancia vuota. Quando uso il plurale parlo dei miei nonni,
parlo in parte dei miei genitori. Io, per fortuna, la pancia l’ho sempre avuta
piena. Allora quel modello andava bene, senza tanti paletti. Ha prodotto
guasti, ha fatto errori, poteva essere condotto in modo migliore, ma se vogliamo
è giustificabile, perché mirava a uscire dalla miseria. Qualcuno più saggio
avrebbe potuto condurre meglio anche lo sviluppo dei condomini degli anni ’60.
Pazienza... Si doveva mangiare, si doveva avere il bagno in casa e non sul
balcone, ci si doveva poter lavare, fare la doccia una volta al giorno, e
quindi va bene. Ma oggi, che bisogni aggiuntivi abbiamo? Perché mai una
popolazione stazionaria di 60 milioni di abitanti deve voler vedere sempre la
crescita dei consumi, magari del 2 o 3% annuo?
Per tornare al signor Testa che
faceva Enel: perché mai il consumo di energia oggi in Italia dovrebbe crescere
del 2 o 3% all’anno? Mah... siamo sempre gli stessi, la pancia ce l’abbiamo
piena tutti, la macchina, due o tre telefonini... Più o meno, uno si aspetta che
il sistema rimanga stazionario. Invece, la crescita continua è un po’ la spada
di Damocle che sta sopra di noi; e in qualche modo, è il sistema informativo
nel quale si muove il modello del TAV.
Io sulla sindrome nimby non ho
altro da dire. Penso che, più o meno, l’abbiate capita anche voi. Ognuno che
tenga al proprio panorama... perché guardate: il terreno agricolo ci serve
prima di tutto per mangiare - e questo volendo lo possiamo monetizzare - per
ora si comprano prodotti agricoli che arrivano dal Cile o dalla Cina e si fa
finta di niente su quello che invece è il nostro patrimonio garante della
sussistenza: il terreno agrario che abbiamo attorno, che è poco e prezioso e se
lo cementifichiamo è perso per sempre. Ma poi c’è anche un valore che non è monetizzabile,
un valore estetico. Che è il motivo per cui ci piacerebbe passare con piacere
una settantina d’anni di vita media su questo pianeta. Perché mai viviamo su
questo pianeta, per poi chiuderci in un bozzolo di cemento armato? Mi sembra
che sia un valore importante che dovremmo mettere nel conto. Non monetizzabile.
Ecco che poi, se uno vive per cinque giorni alla settimana in posti come
questo... è ovvio che poi il sabato e la domenica si precipita dove? Magari in
Valle di Susa per godersi ancora un pezzettino del pianeta Terra. Ma si fa di
tutto per togliere anche quello. La bassa Valle di Susa, guardate, è uno
schifo, diciamolo subito. Ma forse è proprio per questo che dallo schifo totale
la gente comincia a svegliarsi, a dire «No, non mi va più bene. Non funziona
più questo modello. Cambiamolo».
Allora, usciamo un attimo dalla
sindrome nimby e passiamo ai modelli di sviluppo. Tutte queste cose sono già
state dette e scritte, diciamo, da secoli. Perché i primi teorici che mettevano
in luce problemi di questo genere, sono stati delle splendide figure di
geografi di fine Ottocento. Dopo la ricerca è andata avanti, negli anni
‘1960-70, quando nasce l’ambientalismo... a me non piacciono gli “ismi”... io
odio la parola «ambientalismo»... fino a prova contraria, voi tutti siete fatti
di carbonio, idrogeno, ossigeno e funzionate con i prodotti della fotosintesi e
dovete vivere in un sistema ambientale composto da fauna, da flora, da batteri,
da alghe e tante altre di queste cose. Che vi piaccia o no, siete tutti
ambientalisti. Altrimenti, dovreste essere di plastica.
Ebbene, Albert Bartlett è un
anziano fisico dell’università del Colorado. Ha messo in guardia sul fatto che
nel mondo reale le equazioni esponenziali non vanno bene, perché in un mondo
chiuso, piccolo, limitato come è il pianeta Terra, non si può crescere
all’infinito. Bartlett con una vignetta ci fa vedere come l’equazione
esponenziale esce dalla lavagna e “buca il soffitto”, visto che si ingigantisce
sempre di più, via via che il “capitale” di una certa grandezza fisica,
diciamo, si ingrossa, e la percentuale di crescita si applica sul capitale. È
un po’ quello che dovrebbe succedere... che tutti sperano succeda… con il
proprio conto in banca. In realtà nella nostra società si consuma o si trasforma
in modo irreversibile il capitale naturale (suolo, boschi, acque, minerali,
combustibili fossili) e si ingigantisce quello dei rifiuti. Però capita che se
prendiamo un paese come la Cina, tutti guardano ad essa con uno sguardo di
ammirazione. Che meraviglia!, il PIL cresce del 9%! Fosse così anche da noi!
In realtà, quella è una trappola
mortale. Una Cina che cresce del 9% è una trappola per loro, ma diventerà
presto una trappola anche per noi. Con un tasso di crescita del 9% annuo si
raddoppiano tutti i consumi in soli 8 anni, e ricordate che c’è sempre il
rovescio della produzione, dal titolo di un bellissimo libro di Ercole Sori...
Il Rovescio della Produzione... ovvero il fatto che ogni merce si trasforma in
un rifiuto.
Il TAV, più che portare ricchezza,
riempirà le nostre discariche, è molto semplice. Saranno 40 milioni di
tonnellate di rifiuti in più, da dover gestire. E forse qui dentro ci sono già
degli amministratori che non sanno più dove metterli oggi, i rifiuti.
Probabilmente, il treno farà poi due corse: nella prima corsa porterà delle
merci, nella seconda caricherà dei rifiuti da portare a qualcun altro nel mondo
che sia disposto ad accoglierli. Comunque, il fatto è che fra un po’ la Cina,
già solo con il consumo di petrolio - non pensiamo per ora a tutte le altre
materie prime - ci metterà in crisi ben prima che i lavori del TAV siano anche
solo iniziati. Guardate la quantità di petrolio che usa la Cina in un anno:
attualmente sono 2,2 miliardi di barili, che sono 1/10 della produzione mondiale.
Nel 2012, quindi, quando avrà raddoppiato se continuerà a crescere così,
saranno quindi 4,4 miliardi di barili, ovvero 1/5 della produzione mondiale.
Posto che il tubo del petrolio non può gettare di più perché già è al massimo
adesso, ed è molto probabile che nei prossimi anni getterà di meno perché i
giacimenti si stanno esaurendo, vuol dire che o la Cina spartisce quello che
resta equamente con tutti gli altri, e dall’altra parte c’è l’America che
dovrebbe fare lo stesso, oppure qualcuno resta a secco. Secondo voi, l’Italia
dove la mettiamo in questo quadretto?
Allora. tutte queste cose sono già
dette, scritte, documentate con numeri, con magnifici modelli - ancora rozzi,
ma che possono essere sicuramente migliorati alla luce di quello che si è imparato
in trent’anni - in un importante libro che si intitola I limiti dello sviluppo,
del Club di Roma. Io voglio parlarvene qui, per un minuto solo, perché il libro
I limiti dello sviluppo, che io ho suggerito a Chiamparino di rileggere... ma
non mi ha dato risposta su questo, se non dirmi che, appunto, sono un
retrogrado e nemico del progresso... è stato tra l’altro ideato, e fortemente
desiderato da Aurelio Peccei, un grande manager torinese, classe 1908. Abbiamo
proprio qui a Torino il massimo patrimonio di conoscenza, almeno a livello
storico, per riportare oggi alla ribalta un problema che è stato sepolto nel
momento in cui sarebbe stato giusto affrontarlo, 30 anni fa.
Peccei ideò e concepì il Club di
Roma e diede incarico al MIT di Boston di fare il primo “modello del mondo”.
Cioè, in modo molto semplificato: cosa succede se la popolazione umana e i suoi
consumi aumentano sempre? Che i consumi aumentino, in linea di principio è
giusto... da un punto di vista etico tutti dovrebbero poter mangiare a sazietà,
avere la doccia, la lavatrice, la lavastoviglie, e oggi sappiamo bene che
miliardi di persone al mondo non hanno tutto ciò e lo desiderano. Le risorse
naturali però sono in quantità finita, quindi ci sarà un loro grafico che pian
piano scenderà. E poi ci sarà però, per converso, il grafico dei rifiuti e
dell’inquinamento che salirà. Allora, mettiamo insieme un po’ tutte queste cose
e vediamo dove e come si incontrano queste curve. È semplice: queste curve si
incontrano in un punto che è collocato nei primi decenni del nostro secolo
attuale. E quando ciò accade, c’è come un precipizio, un collasso della società
umana. Ma è ovvio, sono i limiti fisici che vengono a galla, quei limiti che un
certo tipo di economia non vuole nemmeno prendere in considerazione. Allora, la
professoressa Bresso che dodici anni fa scriveva libri magnifici su questi
temi... uno per tutti: “Per una economia ecologica”, Carocci editore, 1993...
compratevelo e poi fate il confronto con la politica di oggi... ebbene la
Bresso dice addirittura una frase simbolica per questi nostri tempi: «Dobbiamo
fermare il treno della crescita infinita».
Però oggi scrive: «Sempre più
merci dall’Asia e dall’Africa, transiteranno dal canale di Suez per raggiungere
i porti del Mediterraneo. Sempre più merci da Genova si dovranno irradiare per
tutte le vie d’Europa, portando sviluppo e ricchezza». Fino dal pianeta Marte,
probabilmente, dico io. Arriveranno al porto di Genova attraverso la TAV
Torino–Lione. Questo tra 30, 40 anni... Ma scusate... Ma secondo voi...? Questo
è iperottimismo. L’amico Cancelli mi suggeriva che forse potremmo chiamarla
stupidità. E in effetti l’iperottimismo è anche stupidità. Chiamiamolo
ingenuità... ma chiamiamolo come volete... Io, forse, sono pessimista, anzi,
sono un po’ catastrofista per via di quello che vedo ogni giorno sotto i miei
occhi. Ma credete che ci saranno veramente, queste «magnifiche sorti e
progressive»? Ma il positivismo è finito da un po’. Revelli, quando è finito il
positivismo? (Revelli risponde: «Mah... in Italia non è mai cominciato») Ebbene
qui abbiamo ben altri problemi da risolvere: fra due o tre anni abbiamo il
problema che non ci sarà più petrolio a buon prezzo. Il «picco di Hubbert»
della produzione petrolifera arriva... e forse ci siamo già dentro... ma dalle
previsioni - difficili da fare, perché nessuno ti dà i dati di quanto petrolio
rimane; si tengono accuratamente nascosti – ci si attende che arrivi tra il
2007 e il 2010. Domani. E allora, secondo voi, qual è la strategia da usare? Un
progetto veramente strategico, irrinunciabile... Io, visto che gli altri
parlano con gli slogan, ho fatto anche il mio slogan: 16 miliardi di euro di
pannelli solari, vogliamo. Subito, domani. Domani mattina, non fra trent’anni.
I pannelli solari li mettiamo oggi, producono energia immediatamente, ci
salvano dal tracollo che inevitabilmente arriverà tra pochi anni e fanno pure
economia. Fanno girare il lavoro. Ma, come un’altra volta ho detto, quando
mettete un impianto di pannelli solari... costa 4.000 euro già uno buono...
qual è il problema: che la mazzetta, al limite quanto sarà? Il 10%? 400 euro? È
piccola, la mazzetta. Bisogna andare da tutti gli idraulici d’Italia a
riscuotere il pizzo, è un lavoro veramente estenuante... Invece, quando i soldi
sono tutti lì insieme, la mazzetta immediata fa 1,6 miliardi. Subito, lì
pronta.
Allora, ancora due o tre cose. La
citazione di Sertorio... Sertorio è un altro bel patrimonio che abbiamo qui a
Torino, fisico teorico all’Università... lo tengono un po’ in un sottoscala,
non lo fanno vedere molto, però scrive... «I consumatori vivono ricoperti di
protesi tecnologiche che sono semplicemente un passo intermedio tra il pensiero
scientifico e la discarica». E il TAV cos’è? È probabilmente è quello che li
collega! E pure... «Verrà la morte...» e avrà i tuoi occhi... no, quello era
Pavese... «...a estrarli dalle loro ville abusive. Lasceranno a quelli che
verranno il dovere di trovare una sepoltura alle loro scorie». Alzi la mano chi
ha meno di 21 anni, qui dentro. Allora: voi cominciate a occuparvi di dove
mettere le scorie, sia quelle del TAV, sia altre.
Dino Buzzati, negli anni ’60. si
era già accorto di tutto. Spesso i poeti, meglio dei fisici, intuiscono le
disarmonie... poi dopo i fisici arrivano con le formule e costruiscono una
solida teoria che mette ordine nella poesia. Che bella dunque questa frase del
1960: «l’uomo fa di tutto per liberarsi della Natura. Vestiamo contro Natura,
abitiamo contro Natura, viaggiamo contro Natura, dalla mattina alla sera
facciamo il contrario di quello che la Natura ci consiglierebbe. Proprio in
questa autonomia è il nostro vanto. La prova della nostra superiorità sugli
animali. E più il progresso cammina, e più questo distacco dalla Natura si
accentua». Va d’accordo con l’aggressività del Futurismo di prima. Ma allora...
ecco un’altra novella di Buzzati, molto bella, si intitola La ragazza che
precipita. Riassumo a mio modo: una ragazza si butta da un grattacielo di,
metti, 100 piani, e.. «che fai?» – gli dicono - «che fai?..». Risponde lei «è
bello, sento l’aria nei capelli... l’ebbrezza della velocità». La gente dai
piani intermedi comincia a dirle: «Ma guarda che è pericoloso». «Ma no, è
bellissimo. Dovresti provare anche tu. È una sensazione magnifica di libertà.
Attorno sento soltanto il fruscio del vento». Magnifico. Quando però arriva al
decimo piano e comincia a vedere la strada sotto, quelli degli ultimi piani le
dicono: «Guarda che ormai manca poco», quasi a tendere una metaforica mano, a
dirle: «Vieni. Questi non sono gli alloggi più belli che abbiamo. I più belli
erano su, in alto. Ma comunque un posticino si trova ancora. Vieni. Vieni qui».
«Ma no, ma no, ma no... » e c’è solo più un botto finale.
Allora, questa è una metafora dei
sistemi complessi, «non-lineari». I sistemi non lineari non sono qualcosa dove
ogni giorno hai un piccolo avvertimento... come se per via dell’effetto serra,
diciamo, la temperatura aumentasse lentamente, 0,01 gradi ogni anno... così che
pian piano ci abituiamo. Gli ulivi che vengono su in Liguria migreranno in
Inghilterra nel giro di qualche millennio e tutto andrà a posto da solo. No,
troppo bello. I sistemi non lineari collassano da un giorno all’altro, hanno
tanti «effetti soglia» nascosti dentro. Fino a un certo giorno tutto va bene,
poi un mattino ti svegli e non funziona più niente. Nel complesso sistema
naturale, prima di tutto, e poi pure nel nostro rozzo sistema economico e
sociale. Gli inglesi, per esempio, usano un motto che dice: «Tutte le uova in
un paniere». Noi abbiamo messo tutte le uova in un paniere fondando tutta la
nostra vita sull’energia fossile. Qua, quando manca il petrolio: fine, chiuso.
Siamo morti tutti. Allora, ci sono pochi anni per fare qualcosa per evitare il
precipizio. Converrebbe farlo subito. Invece noi continuiamo a essere
prigionieri della legge esponenziale, che ci fa desiderare sempre e solo di più
e ancora di più.
Per esempio sull’uso del nostro
territorio. Sempre sulla sindrome nimby.
Prendiamo un grande prato vuoto,
ci costruisco su una casetta che ne occupa un sedicesimo. Ho ancora il 94% di
quel prato libero, e quindi non mi preoccupo. Arrivano gli amici e così ci sono
ora due case. C’è ancora l’87% di spazio vuoto, che è un numero grande e lascia
un bel panorama. In breve le case raddoppiano, sono ora 4, con il 75% di prato
libero che è ancora un valore apparentemente abbastanza grande, però si sa,
case chiamano case e da 4 diventano 8, resta libero il 50%... Ma quando
arriviamo a questo punto un fisico come Bartlett si inquieta; invece, quelli
che abitano lì non ancora. Certo, il primo della casetta dietro in fondo non
vede già più il panorama, ma i 4 davanti vedono ancora il prato libero e
dicono: «Mah... Tutto sommato è ancora un bel posto dove vivere. Certo che ci
piacerebbe valorizzare meglio anche quei terreni lì davanti». E immaginano, col
pensiero lineare che ci vogliano almeno 4 passaggi per arrivare lì. Ce ne sono
voluti 4, per arrivare dal 94% al 50%, e uno dice... be’... ragionando come
ragiona Chiamparino... «Ce ne vorranno altri quattro, per arrivare a riempire
tutto». Invece guarda cosa succede quando di mezzo c’è l’equazione
esponenziale: che le 8 case raddoppiando occupano in un solo passaggio il 100%
del prato. Questa roba qui si chiama «La
parabola dello Stagno delle Ninfee».
Concluderei con questa immagine,
che forse non richiede commenti: una serie di vignette mostra un individuo
magro, che anno dopo anno si gonfia, seguendo gli indici dell’inflazione,
ingrassa fino a esplodere con un «Boom».
È stata fatta da un disegnatore
americano, e pubblicata su una rivista di psicologia americana. Perché,
guardate, qua stiamo a parlare... mi piace che qua ci siano un po’ tutti, ma ce
ne vogliono altri, di più... Questo è un problema che dal TAV deve coinvolgere
tutta la cultura di un paese, e forse anche più di un paese. Non ci vogliono
solo gli ingegneri che fanno il calcoletto... «La ruota la facciamo più
grande», «Mettiamo 8 Megawatt», «Ne mettiamo 8,5»... qua ci vogliono i filosofi
che ci diano una direzione di marcia. Non c’è più la bussola. L’unica direzione
di marcia che c’è è quella lì. Che fa «Boom» - Quindi occorre il filosofo che
dica. «Troviamo qualche altra scelta, qualche altra motivazione». Occorre il
sociologo, che cerchi di capire perché ci “droghiamo” così tanto con
comportamenti collettivi che ci fanno esplodere. Ci vuole lo psicologo... lo
psichiatra in qualche caso, credo, per capire e indirizzare le aspirazioni
individuali. Insomma, qui devono lavorare tutti insieme, a comprendere,
semplicemente, per poi agire.
Ferma il tunnel! Ferma! Ne abbiamo
già tanti di tunnel, dove non vediamo già più la luce. Farne un altro è una
grana. Fermalo, e pensiamo tutti a un attimo dove vogliamo andare. Poi, al
limite, se necessario, se scopriamo che dobbiamo andare assolutamente in un
certo posto, dove il tunnel è davvero indispensabile... solo allora facciamolo.
Ma bisogna veramente prima chiedersi qual è la direzione di marcia. Qui non c’è
nessuna direzione di marcia, se non queste «magnifiche sorti e progressive» che
ormai sappiamo tutti che sono una bufala.
Quindi, io adesso passo a dirvi
soltanto un piccolo daterello, del collega Mirko Federici che si è occupato,
nella sua tesi di dottorato al dipartimento di chimica dell’Università di
Siena, di calcolare se è proprio vero che con il treno ad Alta Velocità
riduciamo l’inquinamento e l’effetto serra. E da questa considerazione capite
perché io mi impegno nella questione del TAV. Perché quando io ho fatto un
intervento in una televisione locale e ho detto queste cose, poi mi sono
ricevuto – dopo gli interventi di Chiamparino e di tutti gli altri – queste
risposte: «Ma questo meteorologo, che cos’ha da dire? Ma che gli frega? Ma
perché lui ha voce in capitolo?» Be’, la voce in capitolo ho cercato di
farmela, perché se mi si dice... mi si critica dicendo: « Come? Tu studi il
cambiamento climatico e poi non vuoi il treno ad Alta Velocità? Ma con quello
ti miglioreremmo sicuramente l’ambiente. Inquineremmo dimeno l’atmosfera e
avremmo anche un clima migliore». Oh, bella... ho detto, vediamo poi se è vero.
Mi ha preceduto Federici, che ha fatto poi un bellissimo lavoro... io non ve lo
faccio vedere tutto perché è lungo, e siamo tutti stanchi, di cose ne abbiamo
già sentite molte: lui, in sostanza, ha calcolato non solo l’energia che serve
per fare andare avanti il locomotore, che assorbe una potenza di 8 virgola
qualcosa MegaWatt; di pannelli solari ne dobbiamo mettere tanti, per fare
andare avanti quel locomotore... un treno normale è la metà, circa 4 MW, mi
sembra che sia... quindi, già il sistema dell’Alta Velocità è un sistema fatto
con la logica dei muscoli, e i muscoli senza il petrolio non funzioneranno più.
Dovremmo pensare tutti a un mondo sostenibile, che va a bassa velocità, quanto
meno che ci garantisca la velocità che abbiamo adesso. Io sarei già molto
contento se il mondo del futuro sarà quello, un mondo che garantisce a tutti la
doccia calda, e un ragionevole treno senza zecche... Tutte le altre cose sono
pura fantasia.
Allora: Federici ha fatto questi
calcoletti e ha detto: «Trasporto passeggeri: in sostanza, l’auto è la peggiore
soluzione, l’autobus è invece la modalità con il minore impatto ambientale».
Per quale motivo? Ma, intanto, perché voi dovete prendere il petrolio,
bruciarlo in una centrale termoelettrica, fare l’energia elettrica, trasportarla
su una linea per far funzionare il treno. È vero che il treno non inquina dove
passa, ma ha già inquinato la centrale elettrica dove si è fatta l’elettricità.
In questo tragitto si perde dell’efficienza. Cioè: il rendimento è fatto di
tanti numeri che hanno uno zero con una virgola. Non c’è nessun numero con
l’unità. Chi sa un pochino di aritmetica, sa che quando si moltiplicano due
numeri con uno zero davanti, ne viene uno più piccolo. Non più grande. Allora
significa che 0,50... il 50% è il rendimento di una buona centrale elettrica...
0,80 è il rendimento del motore del treno... 5 x 8 = 40, arriviamo più o meno a
0,40 circa di rendimento finale. Se io brucio direttamente il gasolio
nell’autobus, in qualche caso riesco a raggiungere lo stesso risultato. Senza
aver danneggiato prima, per esempio, la Valle di Susa per fare un buco. Tanto
per fare una provocazione.
Ma se guardiamo il trasporto merci, è ancora peggio. Il TAV mostra consumi che vanno dal doppio al triplo dei camion. Ma perché viene fuori questo? Perché nel calcolo bisogna mettere anche tutto il cemento e i tondini che abbiamo messo per costruirlo, in vent’anni. E già, è troppo comodo dire che non inquina solo calcolando il treno finale. E tutto quello che è servito per costruirlo, dove lo mettiamo? Gratis? Quello non ha avuto nessun costo energetico? È piovuto dal cielo? Arriva un meteorite con già pronti i viadotti... ta – ta – ta – ta... si mettono già lì in fila... questo è il regalo che l’universo ci fa?
Ragazzi, c’è il secondo principio
della termodinamica, che è il nostro grande giustiziere. Io non mi candiderò
mai per nessun partito, se non per il Partito Termodinamico Italiano.
Scopriamo allora che per il
particolato, la TAV inquina nettamente di più. Addirittura ordini di grandezza
in più rispetto alle autostrade, alle macchine che passano, e anche per le
merci. Inquina di più per gli ossidi di zolfo e anche, addirittura, per la CO2,
che è il gas che, per esempio, interessa me per quanto riguarda l’effetto
serra. Quindi, con questi numeri arriviamo a dire: « Non è vero che il TAV
protegge l’ambiente come mi vogliono far credere». Il treno normale
probabilmente sì. Perché il treno normale ha meno muscoli, un po’ più di
intelligenza. Non deve fare i viadotti dritti anche sulla pianura padana,
perché i dislivelli di 10 cm non vanno bene, se no il treno si scarrucola.
Chi percorre l’autostrada Torino –
Milano oggi, e vede quel mostro che ha cambiato la geografia della pianura
padana, che è veramente uno schiaffo... Se io domattina mi svegliassi e
decidessi di abbattere il Cervino, perché non mi piace, ho deciso che mi fa
ombra... mah. Cosa mi fate voi? Ma come minimo mi fate a polpette e buttate i
miei resti in fondo al mare. Be’... la TAV Torino – Novara, con 100 km che
«tolgono il guardo a sud» avrebbe detto Leopardi, ma non è un crimine
geografico che altera la geografia della pianura padana al pari di sopprimere
il Cervino? Però va bene, va bene a tutti. È normale. Il progresso. Se
veramente fosse per il progresso, io lo accetterei. Ma quanto mi fa
risparmiare? 40 minuti. Guardate però, se qualcuno mi provoca e mi dice: «Ah,
però, Mercalli, vai in Mercedes»... NO, io vado in treno. Io faccio 40.000 km
all’anno in treno. Quella linea la conosco a memoria, «interregionale 2019, per
Milano Centrale ferma a Chivasso, Santhià, Vercelli, Novara, Magenta, Rho...»
Prima classe: è solo per figura. Cessi: intasati. Zecche: cercatele, ne
troverete. Ritardi: sempre. Servizio: mai.
Ma scusate. Quella linea lì è
stata fatta a metà dell’Ottocento. Però non la vedete quasi, perché, poverina,
non è molto impattante. Cosa hanno fatto? Hanno buttato un po’ di ghiaia sulle
risaie, ci hanno messo i soliti binari con le traversine, e le putrelle... e il
nostro trenino va tranquillo da un secolo e mezzo. Rompe un po’ le palle,
perché come al solito questi sono i tagli che frammentano il territorio, questo
lo si sa da 150 anni... ma in fondo è stata poi anche ben metabolizzata.
La linea TAV invece: ma perché
devo costruire una muraglia cinese alta 20 metri? Perché quel treno lì deve
andare come un proiettile a 350 km/h. Se solo c’è un dislivello di 10 cm esce
fuori? Ma scusa, ma fallo che va a 200 all’ora, e me lo fai passare se non
altro seguendomi le pendenze del territorio, e l’unico viadotto che devi fare è
il viadotto sulla Dora, e sul Ticino. E su qualche altro fiumetto. Va be’... si
è scelta questa strada e ormai ora c’è, ma io dico a tutti: andate a farvi un
giro lì per capire, con tutti quei viadotti e quei cavalcavia che sembrano
tentacoli di piovre di cemento.
Allora, vado solo più alle
conclusioni. Qui Federici ci dice che è il sistema TAV irrazionale. L’
assurdità sta nel voler mandare un treno a 300 km orari anche quando esistono
le montagne, per esempio. Io dico: qui diventa un concorrente degli aerei.
Possiamo pure creare dei dubbi, dire: va bene, quando mancherà il petrolio non
ci saranno più gli aerei, e allora serviranno i treni. Ma tutto il sistema
economico mondiale sarà costretto a rivedere il paradosso dei tulipani
coltivati a Bra e dei peperoni coltivati in Olanda. Certo, nel 2020, quando non
avremo quasi più petrolio, tutti andranno più piano e tutti avranno meno
bisogno di viaggiare rispetto ad oggi. Quindi, sarà importante avere dei treni
normali che ci portano al posto di lavoro al mattino. Non andare a Lione,
perché non ci sarà tanta gente che avrà voglia di andare a farsi le vacanze a
Lione, quando ci sarà si e no un po’ di corrente per accendere una lampadina. E
la conclusione di Federici è che: «La TAV è peggiorativa rispetto all’attuale
sistema ferroviario, e anche rispetto al trasporto su gomma. Per il trasporto
passeggeri, la TAV non consente miglioramenti significativi. Sottolineiamo che
i treni metropolitani ad alta capacità e a bassa potenza, sono invece
nettamente migliori di tutti i sistemi stradali e, ovviamente, della TAV». È lì
che bisogna investire – subito, domani – per non rimanere a piedi.
Concludo con questa bella citazione da un grande, un grande in assoluto: Jared Diamond. Biologo, geografo... insomma, scienziato vero della Università della California. È venuto a Torino due settimane fa a presentare il suo nuovo libro. Vi obbligo a comprarlo. Sacrifichiamo pure qualche albero per leggere questo libro. Perché sono le istruzioni per l’uso del pianeta Terra. Si intitola Collasso – come le società scelgono di vivere o di morire. Lì dentro, tra i vari problemi che hanno portato al collasso le civiltà del passato, e la visione che ci mette in guardia sul possibile collasso della civiltà attuale, o forse del futuro, mette sicuramente al primo posto i problemi ambientali. Da sempre, una siccità, una carenza idrica ha messo in crisi le civiltà del passato. Oggi noi siamo più furbi; crediamo di risolvere il problema. Ricordatevi che siamo 6,5 miliardi. Al tempo dell’impero romano c’erano 400 milioni di abitanti. Ma tra gli altri problemi, Diamond ne mette uno che dichiara strategico, questo sì: e sapete qual è? Quando i leaders politici sbagliano strategia. Si mettono a bucare le montagne mentre bisogna mettere i pannelli solari.