Seminario
Intervento di STEFANO LENZI
Stefano Lenzi è
responsabile dell’Ufficio istituzionale e legislativo del WWF Italia - Onlus
E’ 15 anni che sentiamo parlare di
Alta Velocità, e la si confonde strumentalmente con il rilancio delle ferrovie.
Ci sarà un motivo perché questo avviene, e ci sarà un motivo per cui, ancora
oggi, abbiamo a che fare con questo progetto che non regge dal punto di vista
economico, trasportistico, sociale e ambientale. Io credo che il progetto
dell’Alta Velocità, come hanno già ricordato altri nei loro interventi, abbia
molta più attinenza con il finanziamento della politica che con il ricercare, trovare
e individuare, delle soluzioni per i problemi della mobilità e dei trasporti in
Italia.
La storia dell’Alta Velocità
inizia in realtà alla fine degli anni ’80, con i ministri del bilancio Cirino
Pomicino e dei trasporti Signorile, e viene perfezionata nei primi anni ’90 con
l’affidamento a trattativa privata dell’affare
del secolo alle grandi aziende italiane (IRI, oggi Fintecna, ENI e FIAT),
prima che entrino in vigore le regole europee che rendono obbligatorie le gare
internazionali.
Un simulacro di verifica sui costi
esorbitanti del sistema dell’AV avviene, poi, solo nell’autunno del 1996, dopo
che nell’estate di quell’anno, viene arrestato Necci (allora presidente di FS e
di TAV SpA) e si scoprono le connessioni con il finanziere d’assalto Pacini
Battaglia e con il finanziamento illecito dei partiti. Nell’autunno del 1996 i
gruppi parlamentari dei verdi e di rifondazione comunista chiedono la verifica
parlamentare sull’Alta Velocità, che il ministro dei Trasporti del Governo
Prodi, Burlando si affretta a chiudere solo pochi mesi dopo l’arresto di Necci.
Nel febbraio 1997 il ministro Burlando nella sua relazione al Parlamento,
dichiara sostanzialmente, che l’Alta Velocità non ha alcun problema tecnico e
finanziario. L’unica, strumentale, presa di distanza contenuta nella relazione
del ministro è puramente nominalistica: alta velocità per i passeggeri e alta
capacità per le merci cono termini equivalenti. Ma, per Burlando nulla cambia:
le nuove linee devono essere costruite
per il bene del Paese.
In tutti questi anni l’unico serio
ripensamento è avvenuto alla fine del 2000, quando ministro dei Trasporti del
Governo D’Alema era Bersani, che con un articolo inserito nella Legge
Finanziaria 2001 ha cancellato le concessioni e i contratti di sub-concessione,
per i general contractor della
Milano-Verona, della Milano-Genova, della Verona-Venezia o Verona-Padova.
Quello è stato un momento di rottura in cui, finalmente, è stato posto il
problema dell’architettura contrattuale ed economico-finanziaria dell’AV. Non
si metteva i discussione l’AV come scelta di fondo, ma è stato un momento di
ripensamento importante.
Poi, nel 2001, è venuto il governo
Berlusconi, che ha resuscitato le concessioni ai GC con il collegato alla
Finanziaria 2002 e ha tentato di superare tutti gli ostacoli con i meccanismi
autorizzativi, semplificati e accelerati, della cosiddetta Legge Obiettivo e di occultare gli oneri per i conti pubblici del
finanziamento per l’AV con l’invenzione di Infrastrutture SpA.
Il presidente del Consiglio
Berlusconi e il ministro dei trasporti e delle infrastrutture Lunardi, in
questi cinque anni hanno puntato sulla realizzazione delle infrastrutture come
investimento prioritario per il Paese, sino, addirittura, ad identificarlo nel
DPEF 2005-2008 come la principale misura anticiclica per il rilancio
economico dell’Italia.
A cinque anni dall’inizio di
questa legislatura, mentre continua ad
aumentare il rapporto deficit–PIL (oggi al 4% circa) e il nostro debito
pubblico (che viaggia attorno al 107%), credo sia chiaro a tutti che la formula
su cui è stata improntata l’azione del Governo Berlusconi sia palesemente
fallita.
E se vogliamo trarre tutte le
conseguenze, c’è da dire che se il Paese è ridotto così, con la progressiva
perdita della competitività, lo dobbiamo, anche e soprattutto, al perseguimento
di quel principale obiettivo economico-politico. Un obiettivo che è stato
perseguito senza tener in alcun conto, prima ancora della sostenibilità ambientale delle scelte effettuate, delle stesse compatibilità
economico-finanziarie.
In Val di Susa, quindi, non ci si
confronta solo sugli aspetti critici del sistema dell’AV, ma sugli orientamenti
economici di fondo per il rilancio del Paese e sul modo con cui sono state
formulate e selezionate le scelte prioritarie e gli obiettivi, al di fuori di
qualsiasi panificazione e programmazione degli interventi.
Infatti, a pochi mesi dal momento
in cui si è insediato il nuovo Governo nel dicembre 2001, sono stati varati la
legislazione speciale (l. n. 443/2001) e il primo programma delle infrastrutture strategiche (delibera
CIPE n. 121/2001). La prima cosa che il Governo Berlusconi ha fatto è stata
annullare l’efficacia del Piano generale dei Trasporti e della Logistica
(PGTL), dando un colpo di spugna a un dibattito durato venti anni, che aveva
consentito di definire, finalmente, le linee generali degli interventi
necessari per la mobilità e la logistica del Paese. Il PGTL veniva superato,
semplicemente, dall’elenco infinito di opere contenuto nel programma compilato
dal ministro Lunardi.
Gli investimenti necessari per
realizzare quel programma venivano calcolati nel dicembre 2001 in 125,8
miliardi di euro, mentre ad oggi (luglio 2005) l’Ufficio Studi della Camera
insieme al CRESME, li valutano, con le marginali integrazioni introdotte negli
ultimi DPEF, attorno ai 264 miliardi di euro (per realizzare ben 235 opere e
531 progetti), a dimostrazione che nessuno, men che meno il Governo, ha
selezionato le priorità e ha il reale controllo della situazione
Il Governo e la maggioranza che lo
sostiene hanno perfezionato, con il decreto legislativo n. 190/2002, una cabina
di regia all’interno del Comitato Interministeriale per la Programmazione
Economica (CIPE), una sorta di comitato
d’affari istituzionale, che autorizza le singole opere, dando un giudizio di
compatibilità ambientale sul progetto preliminare. Hanno, così di fatto,
annullato l’autonomia tecnica della procedura di Valutazione di Impatto
Ambientale e hanno semplificato tutti i vari passaggi decisionali, eludendo la
difficile concertazione sul territorio. I meccanismi decisionali derivanti
dalla Legge Obiettivo emarginano gli
enti locali: ne sa qualcosa la Val Susa, in cui gli Enti Locali hanno dovuto
coalizzarsi per avere voce in capitolo sul progetto di AV passeggeri della Torino-Lione. Le conferenze dei servizi
– strumento peraltro con dei limiti,
soprattutto quando si decide a colpi di maggioranza– nella fase della
progettazione preliminare non vengono neppure convocate. Non esiste più alcuna
sede politica e istituzionale in cui compiere un confronto tecnico.
Infine, hanno anche reso
inoffensiva la giustizia amministrativa, creando una sorta di tribunale
speciale (il TAR del Lazio, cui competono tutti i contenziosi riguardanti le infrastrutture strategiche) che deve
tener conto, nel suo giudizio, secondo quanto stabilito nel decreto attuativo
della Legge Obiettivo, del preminente
interesse nazionale alla realizzazione dell’opera (art. 14 del D.Lgs. n.
190/2002). Il TAR del Lazio e il Consiglio di Stato, stanno seguendo con grande
solerzia questa indicazione, e tutti i ricorsi sulle grandi opere, come quelli
sulla linea ad AV passeggeri
Torino–Lione, vengono respinti. Coloro che impugnano le decisioni
assunte dalla pubblica amministrazione in tema di infrastrutture sono resi
inoffensivi.
Tuttavia, la situazione in cui
versa oggi il Paese obbligherebbe ad abbandonare programmi folli che, come
abbiamo già ricordato, prevedono investimenti per complessivi 264 miliardi di
euro e che solo per l’AV ad oggi stimano costi di 94 miliardi di euro. Le
difficoltà economiche strutturali in cui versa il nostro sistema
economico-produttivo e il vero e proprio tracollo della finanza pubblica
obbligherebbero a riscrivere le priorità. Renderebbero urgente e necessario che
venga posta una cesura rispetto ai processi decisionali sperimentati in questi
cinque anni e che si proceda alla cancellazione dei meccanismi attivati dalla Legge Obiettivo.
Meccanismi che creano e
consolidano un mercato protetto per le grandi aziende di costruzione e per i
grandi studi di progettazione, attraverso la nuova formula del general contractor, e il rafforzamento
dei concessionari autostradali. Si ipotizza e in parte si realizza, così, un
sistema neo-corporativo che vede il Governo, al centro del sistema,
interloquire direttamente con pochi referenti selezionati, che cercano il
proprio tornaconto, garantendo un tornaconto alla politica.
Ed ecco che in Italia si continua,
inspiegabilmente, a perseguire la
scelta di poche nuove costosissime e dannosissime linee per l’AV passeggeri,
quando su 15.923 km di linee ordinarie soltanto 6.363 km sono a doppio binario,
e 5.603 km a doppio binario ed elettrificati. Quando in Francia e in Germania la rete a doppio binario
ed elettrificata è di circa 16.000 km: quanto tutta la nostra rete ferroviaria.
Rete ferroviaria che, come è noto a tutti i pendolari, sia per quanto riguarda
il materiale rotabile che per lo stato dell’infrastruttura, è ormai
all’infarto, avendo già superato da tempo la fase del collasso. Ma, la crisi
economico-finanziaria e l’assurdità, in questo contesto, del Sistema dell’AV
non porta a più miti consigli né nel centro destra, né nel centro-sinistra.
A maggio 2005 abbiamo
incontrato il presidente della
Commissione Trasporti del Parlamento europeo, nonché autorevole esponente della
Margherita, Paolo Costa, il quale, quando gli abbiamo fatto notare, viste le
difficoltà dell’Italia, che forse sarebbe il caso di ripensare le priorità di
investimento, ci ha risposto che per i grandi progetti infrastrutturali non c’è
limite economico-finanziario che tenga. Scorrendo, poi, il programma per le
primarie dell’Unione del candidato premier Prodi leggo nero su bianco che, a
suo avviso, sarebbe necessario completare le opere già avviate e attuare il
programma per le infrastrutture del Paese. Prodi, forse, non sa che così si
ripromette di dare continuità alla disastrosa politica sin qui intrapresa da
Berlusconi. Nel nostro mondo politico c’è, evidentemente, qualcosa che non va.
C’è davvero da augurarsi che nel
documento programmatico dell’Unione in via di definizione ci sia un chiaro
segnale di discontinuità rispetto alle politiche e ai programmi definiti nella
XIV legislatura e che questo profondo e necessario ripensamento porti frutti
nel tempo, sino all’epoca del voto previsto nell’Aprile del 2006. Se questo
non avvenisse, ci sarebbe di che
preoccuparsi.
In questa situazione, le
istituzioni europee sono ancora un punto di riferimento. Certo, bisogna
ricordarsi che la nuova lista delle reti transeuropee di trasporto (TEN-t) è
stata definita senza che si facesse una valutazione ambientale strategica e
senza tener in buon conto le reali disponibilità dei paesi membri (tant’e’ che
si è deciso di investire 600 miliardi di euro su 30 progetti prioritari su scala
continentale) in un contesto in cui la vecchia
Europa dei 15 ha imposto le sue scelte prima del voto che avrebbe portato all’allargamento
della UE alla nuova Europa a 25.
Detto questo, c’è però da dire che
a Bruxelles come a Strasburgo esiste ancora un sistema di garanzie che permette
di conseguire alcuni possibili risultati. Due risultati importanti in tema di
infrastrutture sono venuti dall’Europa. Il primo è stato l’apertura
dell’infrazione sulla procedura di valutazione ambientale accelerata e semplificata
sul progetto preliminare, prevista del decreto attuativo della Legge Obiettivo. La Commissione Europea
l’ha avviata il 20 Aprile 2004, ed è oggi in fase conclusiva, sostenendo come
anche al momento della definizione del progetto definitivo sia necessario
perfezionare la valutazione di impatto ambientale, garantendo l’informazione e
la consultazione del pubblico.
Inoltre, nel marzo 2005 Eurostat
(l’istituto di statistica europeo) ha deciso di non certificare i conti
pubblici italiani del 2004, rilevando,
tra i sei punti che ha deciso di contestare, proprio i meccanismi di
finanziamento dell’AV, garantiti da Infrastrutture SpA (ISPA) e stabilendo che l’emissione di bond da
parte di ISPA è discutibile, perché sottrae i fondi destinati all’AV dai controlli
previsti della contabilità pubblica.
Anche la linea di condotta seguita
dalla delegazione della Commissione Petizioni del Parlamento europeo, venuta
per approfondire la vicenda della Val di Susa, dimostra come sia la Commissione
che il Parlamento europei tengano, molto di più che le istituzioni e il mondo
politico italiani, al rispetto delle regole in campo ambientale ed
economico-finanziario.
Proprio facendo riferimento al
quadro di garanzie comunitarie esistente, io credo che sia il caso di chiedere
che sulla direttrice Torino-Lione si compia, ai sensi della Decisione n.
884/2004/CE del Parlamento del Consiglio d’Europa sulle nuove TEN-t e come
richiesto dalla normativa europea, una valutazione transnazionale su un
progetto definitivo, che tenga conto anche delle principali alternative, sino
all’opzione zero. Io credo che non sia sufficiente che il Commissario europeo
ai Trasporti Barrot nomini due tecnici indipendenti. L’Europa. A mio parere, si
deve fare garante, insieme al Commissario all’Ambiente Dimas, di una procedura
partecipata transnazionale di valutazione, superando il progetto preliminare
approvato nel dicembre 2003 con la Delibera CIPE n. 113/2003, che presentava –
come è stato dimostrato e rilevato anche dalla Commissione Petizioni del Parlamento
europeo – profonde lacune ed omissioni tecniche (il giudizio positivo di compatibilità ambientale è
corredato da 77 tra prescrizioni e raccomandazioni) e gravi difetti nel
perfezionamento della decisione, per quanto attiene la trasparenza e il coinvolgimento
democratico degli enti e delle popolazioni locali.
La strada europea mi pare che sia
da imboccare visto che nel nostro Paese non si respira un clima
politico-istituzionale rispettoso delle regole.
Infatti, il risvolto
particolarmente negativo della situazione attuale è che si cominciano a
riconoscere e individuare sul territorio anche i referenti del centro-sinistra
per la gestione degli affari, più o meno leciti, in rapporto con il sistema
delle imprese. Non si nascondono più, e la memoria torna ai “capi bastone”, che
affollavano in particolare le fila dei democristiani o dei socialisti, negli
anni tra il ‘60 e l’80.
In questa situazione molto
delicata mi pare, quindi, che sia importante il modo con cui si costruisce il
consenso e capire chi si intende coinvolgere in tale processo. E’ fondamentale
che personalità autorevoli, come quella della presidente della Giunta della
Regione Piemonte Bresso ne siano consapevoli, di fronte alla protesta di
un’intera valle.
Infatti, anche nel centro-sinistra – come dimostrano i fatti recenti legati alle scalate finanziarie - comincia a pesare l’influenza di questo o quel gruppo di potere, che riesce a influire sulle decisioni e, alle volte, anche sui programmi politici.
E’ per questo che spero davvero ci
siano delle chiare cesure rispetto alle nuove regole introdotte in questa
legislatura.
Infine, rispetto alla manifestazione,
visto che mi è capitato di essere il coordinatore dell’ufficio stampa del
Genoa Social Forum, ed ho vissuto nel 2001 i fatti di Genova da vicino, una
raccomandazione: cerchiamo di fare in modo che non sia organizzato un corteo
che attraversi il centro cittadino, perché Torino non è come la Val Susa dove
ci sono condizioni ambientali e sociali che consentono il controllo del territorio.
Nei centri cittadini si può più facilmente esprimere l’infantilismo violento degli utili idioti,
ma anche la maturità dell’antisommossa.
Non mi pare proprio il caso di mettersi in una situazione del genere, vista
l’ottima, pacifica esperienza maturata dal movimento nella valle.
Grazie.