Seminario
Intervento di ANDREA DEBERNARDI
Andrea
Debernardi della Società di Ingegneria
dei Trasporti Polinomia, uno degli esperti designati a rappresentare i
Comuni e la Comunità Montana Bassa Val di Susa e Val Cenischia al
tavolo tecnico noto come “Commissione Rivalta”
(I lavori
della commissione sono documentati su http://www.regione.piemonte.it/torinolione/documenti.htm)
Buongiorno
a tutti. Io sono uno dei tre tecnici consulenti della Comunità Montana,
nominato nella Commissione Rivalta. Parlerò oggi di alcuni problemi aperti,
legati all’esercizio della linea; cioè non tanto ai rischi sanitari o di scavo
dei cantieri, quanto a come funzionerà la linea una volta realizzata nella
forma che conosciamo… O diciamo nella forma che reputo di conoscere, perché una
delle cose che è accaduta nella Commissione Rivalta, e che ha avuto poca eco
nei giornali ma che risulta con assoluta tranquillità dai verbali, è che il
Ministero non ha fornito nemmeno in quella sede indicazioni aggiornate sul
progetto.
Mi spiego
meglio. La Commissione Rivalta, di cui fanno parte molti tecnici capaci, è
stata istituita d’urgenza perché c’era la questione dei sondaggi, e si è
riunita una dozzina di voltre tra il 29 agosto e la fine di ottobre 2005. E
aveva all’ordine del giorno una serie di questioni importanti, che nel corso
degli anni si erano accumulate, senza che si riuscisse ad ottenere una risposta
univoca. Credo che i valsusini sappiano che quest’opera non ha un progetto
unitario ma è divisa in vari tronconi. Alcuni di questi tronconi, in
particolare la tratta nazionale, hanno più di un progetto, perché il progetto
preliminare è stato più volte rivisto. Il 3 di agosto il CIPE approva il
progetto preliminare della tratta nazionale da Bruzolo a Settimo (per
intenderci quella che attraversa le zone che hanno potenziali problemi di
amianto) e che costa due miliardi e mezzo di euro, accogliendo, a quanto sembra
– si dice – prescrizioni avanzate dalla Regione Piemonte per ulteriori 1,35
miliardi. Quindi, non parliamo di bruscolini. Siccome queste prescrizioni
riguardano le problematiche che la Commissione Rivalta deve affrontare, il
sottoscritto, il giorno 29 agosto 2005, informa che gradirebbe avere gli atti
nello stato in cui si trovano. Per capire esattamente se determinati elementi
dell’opera sono stati approvati, rimandati o esclusi. Parliamo di cose che
costano molti soldi, che hanno tempi di cantieramento lunghi, e quindi sono
complesse. La risposta è che gli atti sono in corso di perfezionamento. Cioè,
il CIPE approva opere per 2,5, o forse quasi 4 miliardi di euro, forse 4
miliardi di euro, ma gli atti non sono disponibili. Questa mia richiesta è
stata riproposta pressoché in tutte le riunioni della Commissione Rivalta,
perché per le questioni di cui mi occupo è indispensabile capire come sarà
realizzata la tratta nazionale. Il giorno 26 ottobre, con in mano una lettera
del Presidente del consiglio, che diceva che se entro il 31 ottobre la
commissione non si fosse pronunciata il governo avrebbe proceduto in via
autonoma (come poi ha fatto), noi tre tecnici della Valle di Susa abbiamo messo
agli atti della Commissione una dichiarazione in cui si diceva che, se non
avessimo avuto la delibera del CIPE, non ci saremmo pronunciati. Perché io
faccio di mestiere il tecnico dei trasporti, e ragiono di progetti; ma a
tutt’oggi non ho in mano il progetto.
Concludendo:
sono consulente la Comunità Montana Bassa Valsusa dal 2000, ed ho partecipato a
tutti i tavoli di negoziazione tecnica che ci sono stati da allora ad oggi,
correndo avanti e indietro per l’Italia, da Roma al Ministero a Torino, e non
ho gli atti in mano. Allora, quando si dice che il governo è sempre stato
pronto a discutere dell’opera, io credo che lo valuterò sui fatti. Se la
Commissione Rivalta si riunisce nuovamente, io riproporrò il problema, e finché
non ho gli atti in mano riterrò che tante dichiarazioni che leggo sui giornali
non hanno ancora trovato una corrispondenza pratica nei fatti. Questo mi spiace
dirlo, ma lo preciso perché ho letto tante cose ultimamente, su quello che
avrei dovuto fare. Però non sono stato in grado di farlo.
Credo dunque che nessuno me ne vorrà quanto vado ora a
raccontarvi è in parte ipotetico.
In
particolare, intendo parlarvi non tanto di problemi di impatto locale (io mi
occupo di questioni ferroviarie, il geologo è un altro), quanto di come
funzionerà l’opera, almeno a giudicare dalle carte ufficiali che ho in mano.
In primo
luogo, esaminiamo le caratteristiche della linea attuale e le previsioni di
traffico. La linea di Modane è antica, ma è stata più volte rimodernata - i valsusini si ricorderanno gli interventi
importanti che ci sono stati, proprio su quella linea, negli anni ’70. Questi
interventi erano stati messi in cantiere perché tra il 1950 ed il 1975 c’era
stata una crescita graduale, ma costante del traffico. A metà degli anni ’70,
con la linea a semplice binario (e con le locomotive di allora) il valico
cominciava a fare fatica. Le Ferrovie sono intervenute, raddoppiando la linea
tra Bussoleno e Salbertrand con nuove gallerie meno acclivi delle precedenti,
sulla base di una previsione di traffico di 13-15 milioni di tonnellate nel
1989. Le opere vennero finanziate dallo Stato, appunto per rispondere ad una
crescita attesa di questo genere. Ma il traffico non ha seguito queste
previsioni, perché dalla fine degli anni ’80 ha cominciato ad oscillare fra i 7
ed i 10 milioni di tonnellate, senza mai conseguire gli obiettivi previsti
negli anni ’70.
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Come mai la
crescita del traffico si è arrestata? I motivi sono tanti, ma uno di quelli
essenziali è che, nel 1980, apre il traforo autostradale del Fréjus, che
comincia a sottrarre traffico alla linea ferroviaria. In effetti, se invece che
al solo traffico ferroviario guardiamo alla somma ferro+gomma (la linea viola
del grafico che segue) osserviamo che le previsioni degli anni ’70, nel
complesso, erano corrette. Soltanto che non tenevano conto del vantaggio che la
strada avrebbe ottenuto con la realizzazione del traforo.
Intorno
all’anno 2000 si fanno nuove previsioni di crescita del traffico ferroviario, e
si cominciano ulteriori lavori di potenziamento della linea storica tra
Bussoleno e Modane. Sono potenziamenti importanti, iniziati sulla base di
previsioni di traffico di 20 milioni di tonnellate/anno, e che costano circa
600 milioni di euro. Ma tra il 1997 ed oggi il traffico è diminuito di oltre il
30%, e non è per nulla chiaro se e come le Ferrovie riusciranno a raggiungere
un livello di traffico pari al doppio del livello massimo, raggiunto otto anni
fa.
Contemporaneamente,
si dice che 20 milioni di tonnellate/anno non sono abbastanza; bisognerà
raggiungere i 40 milioni, e ci sarà dunque bisogno di una linea del tutto
nuova, che costa moltissimi soldi: 15,2 miliardi di euro, più quell’1,35 che vi
dicevo prima, e che non si capisce se c’è o non c’è. In tutto, oltre 30 mila
miliardi delle vecchie lire.
Sono soldi
ben spesi? Sempre intorno al 2000, i due Governi coinvolti nel progetto – non
l’ingegner Debernardi né la Comunità Montana Bassa Valsusa – hanno sviluppato
una valutazione costi/benefici del progetto. Si tratta di un’analisi un po’ invecchiata,
perché da allora ad oggi il progetto è cambiato – anche se già allora si
parlava di un’opera da 40 milioni di tonnellate/anno; e comunque non mi risulta
che esistano valori più aggiornati.
In questa valutazione, la stima dei benefici derivanti dalla realizzazione della nuova linea – inclusi i vantaggi ambientali monetizzati – oscillano fra i 3 ed i 9 miliardi di euro. Dunque, è del tutto evidente che la nuova linea costerà più di quanto non risulterà utile per la popolazione. E’ un fatto noto. Se fate attenzione: ultimamente i pochi esperti di trasporti, professori universitari o simili che si sono espressi sui mass media da posizioni non di parte, hanno ripetuto tutti che l’opera non è fattibile dal punto di vista tecnico-economico. E questo non perché non faccia benefici: 9 miliardi di euro sono un ammontare enorme. Il problema è però che ha dei costi assolutamente eccessivi. E che ci sono certamente altri modi, più produttivi, di utilizzare quei 15 o 16 miliardi di euro.
Vorrei evidenziare un secondo aspetto: si parla – od almeno
credo che si sia parlato – di una linea strategica, destinata a collegare
l’Atlantico al Pacifico o qualcosa di simile. L’idea, spesso ripresa, è che per
l’Italia sia indispensabile attrarre al bacino padano flussi commerciali
Lisbona-Kiev, attestati oggi a Nord delle Alpi, senza i quali rischia di
restare tagliata fuori dallo sviluppo europeo. E’ un’idea di moda, ma che non
trova a suo supporto elementi fattuali. Il fatto è che quei flussi
semplicemente non esistono. Oggi i flussi attraverso le Alpi sono quasi tutti
di import-export italiano. L’attraversamento è praticamente assente; e non
riguarda scambi fra l’Ovest e l’Est europeo, quanto piuttosto tra il Nord-Ovest
(la Francia) ed il Sud-Est (la Grecia) od anche tra il Sud-Ovest (la Spagna) ed
il Nord-Est (la Polonia). Chi voglia andare dalla Spagna ai Balcani,
all’Ucraina, oggi come ci va? In nave. Le merci sono poche e vanno tutte in
nave. Non passano a Nord delle Alpi. Non c’è niente da attrarre, quindi: il grande
disegno strategico, sotteso alla realizzazione della nuova linea Torino-Lione,
è riferito ad un traffico che oggi non esiste. Può darsi che fra un po’ di anni
esista, ma oggi no. E siccome è difficile attribuire la crescita del traffico
su gomma a flussi commerciali inesistenti, se vogliamo affrontare correttamente
il problema del riequilibrio gomma-ferro attraverso le Alpi, dobbiamo guardare
ai flussi che oggi esistono. Per
tentare di captarli. Ed oggi i traffici che esisono sono traffici tra l’Italia
– prevalentemente il Nord Italia – la Francia, ed un po’ anche le Isole
Britanniche, il Benelux e la Penisola Iberica.
Ma gli scambi commerciali tra l’Italia e la Francia sono, da
anni, abbastanza stabili; e lo stesso si può dire anche per le altre destinazioni
nord-occidentali. Sono più dinamici verso la Spagna, dove però abbiamo
tantissimo «via mare» - anche perché uno dei motori della crescita dei questi
traffici negli ultimi 10 anni è che esportiamo moltissimi prodotti petroliferi
dalla Sardegna e dalla Sicilia verso la Spagna. Questi prodotti vanno in Spagna
via mare. Fortunatamente: pensate cosa vorrebbe dire andare da Porto Foxi
(vicino a Cagliari) fino a Madrid via terra.
Torniamo ora alle previsioni di traffico. Nel grafico che vi
mostro la linea rossa evidenzia quale sarà la capacità della linea storica dopo
i lavori di ammodernamento in corso (intorno a 25 milioni di tonnellate/anno),
mentre la linea blu rappresenta le previsioni di traffico presentate dai
Governi. All’inizio del secolo, proiettando nel futuro alcune tendenze – in
realtà abbastanza di breve periodo – si poteva immaginare che la linea storica
ammodernata fosse destinata a saturarsi intorno al 2025. E siccome la
realizzazione del tunnel di base potrebbe richiedere una dozzina d’anni, i
lavori sarebbero dovuti iniziare intorno al 2010.
Però quello che è successo è che dal 1997 ad oggi il valico
storico ha perso il 30% del traffico, scendendo da oltre 10 a meno di 7 milioni
di tonnellate/anno. Questo andamento decrescente dipende in parte da
oscillazioni di mercato che si ripetono da una ventina d’anni, ed in parte
anche da problemi congiunturali legati ai lavori in corso, che limitano la
capacità operativa del valico. Ma esso è dovuto anche a difficoltà operative e
gestionali di altro genere, che tendono ad affliggere l’intero sistema di
trasporto merci su ferrovia a scala nazionale. Basti pensare che, dal 2000 ad
oggi, le Ferrovie italiane non sono riuscite a rendere disponibili le potenti
locomotive politensione promesse per migliorare l’utilizzo della linea.
Difatti, i valsusini sanno bene che, ormai da qualche anno, sulla linea
viaggiano prevalentemente locomotive francesi. I francesi hanno messo le
locomotive, ma gli italiani no; con il risultato che non riescono più a produrre
treni competitivi con quelli che gli svizzeri portano attraverso le linee
storiche del Gottardo e del Sempione-Lötschberg.
Badate bene: la linea storica ha tanti limiti. In effetti,
qualunque cosa reale ne ha tanti – anche la linea nuova ne avrà. Ma il punto è
se questi limiti sono operanti nella situazione attuale, cioè se le Ferrovie
sfruttano le caratteristiche della linea storica sino a livelli ad essi vicini.
Ma oggi non sono i limiti della linea ad impedire di fare il traffico (che
infatti era più elevato dieci anni fa), ma limitazioni diverse, prevalentemente
gestionali ed operative, che se non rimosse, impediranno la crescita del
traffico anche sulla linea nuova.
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Non si tratta di un quesito ozioso: la nuova linea come
funzionerà? Beh, intanto io comincio ad avere dei dubbi: ci saranno le
locomotive? E’ credibile chi dice che nel 2030 farà 40 milioni di
tonnellate/anno superando di slancio il limite odierno dei 20 milioni, quando
oggi ne fa a malapena 7 milioni perché non riesce a rendere disponibili le
locomotive? Io credo che il messaggio corretto sia del tutto differente: prima
si mettono a disposizione le locomotive e si comincia a far crescere nuovamente
il traffico, e poi ci si siede attorno ad un tavolo per discutere del
potenziamento della linea. Che è poi, per inciso, esattamente quello che sta
avvenendo in Svizzera, dove i tunnel si stanno scavando, ma il traffico
ferroviario continua a crescere già sulle linee storiche (al Gottardo ci si sta
avvicinando alla soglia dei 20 milioni). Perché le locomotive nuove ci sono. Ed
anche perché le strategie commerciali delle ferrovie sono state aggiornate. C'è
una strategia, dietro.
Con questo, voglio soltanto far notare che il nuovo,
costosissimo tunnel di base non ha quasi niente a che fare con questi problemi.
Non sarà per nulla sufficiente a risolvere una serie di problemi gravi ed assai
vincolanti, di cui oggi si parla molto poco.
Ma non è tutto, quello che è veramente eccezionale, anche
per il contesto italiano, è che comunque potremmo fare molta fatica a
raggiungere i 40 milioni di tonnellate, anche disponendo della nuova linea,
almeno come è congegnata oggi, cioè in modo un po’ strano.
Secondo i progetti preliminari di cui dispongo, la nuova
linea sboccherà dal tunnel di base a Venaus (non c’è bisogno di spiegare
dov’è), attraverserà in viadotto la Val Cenischia e poi aggirerà Susa e
Bussoleno con un tunnel di 12 km, raggiungendo l’interconnessione di Bruzolo
(fine della tratta internazionale). Da qui a Torino la linea si sviluppa
all’interno del tunnel del Musiné-Gravio (21 km), ed aggirerà quindi la città a
Nord, affiancandosi alla Tangenziale e raggiungendo la nuova linea ad Alta
Velocità per Milano.
Perché mai i valsusini dovrebbero lamentarsi di un’opera
che, in fin dei costi, è quasi tutta
in galleria? Un motivo è che secondo il progetto preliminare della linea
nazionale, di cui attualmente dispongo, la
maggior parte dei treni merci continuerà a viaggiare sulla linea storica, per
il semplice motivo che dovrà andare all’interporto di Orbassano o proseguire
verso Genova/Bologna, e che non potrà farlo transitando sulla linea nuova.
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D’altronde, Orbassano è uno scalo semivuoto, che dovrà pur
essere prima o poi riempito dal traffico (abbiamo appena finito di pagarlo). Le
Ferrovie rispondono che è anche uno scalo ormai obsoleto (sebbene mai
pienamente utilizzato), tanto da richiedere la realizzazione di un nuovo
interporto a Nord della città. Di tale scalo però, all’interno del progetto,
non esiste alcuna traccia. Ed io dico: anche se fosse, chi mi assicura che esso
non risulterà simile al suo predecessore, realizzato sempre dalle Ferrovie a
Sud della città? Il soggetto proponente, in fondo, è lo stesso.
Ed i treni passeggeri? Ma naturalmente anche i treni passeggeri continueranno a passare sulla linea storica, perché in qualche modo dovranno entrare nel nodo di Torino, per fermarsi a Porta Nuova od a Porta Susa. Quindi da Bruzolo a Torino seguiranno per 40 km la linea esistente, proseguendo poi verso Milano.
Ma sulla linea storica i treni andranno a una velocità
commerciale di circa 110 km l’ora, che è la velocità attuale spuntata da
materiale ordinario e non a cassa oscillante (chissà perché su questa linea
hanno smesso di usare i Pendolini). E subiranno notevoli limitazioni di velocità
anche nella tratta internazionale, per l’impossibilità di gestire precedenze
per ben 71 km tra Bruzolo e St.Jean-de-Maurienne. Alla fine, fatti un po’ di
conti, saltano fuori tempi di percorrenza di poco inferiori all’ora fra Torino
e St.Jean, che si trova ancora a 170 km da Lione. Allora, io non credo che la
nuova linea, così configurata, possa conseguire l’obiettivo tanto pubblicizzato
dell’ora e 45 minuti tra Torino e Lione. Può darsi che ci si possa avvicinare a
questo risultato, ma soltanto percorrendo la linea nuova dall’interconnessione
con l’alta velocità proveniente da Milano, ma senza fermata intermedia nel
nodo. Ora, sarà pur vero che il treno ci metterà pochissimo a raggiungere Lione
e Parigi, ma a Torino nessuno potrà prenderlo.
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Queste problematiche,
in realtà, sono ben chiare ai tecnici della Commissione Rivalta. Tanto che la
stessa Signora Loyola De Palacio, rappresentante dell’Unione Europea, ha detto
che, chiaramente, il progetto va rivisto. Ma che comunque non ci si può
fermare.
Siccome
questa è la risposta che io ricevo da sei anni, mi dichiaro insoddisfatto. Ed a
questo proposito vorrei citare un poesia beat,
le cui strofe cominciavano tutte con «One day, I will… one
day I will…». Ma l’ultima strofa diceva invece «This day is one day».
Badate bene, io non sono un oppositore assoluto del tunnel
di base. Dico però che, in questo momento, finché questi problemi non sono
chiariti, dal punto di vista operativo ci si ferma. Perché i sondaggi costano
centinaia di milioni di euro. Nostri.
Alla fine,
il progetto che è nelle mie mani dice che sulla nuova linea (progettata per una
velocità di 220 km/h) correranno soltanto pochi treni merci (a 100-120 km/h),
mentre sulla linea storica ci sarà lo stesso traffico di oggi; anzi un po’ di
più, per di più con treni merci più pesanti e forse più rumorosi di oggi.
Allora,
perché i valsusini non vogliono una linea che corre quasi tutta in galleria? Perché in quella linea, che richiederà
anni di cantieri, alla fine i treni non ci correranno. Perché i raggi di
curvatura elevati, pensati per i treni passeggeri ad alta velocità (che non la
utilizzeranno), e del tutto inutili per l’esercizio merci, comportano diverse
interferenze urbane ed ambientali sia in valle che nell’hinterland torinese. Perché sulla linea storica il promesso
rafforzamento del servizio ferroviario regionale, alla fine, non si potrà fare.
Ed anche nel nodo di Torino ci saranno notevoli problemi ad utilizzare
correttamente il Passante oggi in costruzione.
Anche se nel grande dibattito politico c’è oggi un muro
contro muro, le posizioni dei tecnici sono articolate, numerose, e spesso
condivisibili. In sede tecnica si continua a discutere di questi problemi, ed
io ho grande rispetto per molte persone che siedono con me nella Commissione
Rivalta.
La Regione
Piemonte e la Provincia di Torino hanno più volte richiesto la realizzazione di
un’interconnessione più vicina alla città (questa richiesta fa parte del
pacchetto aggiuntivo forse approvato dal CIPE in agosto). Connettendo le due
linee anche ad Ovest di Torino, i treni veloci, ed anche quelli merci diretti
verso Orbassano e Genova/Bologna, potrebbero correre più a lungo sulla linea
nuova.
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Le Ferrovie stanno oggi valutando una soluzione di questo
genere, che tuttavia non consentirà ai treni provenienti da Orbassano di
aggirare il nodo torinese in direzione di Milano. Questi treni pertanto,
dovranno utilizzare il Passante ferroviario, attraversando la nuova stazione
sotterranea di Porta Susa, limitando in tal modo la potenzialità del sistema
per il servizio passeggeri regionale.
In più
occasioni, ho sostenuto invece la necessità di realizzare al più presto una
connessione diretta fra Orbassano e Settimo Torinese, in modo da consentire a
tutti i treni merci provenienti da Orbassano e dalla linea storica del Fréjus
di saltare il nodo di Torino. Si tratta di un intervento necessario già per lo
sviluppo del traffico a breve-medio termine, che non pregiudica la
realizzazione di ulteriori lotti funzionali, finalizzati al potenziamento della
direttrice ferroviaria Torino-Lione. E si tratta di un intervento non piccolo,
tanto da richiedere, probabilmente, più risorse finanziarie di quelle oggi
effettivamente disponibili (finanziamenti UE inclusi). Dunque, non esiste una
scelta secca tra il “continuare a discutere” ed “avviare i cantieri”: basta
soltanto avere la ragionevolezza e l’umiltà di partire dai problemi oggi più
rilevanti, mettendo in secondo piano le facili suggestioni del lungo periodo, e
procedere da valle verso monte, anziché da monte verso valle, come sino ad oggi
è stato.