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Dichiarazione spontanea di Dana Lauriola

udienza del 3 febbraio 2025 del "Processo Sovrano"

 

Assistiamo da qualche settimana ad un’attenzione da parte dei media televisivi e giornalistici che non reputo spontanea, ma indotta.
Indotta da chi, a pochi giorni dalla sentenza di questo processo che ci vede, fra gli altri reati, accusati di associazione a delinquere, non rispetta la tranquillità che un procedimento così delicato e complesso avrebbe richiesto.
Delicato, per noi (un noi inteso in senso ampio, una collettività ideale che per fortuna trascende di numero e per progettualità politica le persone oggi sedute in questa aula) che in questi anni abbiamo già pagato a caro prezzo in termine di condanne penali il nostro impegno politico a Torino e in Valle, come molti attivisti lo hanno fatto in altre città in Italia e nel mondo.


Per chi ha dedicato un buon pezzo della propria vita alla lotta per i diritti delle persone discriminate, alla creazione di reti di solidarietà attiva e alla difesa dell’ambiente e della salute collettiva, trovarsi oggi accusati da questi media e dalla Procura di aver “finto” è un qualcosa di irricevibile, comprensibile invece se lo si colloca in un contesto viziato da pregiudizio e volontà politiche di parte.
Vedo la lotta sociale seduta al nostro fianco, tra i banchi di quest’aula, quando essa consapevole di essere uno degli ingredienti irrinunciabili della democrazia, ci ricorda ogni giorno che è connaturata all’organizzazione delle società complesse, che possono generare diseguaglianze inaccettabili per chi, invece, pensa che tutti abbiamo lo stesso diritto a vivere un’esistenza dignitosa.  Un anticorpo imprescindibile, utile a contrastare le derive di poteri e le espressioni di disumanità politica e sociale.


Viviamo in una società che ha delle dinamiche violente al suo interno, come si fa a non vederle, molto più di quella violenza che talvolta viene contestata alle piazze di tutto il mondo. La lotta, grande imputata silenziosa in questo procedimento, si traduce spesso in piccoli gesti di resistenza quotidiana, sul proprio luogo di lavoro, a scuola e tra le mura domestiche. Talvolta assume dimensioni di massa e se la percezione collettiva è quella di aver subito un torto, o un sopruso, possono svilupparsi dei comportamenti eccedenti e conflittuali, che non necessitano di una regia e non si farebbero dirigere da essa.

 

Nelle ultime settimane giornalisti televisivi ci hanno inseguit* e pedinat*, sventolando parte dei brogliacci delle intercettazioni che qualche volonteroso ha pensato bene di fornirgli. Alcuni di questi brogliacci, possiamo dire con contezza, non sono neanche entrati nel dibattimento. Altri, periziati e approfonditi dall’accusa e contestualizzati del collegio difensivo, hanno decisamente chiarito il loro significato, ma questo conta poco quando l’obiettivo è far diventare l’Askatasuna il mostro cattivo da combattere, la regia di quei conflitti (tra cui il No Tav) di cui dicevo prima, utile argomento per distrarre i più dai reali problemi di questo paese. La regia, poi mi chiedo, solo a Torino o in Val di Susa, quando in molte città italiane e in Europa (per non allargarmi oltre) accadono eventi simili nei tempi, nei modi e nella forma, ma in quel caso non si può più tirare in ballo Askatasuna. Se non si tratta di realtà parallele, allora forse davvero esiste una dinamica spontanea che non si esaurisce nelle 16 persone qui accusate del reato associativo…

 

(........)

 

Brogliacci diffusi alla stampa quindi, ma a destare grande preoccupazione sono due interventi occorsi all’inaugurazione dell’anno giudiziario, uno da parte di un membro laico del CSM rispetto ai risarcimenti milionari ai quali, in caso di condanna, ovviamente non potremmo mai ottemperare (ma serviranno ad ipotecare definitivamente il nostro futuro e quello è sicuramente l’obiettivo con il suo insito valore di deterrenza), un altro (assolutamente meritevole di una dedica) in cui questo tribunale viene chiaramente invitato a condannarci. Vorrei chiedervi se eravate presenti e cosa avete pensato, quando questo processo è diventato nelle parole del Procuratore Generale Lucia Musti l’ultimo baluardo all’”eversione”.


C’è un vostro collega, il giudice per le indagini preliminari, che si è già espresso in senso negativo rispetto a questa ipotesi di reato, eppure sulla stampa e dalle parole del Procuratore questa è la definizione iperbolica che è stata utilizzata per chiedere “ la necessaria ed opportuna risposta di uno stato che deve, laddove ne siano soddisfatti i presupposti di legge, assicurare alla giustizia coloro che attuino condotte criminose che, come ho detto in premessa, hanno chiare finalità eversive, quantomeno di piazza”. Siamo sempre stati assicurati alla giustizia, io personalmente non ho ricevuto sconti di alcun tipo e come me altri qui presenti, quindi di quale assicurazione stiamo parlando? Qua a Torino e in Valle l’impunità non ha mai riguardato gli attivisti e i militanti dei movimenti.


La situazione dal mio punto di vista (e credo anche per molti imputati qui presenti), è poco chiara e pulita. Quando ogni giorno nelle ultime settimane ministri del governo in carica fanno il nome di Askatasuna, quando i nostri nomi e i nostri volti vengono sbattuti in televisione senza alcuna possibilità di contradditorio, quando chi è detentore di un chiaro potere giudiziario (e politico) ci addita pubblicamente come colpevoli senza attendere l’esito del processo di cui oltretutto è parte attiva, mi chiedo e vorrei chiedervi che fine abbia fatto la nostra presunzione di innocenza, la tutela a cui avremmo avuto diritto in un’epoca in cui i confini dell’esercizio del diritto penale si dovrebbero esercitare nel tribunale e non sulle reti mediaset o da Giletti su rai tre.


Se tutta questa attenzione e il tentativo spudorato di influenzare questo processo colpisce tanti, me sicuramente, non immagino come possa aver suggestionato voi.

 

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Attenderò quindi insieme agli altri imputati la sentenza, convinta che un’altra volta c’è stato chi ha tentato di truccare le carte, manipolare il significato delle nostre esistenze e forzare la verità cercando di imporre a questo Tribunale e alla pubblica opinione una realtà che non esiste e non esisterà mai.