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Affari&voti a sinistra: la banda del gobbo. Autostrade, ’ndrangheta e socialisti

Nella corrente dem dell’ex sindaco Fassino pezzi del vecchio Psi: da “Franchino” Froio ai Gallo padre e figlio

 

di Ettore Boffano da Il Fatto Quotidiano del 10-04-2024

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2024/04/10/affari-voti-a-inistra-la-banda-del-gobbo-autostrade-ndrangheta-socialisti/7507537/

 

C’era, nella politica sotto la Mole tra gli anni 70 e 80 del secolo scorso, uno che aveva girato sei partiti e che, di soprannome, faceva Abracadabra. E quando gli amici del Psi, l’ultimo approdo politico, lo nominavano, non mancava mai chi faceva roteare le dita di una mano, a indicare il furto. Poi, c’era il Profumiere, mago delle preferenze pronto a vantarsi di poter “eleggere persino una pompa di benzina”; c’era (e c’è ancora) il Gobbo di Notre-Dame, spiccia-faccende di gran lusso: metà agente segreto, un quarto lobbista, l’altro quarto massone. E c’era (e c’è ancora) anche chi era comunista, come il Quaiots: nome di battaglia usato, per citarlo nelle telefonate intercettate, da Adriano Zampini. Il faccendiere pentito che, nel 1983, trascinò nel baratro le giunte rosse, dopo la denuncia del sindaco comunista Diego Novelli.

 

Ma, al vertice di tutto, c’era soprattutto lui: il ras che aveva costruito l’autostrada Torino-Bardonecchia e che, attraverso la società Sitaf, contava nell’Anas, nell’impero autostradale e nella mangiatoia dei Lavori Pubblici e delle grandi opere, sotto governi di qualsiasi colore.

 

Si chiamava Franco Froio, detto Franchino, calabrese di Montauro, corrente della sinistra socialista di Giacomo Mancini: prima parlamentare e infine chiamato a risolvere la questione dell’autostrada del Frejus. In un posto, la Valle di Susa, difficilissimo: tra le resistenze dei Comuni e la presenza delle prime ’ndrine trapiantate assieme ai boss calabresi mandati al confino. Pronti a impadronirsi di edilizia, scempi del cemento, movimento terra e asfaltature.

 

Froio, poco intellettuale ma politico quasi animalesco, ci mise tutte le furbizie palesi (e non) dimostrate nel Psi torinese alla guida della “corrente calabrese” degli immigrati saliti per lavorare alla Fiat. Formidabile l’aneddoto, durante un congresso locale, secondo il quale avrebbe afferrato il foglio con la lista che rischiava di sconfiggerlo, inghiottendolo.

 

In Valle di Susa accontenterà tutti: con aiuti ai Comuni e opere di urbanizzazione, sino ad osservare molti lavori finire in mano a “quei” movimentatori di terra e a “quegli” asfaltatori. L’autostrada si fece e, con essa, anche il “superpartito autostradale”. Un’organizzazione assieme sotterranea e nello stesso tempo palese ed ecumenica: da pezzi del Pci sino all’Msi di Almirante. Pensando sempre ad affari e appalti e con molta attenzione alle preferenze elettorali. Soprattutto accogliendo come dipendenti, e con ottimi stipendi, tutti i politici subalpini di qualsiasi provenienza caduti in disgrazia nei loro partiti o lambiti dagli scandali della Tangentopoli torinese. L’elenco sarebbe lungo e molti sono già defunti, così come Froio.

 

Ed è in quella Sitaf però che approda, all’inizio degli anni 90, anche Salvatore Sasà Gallo. Da poco coinvolto in uno scandalo delle Asl, l’altro grande bacino – assieme ai trasporti locali – del potere della “corrente calabrese” del Psi. Finì anche in carcere, ma quando uscì commentò così: “Tre giorni di galera, per una vita senza problemi, sono sopportabili”. Alla Sitaf sarà direttore e infine presidente, sino al 2015. Uno che nel Psi aveva pure lui un soprannome: “Noi lo chiamavamo Mister 24 ore – racconta un antico dirigente socialista – per com’era instancabile nel raccattare tessere e consensi: alcuni buoni, altri molto discutibili”.

 

Poi, con Tangentopoli, l’impero di Froio tramonta e Gallo ne eredita in qualche modo un piccolo pezzo: certo senza le strategie e i contatti del vecchio ras, abbassandosi invece ai metodi solo straccioni e volgari che l’inchiesta di questi giorni ha raccontato.

 

Ma restando l’imbattibile padrone del consenso: per sé, per i suoi figli e per chiunque avesse bisogno di forza politica. Portandola dentro al Pd, in quella corrente che Piero Fassino non ha mai impedito che si definisse fassiniana, magari assieme a vecchi sodali ex comunisti che, come Gallo, avevano usufruito della “lavatrice” Froio per tornare all’onor del mondo.

 

Eccolo qui, dunque, il vero scandalo della Torino di questo aprile 2024: come sia stato possibile che chi sapeva, i grandi vecchi del post-comunismo, i democristiani di sinistra della ex Margherita, ma anche i più giovani leoni e le più giovani leonesse della sinistra di Cuperlo e Orlando (con un’eccezione, l’ex senatore Stefano Esposito), abbiano potuto accettare che il sistema Gallo li facesse prigionieri, senza “urlarlo dai tetti”, come direbbe il Vangelo. Qualcosa che, come i sette peccati capitali, grida vendetta al cospetto degli elettori, ben più degli stessi misfatti del piccolo ras calabrese.

 

Che nel partito diceva, e non poco, la sua. Assieme a quel Mauro Laus, ex cooperativista del settore della cultura e deputato: uno per cui Ken Loach si rifiutò di ritirare il Premio Cipputi al Torino Film Festival, accusandolo di sfruttare i lavoratori. Adesso è anche lui indagato, in un’altra inchiesta, per malversazione e nelle interviste di questi giorni trova la faccia tosta per chiedere: “Organizzare il consenso, ora, è proibito?”. Come se non ci fosse alcuna differenza tra clientelismo e, peggio ancora, voto di scambio da un lato e, dall’altro, fare politica secondo etica: per stare dalla parte buona del proprio elettorato e dei suoi problemi reali. A cominciare da quello sul futuro, nella ex capitale dell’automobile e degli Agnelli, di Stellantis e soprattutto della grande Mirafiori, che con i suoi ancora 3 milioni di metri quadri vive oggi soprattutto di cassa integrazione (da 17 anni) e di esodi incentivati per impiegati e operai.

 

Argomento che tutto il Pd, dilaniato attorno ai potentati di Gallo e di Laus che mettevano il naso ovunque, dalle primarie alle scelte del sottogoverno cittadino, ha trascurato per anni. Questa mattina, proprio a Mirafiori, arriverà l’ad di Stellantis, Carlos Tavares, per presentare un nuovo impianto sulle trasmissioni elettriche. Accanto a lui ci saranno il presidente della Regione Alberto Cirio, che si prepara a una nuova vittoria annunciata per il centrodestra alle elezioni di giugno, e il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, che nella sua maggioranza ha tre consiglieri comunali eletti dal “sistema Gallo”. Tavares potrebbe annunciare anche l’arrivo, nello storico fabbricone della ex Fiat, della produzione della 500 a motore termico-ibrido, in vista dell’abbandono della linea di montaggio in Polonia. Qualcosa che si realizzerà però solo a metà del 2026 e che i sindacati giudicano dunque un “pannicello caldo” per la lenta agonia di Mirafiori e una non risposta alle manifestazioni che, dopodomani, riporteranno dopo 15 anni i metalmeccanici nelle strade della città, in uno sciopero unitario di tutte le rappresentanze dei lavoratori.

 

L’argomento auto, nel Pd dei Gallo, riguardava però solo le vetture che, nelle domeniche d’inverno o durante la villeggiatura estiva, risalgono la Valle di Susa verso Bardonecchia, lungo i 94 chilometri dell’autostrada del Frejus e con un pedaggio di 14 euro. Quello che evitavano un gruppo di sodali di Sasà, un po’ “straccioni” e un po’ benestanti (avvocati di grido, primari ospedalieri) ai quali Mister 24 ore elargiva le tessere gratuite della Sitaf, anche ora che ha 85 anni e non ha più cariche operative.

 

Ma, come insegnava il vecchio “maestro” Froio, una preferenza (o, ancora meglio, un’appartenenza) non si butta mai via. Un po’ come si dice e si fa per il maiale. In un’immagine che bene si accosta alle abitudini e alle volgarità della “corrente delle autostrade”