Stop e addii: Terzo valico slitta al 2030?A rilento: Alt alle frese per evitare possibili crolli, lasciano 4 ingegneri. Webuild: “tempi rispettati”
di Dario Ballotta da Il Fatto Quotidiano del 11-11-2023
Pur dotata da tempo “dell’accessorio” necessario (solo in Italia) per accompagnare ogni opera pubblica, cioè un commissario straordinario, non c’è pace per il Terzo Valico. Nelle scorse settimane si è bloccata anche una seconda talpa. La prima si era fermata a giugno 2022. La terza linea ferroviaria tra Genova e Milano ha un costo stratosferico di 6,5 miliardi, interamente pubblici e affidati a Rfi (gruppo Ferrovie) quale committente dell’opera. I lavori, iniziati nel 2012 dovevano finire nel 2024, poi slittati al 2026, ma l’avanzamento è fermo al 58% e si rischia di chiudere non prima del 2030. Nessuna analisi costi-benefici ha mai giustificato quest’opera concepita nella legge Obiettivo e da sempre considerata inutile visto che da una parte il porto di Genova non ha gli spazi per un grande sviluppo del traffico merci e da Arquata Scrivia fino a Milano si resta con due binari, già congestionati.
Nel giugno 2022 il fronte di scavo sotto l’Appennino nella canna pari della linea, in direzione Genova, aveva bloccato la fresa meccanica (Tbm): il materiale si era rivelato troppo friabile e lo scavo era diventato critico. La talpa in azione nella canna dispari era stata fermata invece per precauzione. Successivamente il Cociv – il consorzio costruttore capitanato da Webuild – ha fatto sondare il terreno sopra il futuro tunnel, a Voltaggio, decidendo, a inizio 2023, che l’attività poteva riprendere nella canna dispari con una serie di cautele. La talpa meccanica utilizzata nel binario pari, invece, era stata smontata per riadattare la fresa ma non è mai ripartita. I lavoratori sono stati trasferiti in altri cantieri poiché entrambe le talpe meccaniche sono di nuovo bloccate.
Alla tegola del fermo lavori se ne aggiungono altre. Nei giorni scorsi si è dimesso il direttore generale del Consorzio. Secondo Trasporto Europa, avrebbero dato le dimissioni altri quattro ingeneri impegnati sui cantieri, fra cui il capo dell’armamento, il responsabile delle tecnologie e il capo delle costruzioni. A fine ottobre Amplia infrastructures (ex Pavimental) del gruppo Aspi aveva invece disdetto il contratto per il lotto 5 Fegino-Pontedecimo.
Di solito, quando si verifica una fuga di massa da un cantiere è perché i manager operativi non si riconoscono in scelte di progetto, magari imponendo l’unica tecnologia (la talpa) che avrebbe potuto garantire i tempi dei lavori, mentre forse per la natura geologica dei luoghi sarebbe servita una tecnica di scavo normale è più lenta e forse i vertici operativi non vogliono fare i capri espiatori. Contattata dal Fatto, Webuild conferma che gli imprevisti geologici sulle due tratte hanno portato alla conversione dei cantieri in scavi tradizionali con il relativo smontaggio delle frese, ma che questo non influenzerà la scadenza dei lavori, che resta nel 2026 (“la percentuale di scavo è all’86%”). Quanto alle dimissioni, si tratterebbe di normale “turn over” in cui le “risorse sono valorizzate con promozioni e spostamenti in altri cantieri”.
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