Cassazione, Stato assolto e boss prescritti: Cosa Nostra trattò, ma da solaNIENTE APPELLO BIS - Respinte in toto le richieste della Procura generale. Gli ex Ros non commisero il fatto, per Bagarella e Cinà reato riqualificato
di Saul Caia e Antonella Mascali da Il Fatto Quotidiano del 28-04-2023
Pietra tombale della Cassazione sul pezzo di verità mancante in merito alla stagione delle stragi politico-mafiose. La trattativa Stato-Cosa Nostra non avrà alcun responsabile, neppure mafioso. I giudici della Suprema Corte, ieri, hanno assolto gli ex vertici del Ros dei carabinieri, i generali Mario Mori e Antonio Subranni, l’ufficiale Giuseppe De Donno, l’ex braccio destro e ideologo di Forza Italia, Marcello Dell’Utri. Grazie alla prescrizione se la caveranno anche i mafiosi, il boss Leoluca Bagarella e il medico Antonio Cinà condannati, invece, in primo grado e in appello.
Le motivazioni chiariranno la sentenza, ma già dal dispositivo sembra di capire che la Cassazione sia andata oltre i giudici d’appello di Palermo, secondo i quali la trattativa ci fu, ma i rappresentanti dell’Arma non commisero un reato, i mafiosi sì. La Cassazione, infatti, ha annullato senza rinvio le assoluzioni in appello degli ex Ros “perché il fatto non costituisce reato” e li ha assolti, invece, ”per non aver commesso il fatto” mentre ha dichiarato prescritto il reato contestato a Bagarella e Cinà, avendo riqualificato la contestazione di violenza e minaccia a corpo politico dello Stato, in “tentativo”. Quindi, stando al dispositivo, sembrerebbe che per la Cassazione non ci fu una trattativa Stato-mafia, ma solo un tentativo da parte di Cosa Nostra andato a vuoto di far arrivare ai politici “papello” e minacce. Per Dell’Utri, la Cassazione ha confermato l’assoluzione in appello “per non aver commesso il fatto”. Secondo la Corte di Assise di Appello di Palermo, presieduta da Angelo Pellino, il Ros intraprese una “improvvida iniziativa” nel “prodigarsi per aprire un canale di comunicazione con Cosa Nostra”, tramite l’ex sindaco Dc di Palermo, Vito Ciancimino, “finalizzato alla cessazione delle stragi”. I carabinieri sarebbero stati “mossi da fini solidaristici”, per “la salvaguardia dell’incolumità dello Stato”. Su Dell’Utri invece, scrissero che “non si ha prova” che “abbia portato a termine quel progetto ricattatorio-minaccioso” nei confronti dello Stato, e quindi dell’“ultimo miglio” della comunicazione all’ex premier Berlusconi.
La procura generale della Cassazione, rappresentata dall’avvocato generale Fimiani e dai sostituti pg Epidendio e Molino, aveva chiesto la conferma dell’assoluzione per Dell’Utri e un nuovo processo di Appello, invece, per Mori, Subranni e De Donno “limitatamente alla minaccia nei confronti dei governi Amato e Ciampi”, così come per Bagarella, condannato in appello a 27 anni e per il medico Cinà, condannato a 12 anni. La Pg aveva sostenuto che le accuse non erano dimostrate “oltre ogni ragionevole dubbio” dato che “descrive la trattativa negli anni, ma non fa una precisa ricostruzione della minaccia al governo”. Con un nuovo appello, respinto ieri dalla Cassazione, sarebbe stato “decisivo stabilire cosa sia stato detto precisamente al ministro (Conso, ndr): un conto è essere stato messo a conoscenza di una spaccatura all’interno di Cosa nostra che abbia determinato il ministro ad assumere autonomamente” l’annullamento di 41 bis, “nella speranza di interrompere la stagione delle stragi, altro è rappresentare al ministro stesso che Cosa Nostra si era dimostrata disponibile a interrompere l’azione stragista in caso di ‘segnali di distensione’ quali appunto la mancata proroga di un cospicuo numero di 41 bis”.
In Cassazione si era arrivati in virtù del ricorso della Procura generale di Palermo promosso dai magistrati Lia Sava, Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, i quali ritenevano che gli ufficiali dell’Arma “agirono consapevolmente”, mentre Dell’Utri non avrebbe “tenuto per sé il messaggio ricattatorio dei vertici mafiosi”.
Due gradi di giudizio, appello e Cassazione che hanno ribaltato la pianta accusatoria del pool della Procura di Palermo formato da Nino Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, e che era stata accolta della Corte d’Assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto il 20 aprile 2018. I giudici ritenevano fondata la trattativa, condannando Mori e Subranni a 12 anni e De Donno a 8 anni. Dell’Utri, condannato a 12 anni, avrebbe “riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l’associazione mafiosa Cosa Nostra mediati da Vittorio Mangano”, lo stalliere di Arcore.
“Questo processo non doveva neanche cominciare”, ha detto Francesco Centonze legale di Dell’Utri. “Sono sempre stato convinto della mia innocenza”, ha commentato Mori.
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