vai alla home page

Bookmark and Share

 

Emilio il pescivendolo

(traduzione di un'intervista ad Emilio condotta nell'Aprile 2015 dal collettivo Mauvaise Troupe)

 

da Infoaut.org del 21-05-2023

https://www.infoaut.org/crisi-climatica/emilio-il-pescivendolo

 

Emilio, 60 anni, è un autogol che l’istituzione ha segnato contro la sua stessa parte, è il colpo mancato del 3 luglio 2011, un uomo che i gas lacrimogeni hanno ribaltato, nell’arco di un respiro soffocante.

Ci racconta questa vita precedente, attraverso lo stigma della sua vita da “ectoplasma”. Un’esistenza fatta di calcio, televisione e apparenze. Poi ci racconta il giorno dell’improvviso cambio, con le parole delle sue viscere; con gli occhi accesi, descrive la sua trasformazione in un No TAV “stagionato”, che ha ormai fuso la sua vita quotidiana con la lotta della sua valle. Tra un mercato e l’altro, porta la sua “bocca larga” in giro per l’Italia, per praticare la sua specialità: parlare con ardore della determinazione dei valsusini, far sentire la loro rabbia con l’enfasi che fa venire le lacrime agli occhi. Le lotte popolari sono fatte di questi bivi, di questi imprevisti, di questi personaggi colorati le cui parole colpiscono il cuore: “Il movimento è impossibile da battere perché ci sono tutti i tipi di persone, ci sono i pacifici, i cattolici, gli stagionati, gli intellettuali, capisci? C’è la gente”.

 

La DIGOS mi ha detto: “Ma che ci fai con i No TAV? Hai una bella macchina”. Questo significa che sono lì per difendere i ricchi. E la prova è che il cantiere è militarizzato, costa 100.000 euro al giorno, e a pagare è la comunità. Lo hanno reso un “sito strategico di interesse nazionale”. All’interno del cantiere c’è il corpo dei cacciatori sardi e calabresi – è un corpo speciale che combatte i sequestratori in Calabria, perché una delle strategie della ‘Ndrangheta è quella di rapire persone – ci sono i celerini, i carabinieri, la polizia e la guardia di finanza. Manca solo la Marina, perché la valle non è navigabile! È la loro zona rossa, con il suo cancello, i suoi posti di blocco dove controllano tutto ciò che entra e che esce, le targhe…

 

A dicembre ho comprato questa macchina, una bella macchina che rappresenta la borghesia, e con i miei mezzi mi sono vestito bene – perché di solito il mio look è quello dei giovani, ho già chiesto loro di perdonarmi, i giovani dei centri sociali, questo è importante, perché qualche anno fa ero come vuole il sistema, Ero come il sistema vuole che io sia, facevo il mio lavoro, pensavo di fare bene perché non facevo male a nessuno, leggevo il giornale e pensavo che fosse la verità perché era scritto da giornalisti e i giornalisti dicono la verità, ascoltavo i politici e pensavo: “Madonna, queste sono le persone più etiche che abbiamo, se lo dicono loro è perfetto”. ” Sapevo tutto del calcio, dei campionati, non solo i gol, ma anche i nomi dei presentatori televisivi, quindi ero così. E mi avevano fatto credere che i giovani dei centri sociali fossero terribili, sporchi e cattivi. Per fortuna sono uscito in strada, sono entrato in contatto con questi giovani, e ho capito, mi sono aperto, ho dovuto abbandonare i luoghi comuni secondo cui la politica era etica, i giornalisti scrivevano la verità, e sono diventato una “damigiana” molotov. Perché la mia idea è questa: combattere. Sono diventata No TAV perché ho vissuto le emozioni della situazione sul campo, e lì ti rendi conto che siamo nel giusto, per questo ti stavo raccontando questa storia, perché sono entrata nel cantiere di notte e ho tagliato le reti, ho fatto i cortei di 80.000 persone, ho fatto informazione in tutta Italia, ho fatto ore di preghiera mano nella mano con i cattolici, tutto, capite, ho preso le cariche, i colpi di manganello.

 

Ma questa storia dell’auto è molto seria, perché per loro io sono damigiana Molotov, quella che rappresenta i duri. Il movimento è impossibile da battere perché c’è tutto, c’è il pacifico, il cattolico, l’indurito, l’intellettuale, capisci? C’è il popolo. E c’è anche un’anima del movimento più dura al suo interno, sanno che io rappresento questo… diciamo gruppo, quindi mi è bastato prendere la mia macchina nuova, che loro non conoscevano, mi sono vestito bene, mi sono messo gli occhialini – non lo dico ma mi servono gli occhialini per guardare la televisione – sono andato al cantiere, alla loro zona invalicabile, al posto di blocco, alla zona rossa, al capo della postazione, al vice capo della postazione, al capo della sicurezza, perché questi 100.000 euro li devono giustificare dicendo che siamo terroristi e che loro sono lì per difendere il cantiere. Quando sono arrivato, c’erano già dei giovani che portavano il tavolo per l’aperitivo del venerdì sera, non mi hanno riconosciuto perché non sapevano che macchina avessi, che avessi la camicia, ecc. Quando sono arrivato al cancello, i giovani mi hanno insultato, a dire il vero ho sentito: “Stronzo, non preoccuparti, ti paghiamo il macchinone”. Mi sono messo a ridere, perché avevo visto chi c’era, e mi sono detto che quando sarei uscito, se fossi uscito, avrei inveito contro quelli che mi avevano insultato! Ho acceso i fari, i poliziotti mi hanno aperto la porta, si sono spintonati a vicenda e sono entrato nel cantiere. Sono entrato per due chilometri! Quando sono arrivato lassù mi hanno fermato, sono arrivati i blindati, perché evidentemente da lassù hanno visto questa macchina, e si sono detti: “Ma chi è, non aspettiamo nessuno”, e hanno chiesto agli altri chi fosse e loro hanno risposto: “Non abbiamo controllato, è un 4×4, pensavamo fosse l’ingegnere”. Quando hanno scoperto che ero io, quello che stava controllando ha detto: “Ma che cazzo, come facciamo a giustificare che c’è una damigiana lì dentro e che siamo stati noi a portarla? Hanno cercato di coprire la cosa. Ma tra loro era un casino. Quindi, per coprire la cosa, hanno detto: “Se lo facciamo uscire senza fare troppo rumore, sarà meglio per noi…”. Se questa cosa viene fuori nel loro ambiente… È uscito su due giornali: “Un attivista No TAV è entrato nel cantiere”, come se fosse una cosa naturale. Così, quando il senatore a cinque stelle della valle ha letto questo, ha fatto questa domanda all’assemblea, dicendo che questi militari sono inutili. È anche la prova che un attivista, se si veste bene, può violare la zona rossa ed entrare nel cantiere, poteva essere un terrorista con una bomba per minare il loro tunnel!

 

Ma io sapevo già che erano senza cervello, perché quest’estate, e anche l’estate precedente, sono andato in cantiere con il mio furgone, quello che uso per lavorare, insieme a mia moglie. Le ho detto: “Marinella, ora ti faccio vedere una cosa che non crederai mai”. Sono arrivato davanti al cantiere e ho chiesto informazioni ai carabinieri, come se mi fossi perso: “Mi scusi, ho bisogno di un’informazione, mi può dire, mi hanno detto che c’era una scorciatoia, un tunnel per andare in Francia, mi può dire dov’è? E sa cosa mi hanno detto questi soldati? “A dire la verità, non so nulla di questa strada, di questo tunnel, di questa scorciatoia per la Francia. Mi sono rivolto a mia moglie e le ho detto: “Hai visto questo dialogo”. Allora questi giovani militari mi dissero: “Aspetta un attimo, chiediamo ai nostri colleghi, perché siamo qui da poco tempo, ma loro devono sapere”, chiesero agli altri militari, erano dieci o quindici: “Sai, il signore dice che c’è una strada per la Francia, una scorciatoia, un tunnel”, e tutti questi militari dissero: “Non lo so, non lo so proprio, lo sai? Guardo mia moglie: “Hai visto che livello, non capiscono nemmeno che li sto prendendo per il culo”. Allora ho detto loro: “Non siete nemmeno un ufficio informazioni, siete davvero inutili! Poi hanno capito che li stavo prendendo in giro, perché ho fatto marcia indietro e sono entrato nel campeggio No TAV proprio davanti alla centrale. Si sono sentiti presi in giro.

 

Un giorno, dopo questa storia, è venuta una giornalista a fare un’intervista, nel bosco, di notte. Mi fece una domanda molto interessante: “Ma come hai fatto a diventare un No TAV, non sei nato No TAV? E la mia risposta è stata: è stato perché stavo partecipando a una manifestazione organizzata, autorizzata, è un diritto costituzionale partecipare a una manifestazione, e non ci avrei mai creduto se non l’avessi visto con i miei occhi. Ero accanto a mia moglie, avevamo le mani alzate in questo modo, tutta la polizia era schierata davanti alle loro jeep. Ero andato lì per vedere questa militarizzazione. Io, mia moglie e mio nipote eravamo in prima fila a guardare e ho pensato: “Cosa diavolo è questo cantiere con tutti questi poliziotti! Quattro giovani si sono avvicinati ai cancelli gridando slogan: “Giù le mani dalla valle”, “Tornate a casa”, “Schiavi dello Stato”. Non hanno messo fisicamente in pericolo la polizia, erano slogan, ma hanno attaccato con i cannoni ad acqua per allontanare i giovani dal cancello.

 

Mia moglie, che è tutta la mia vita, è una donna molto forte, ma ha un problema, è asmatica, deve prendere il ventolin e io, che mi sento così forte, pensavo di morire, perché quando hanno gettato l’acqua sui giovani, mia moglie ha detto: “Scappiamo, ci stanno gasando”, e ci hanno sparato addosso, ad altezza d’uomo, come un colpo di pistola. C’è stato un boom, ci stavano colpendo. Non avevo mai visto il CS, il gas, è stata la prima volta, tre anni fa, il 3 luglio 2011. Ero in questa nube di gas, l’ho respirata, ho preso fiato e ho pensato davvero: non spero nemmeno di salvarmi, ma di morire subito. Allora sono scappato per prendere aria, ho fatto qualche passo e mi sono vergognato di esistere, perché ho pensato: “Cazzo, ma dove sto andando c’è mia moglie e non posso più vederla”. Allora ho pensato: “Se io mi sento forte, mi sento così male, come deve sentirsi mia moglie? Così non sono più scappato, l’ho cercata in quella nuvola bianca e l’ho trovata a terra, che vomitava, e questo mi ha fatto venire una tale rabbia che se avessi avuto una bomba così grande l’avrei lanciata contro di loro e contro di me. Così dopo ho tirato tutte le pietre che c’erano in Clarea, finché la spalla non mi faceva troppo male. Rabbia, capite. Poi ho capito a cosa servivano le pietre, erano per loro, per giustificare la loro militarizzazione, e noi siamo i terroristi. Quando sono arrivato a casa la sera, mia suocera ci ha detto che eravamo dei piccoli delinquenti perché avevamo tirato delle pietre alla polizia. Mia moglie le ha detto: “Mamma, ho rischiato di morire, non abbiamo fatto nulla, la polizia ci ha sparato”. Nella mia vita ho pensato che se un giorno qualcuno mi avesse sparato sarebbe stato un mafioso, un criminale. Ma la polizia… Pensavo che la polizia ci difendesse dal crimine, che fosse pagata per questo. E invece no, ora la polizia mi ha sparato, una certezza è venuta meno e da quel giorno ho capito che c’è qualcosa di sbagliato in questo sistema. Ho aperto gli occhi e sono uscito da questo grande teatro che il sistema costruisce. Ho potuto farlo perché sono sceso in strada. I No TAV sono la parte più pulita dell’Italia, non perché siamo No TAV, ma perché siamo contro il sistema di mercato che organizza tutto questo. E daremo il nostro sostegno a tutti coloro che inizieranno una lotta.

 

Non è troppo difficile combinare la lotta No TAV con il lavoro sui mercati?

Mi spiego meglio. È chiaro che abbiamo una vita personale, ma tutte le mie risorse fisiche e mentali sono utilizzate in egual misura per sfamare la mia famiglia e per aiutare le persone, e il mio impegno è quello di combattere questa cosa per un motivo molto semplice: perché sto curando il cancro. Sono stato operato nel 2014 e mi hanno trovato il cancro, ma sono un vero cinghiale, sono inarrestabile, per uccidermi dovranno spararmi a pallettoni. Anche mia moglie, nel 2013, ha avuto un tumore. Ma in famiglia siamo in tre: io, mia moglie e nostra figlia di 28 anni. Se vogliono che si ammali anche lei per poter contare, che me lo dicano. Stanno spostando milioni di metri cubi di materiale di riempimento che contiene quelli che noi chiamiamo materiali problematici (c’è amianto dentro, tutto) e solo per un piccolo tunnel esplorativo. Dicono di non aver trovato nulla di pericoloso, ma io non mi fido più dei dati del governo, perché mentono sui parametri, su tutto, non si vergognano di nulla. Quindi sono un padre che sta difendendo la salute di sua figlia, e non mi arrenderò mai, perché tutte le mie risorse di tempo, di perseveranza, le dedico a questo, non guardo più la TV, non mi interessa più il calcio, non ho più Sky, perché ormai faccio parte del movimento, Non sono più solo un No TAV, sono di più, ed è una vittoria se oggi convinco una persona e riesco ad aprirle gli occhi facendo del catechismo, perché riusciremo a svegliare i dormienti, ma non abbiamo i media, la TV, i giornali, quindi dedico tutte le mie risorse al movimento. Ma non si tratta di fermare la Torino-Lione, perché questo progetto tutti hanno già capito che si tratta di una truffa.

 

Immaginate un cantiere di milioni di metri cubi che dura vent’anni con camion che vanno avanti e indietro a spostare questo materiale di riempimento in una valle che ha già problemi di tumori. Abbiamo un’alta percentuale di tumori, perché questa montagna contiene amianto, è una montagna di amianto. Negli anni ’50 siamo diventati esportatori di amianto, oggi sappiamo che è pericoloso, quindi con l’azione del vento non è più questa zona sana che immaginavamo prima, ma noi ci viviamo, quindi diciamo: “Non trivellate o sarà peggio”. A loro non interessa, è per gli affari, gli affari della ‘Ndrangheta. Sono loro che sono specializzati nello spostamento di terra, e qui dobbiamo spostare 3 milioni di metri cubi di terra…

 

“Presidio” non ha una traduzione in francese, puoi spiegare cos’è?

Il presidio è importante, perché è un luogo di riferimento per incontrarsi. Quando hanno bruciato il terzo presidio, eravamo tutti dispiaciuti e ho detto: “I presìdi servono per avere un tetto sulla testa, ma i veri presìdi sono nel nostro cuore, ovunque siamo è un presidio. Un presidio è un bosco, un castagno, perché il presidio siamo noi. E se pensavano di eliminarci bruciando i presìdi, hanno sbagliato strategia. Se vogliono eliminare il movimento, devono bruciare noi, il popolo, non i presìdi, con il napalm. Un presidio va bene se si vuole fare festa, mangiare, ma il vero presidio non deve avere una casa, non deve avere un indirizzo, il presidio siamo noi quattro, lì, ovunque siamo, se abbiamo un cuore che batte e siamo contro il sistema. Il presidio è il cielo, siamo noi, e il presidio sparirà se sparirà la nostra voglia di continuare a lottare. Perché a cosa servono i presìdi se non si ha un cuore vero che ha voglia di continuare a battere? Non possiamo pretendere di essere tutti coraggiosi, i migliori di noi sono forse i pacifisti, li apprezzo tutti così come sono, ma non mi hanno convinto. Ma non giudico, come nessuno dovrebbe giudicare, dico: “Non mi arrabbio con voi, ci sono situazioni in cui abbiamo bisogno di persone, ma non vi arrabbiate nemmeno con noi se facciamo cose più difficili”. Se decidiamo di fare pressione vera, chiaramente non vedremo i pacifisti, quindi non vi giudico, non giudicate noi.

 

Le dinamiche umane sono molto complicate, ma l’unico problema che abbiamo avuto nel movimento è stata una lotta tra due gruppi. Sono molto arrabbiato per questa situazione, perché il movimento sta cercando di distruggere il sistema che, con tutte le sue forze, non è riuscito a sconfiggerci. Ma noi possiamo distruggerci dall’interno. Ci sono state discussioni tra autonomi e anarchici, e io mi trovo nel mezzo, perché qualche anno fa non ero niente, ero un ectoplasma, un fantasma. Quindi oggi cosa sono? Un attivista No TAV, ma non solo No TAV, contro il sistema, sempre. Ma quando faccio delle cose, come una marcia pacifica o un assalto al cantiere, facciamo un appello, se voi tre venite, non voglio sapere se siete anarchici o autonomi – beh, non vorrei essere accanto a un fascista – per me non importa se siete l’uno o l’altro, stiamo facendo qualcosa insieme. Al contrario, loro, per un’ostilità di appartenenza, per un gruppo… È un errore perché il sistema ha bisogno di questa divisione. E una discussione che si potrebbe risolvere in una riunione, faccia a faccia, con Internet provoca un cataclisma. È iniziato con un’azione: c’è stato un gruppo a Bologna che ha dato fuoco ai cavi, alle fibre ottiche, e questo ha creato un po’ di scalpore. In seguito, un altro gruppo, che non si è dichiarato coinvolto, ha detto: “Avete fatto un danno perché è il periodo natalizio, la linea dei pendolari è stata bloccata e molta gente ha avuto problemi a spostarsi”. Gli anarchici, invece, sostengono sempre il sabotaggio. E questi due gruppi si sono punzecchiati a vicenda su questa azione: “Avresti dovuto farlo, non avresti dovuto farlo, ecc. Ma se dicessimo che il sabotaggio è una forma civile di protesta – e ci sono voluti due anni per dirlo – senza danneggiare esseri viventi, e un essere vivente significa anche un topolino, siamo ecologisti, siamo difensori degli animali, ma un camion può essere bruciato, colpendo l’alta velocità, possiamo farlo, se qualcuno lo ha fatto e ha sbagliato i tempi, è perdonabile.

 

Quando ho fatto un intervento in assemblea, ho detto: “Sono incazzato nero con quelli che hanno fatto questo sabotaggio a Bologna, perché non mi hanno chiamato, hanno fatto una cosa bellissima e non mi hanno detto di venire a farla con loro!”. Era un modo per dire: “Oh, ma che mi importa chi è stato, quello che mi dà fastidio è che per una cosa così bella non mi hanno invitato!”. Ho dovuto parlare con le persone di Aska: “Ma smettetela di criticare questa azione!”. Solo che tutto questo era su internet, queste dispute tra autonomi e anarchici, e hanno portato nel movimento No TAV i loro litigi che sono sempre esistiti. Non dobbiamo litigare all’interno del movimento, il movimento è molto più grande delle miserie umane, è un errore molto grave. Ma se non lo capiscono, perché si sentono più belli appartenendo a questo gruppo, no! Per me, se le persone sono belle, lo si giudica dal loro comportamento, non dalla loro appartenenza a un gruppo. Bisogna liberarsi di queste dinamiche di appartenenza a gruppi che sono in conflitto tra loro. Perché devi dimostrare, tu come persona fisica e unica, se sei una bella persona, dalla tua generosità, eccetera, non perché appartieni a un gruppo. Non mi interessa se fai parte di un gruppo! Perché davanti alla polizia ci saranno persone belle e anche persone di merda. Era un po’ fastidioso, era noioso. Ora non mi interessa chi ha ragione e chi ha torto, non importa. Beh, perché siamo due vecchie capre, ci sbattiamo la testa a vicenda, e per un po’ di stronzate potremmo finire per prendere strade diverse, perché io non faccio un passo avanti, e tu non fai un passo avanti, e per un po’ di stronzate smettiamo di stare insieme e di essere una forza. Tutti vanno a casa. Non è giusto. Quindi, se so di avere ragione, sta a me fare un passo avanti, dire: “Perdonatemi, non ci siamo capiti”, questo è quello che dovrebbero fare le persone con un po’ di buon senso. Perché se è “o questo o niente”, i fascisti sono così, CasaPound. Ma queste sono dinamiche di merda che fanno parte del popolo. Una cosa è certa, se si vuole minare un sistema di mercato, bisogna lottare, e bisogna creare un collante che è l’affetto, quando interagisco con le persone, devo imparare a volergli bene.

 

Se si riesce a creare questo… Come me nel mio gruppo, sento che siamo una potenza militare, anche se non abbiamo armi, le nostre armi siamo noi, la nostra convinzione. I miei compagni, so che se avessi bisogno di loro, arriverebbero subito come io farei con loro. Il mio gruppo è questo. Non è un gruppo, è organizzarsi facilmente. Per esempio, la prossima settimana c’è una chiamata per andare al nostro presidio, che non è proprio un presidio, è un grande castagno centenario, le nostre sedie sono tronchi che abbiamo trovato e messo intorno, al centro c’è una grande pietra dove possiamo fare un fuoco, e possiamo stare per due o tre giorni, con un sacco a pelo, sopra il sito. Si chiama “L’inospitale”. Questo è il mio presidio, quello che mi piace, perché siamo vicini al cantiere, ed è la dimostrazione che faremo sempre pressione sul cantiere. Perché la nostra forza non è militare, non vogliamo giocare a chi ce l’ha più grosso o più lungo con l’esercito. La nostra forza è la perseveranza, la continuità, il non fare un passo indietro. Pensano che torneremo a casa grazie all’esercito, alla “pacificazione”, e non hanno capito nulla. Come se noi, questi anni di lotta, potessimo venderli a 120.000 euro! E dicono: “Pagate questa cifra per il processo dei 53, noi ci ritiriamo come parte civile, ma voi andate a casa, il movimento è finito”. La risposta immediata è: “Mettetevi in testa che dovrete sopportarci per il resto della vostra vita, perché stiamo insegnando ai nostri figli a lottare”. Questa è una risposta

 

Come vi rapportate con tua figlia, le avete dato un’educazione No TAV?

Mia figlia è la mia vita, ma è un prodotto della società moderna, perché io ho avuto questa consapevolezza non molto tempo fa, non sono stato un attivista per vent’anni… Quindi lei è ancora il prodotto di quello che ero prima, ha già iniziato a capire, ma è difficile togliere 25 anni di vita. È arrivata a Miss Italia perché è una bella ragazza, lavora per la Juventus, allo stadio, fa la hostess. È un lavoro pulito, morale, ma nel modo dell’apparire. I celerini vengono allo stadio a fare il servizio d’ordine, e sanno che è mia figlia, la figlia di damigiana molotov, e la settimana scorsa, quando l’hanno vista con la tuta grigia della Juventus, sistemando le persone, uno di loro le ha detto: “Avane, tuo padre ci ha fatto fare la figura dei fessi a Chiomonte!”. Era uno di quelli che erano lì quando sono entrato nel cortile con la mia macchina. Ma mia figlia non lo sapeva, così quando tornò a casa mi disse: “Papà, cosa è successo? Mi hanno detto che mio padre li aveva fatti passare per idioti.

 

Ieri sera all’aperitivo c’era il capo della DIGOS, quello che un giorno mi ha dato un calcio mentre ero a terra a fare resistenza passiva. Di solito dovrebbero trasportarti più in là, non darti un calcio. Così ieri gli ho detto: “Tu non sei un uomo, perché se fossi un uomo ti renderesti conto delle tue responsabilità, perché nemmeno un cane viene preso a calci”. Lui mi ha detto: “Non è vero che ti ho dato un calcio”. Allora gli ho detto: “Anche tu sei un bugiardo”. E poi mi ha detto: “Sto presentando una denuncia per diffamazione”. Gli ho risposto: “È un onore per lei presentare una denuncia contro di me. Presenterà la sua denuncia, ma ne ho già sette, quindi sarà un numero pari.

 

Perché hai queste accuse?

Il motivo è che non sono più un giovane, non posso scappare velocemente, e mi hanno preso. I giovani erano andati sull’autostrada a Chianocco, non era coordinato, era dopo la condanna dei 53. Ma quella sera non dovevamo bloccare perché era anche il momento del processo ai quattro giovani, e gli avvocati avevano detto: “Non fate casino perché chiederemo gli arresti domiciliari”. L’idea era quella, ma sapete com’è, nelle lotte popolari non abbiamo un generale che ci dice: “Non lo facciamo”, siamo tutti generali e tutti soldati. Quindi può capitare un’azione spontanea, qualche giovane, un po’ più intraprendente, si defila e fa qualcosa. Così mi sono trovato con i giovani che stavano scappando, ma sono arrivati due gruppi di poliziotti che hanno sbattuto gli scudi, gli altri se ne sono andati in fretta, questi sono ventenni, corrono come lepri! Io ero sulla rampa di accesso in alto e sento “Andiamo, andiamo! Davanti a me avevo sette o otto metri di spazio e dietro di me la polizia. C’era un cancello con un prato dietro, era alto e non era attaccato bene in cima, quando lo afferravi si piegava e non potevi salire. Così ho cercato di passare sotto, ma il cancello è fatto in modo da impedire il passaggio dei cinghiali, con il cemento. Per fortuna avevo una giacca spessa, mi sono coperto il viso e quando mi hanno colpito con il manganello, questo ha attutito un po’ il colpo. Ma cosa avevo fatto? Niente, avevo guardato i giovani per capire cosa stava succedendo. Quel giorno sono tornato a casa con l’accusa di “resistenza aggravata a pubblico ufficiale”. Dov’è la resistenza? Ho solo protetto il mio viso, questa è resistenza? Poi “esplosione e incendio”, perché i giovani avevano dei petardi, e poi altri tre motivi. Questo è un teatro di repressione. Il giorno in cui andrò davanti al giudice, il mio discorso sarà questo: “Non chiedo clemenza, chiedo solo giustizia, quindi fate presto a fare questo teatrino della Madonna perché vorrei andare via il prima possibile perché ho un altro blocco stradale da fare”.

 

Quel giorno mi hanno preso perché non riuscivo a correre abbastanza velocemente. Ma la pazienza ha un limite, il limite delle tue gambe, ma l’importante è che tu non perda la voglia di continuare a fare le cose. Perché è certo che se ci si spaventa e non si resiste più attivamente, ma solo passivamente, il movimento perde la sua forza. Quindi purtroppo le denunce arriveranno ancora, questo è sicuro, e io, per carattere, non voglio delegare le azioni agli altri, voglio essere presente, e tutti dovrebbero essere così, perché se non abbiamo paura di essere accusati, non possono accusarci, se siamo in tanti davanti al loro sistema di repressione, come possono fare ad arrestare mille persone in una notte? Dove le mettono? Con quali accuse? Ne vogliono dieci, venti, ma se sono mille… La forza del movimento è non avere paura di andare dal violino, perché più si è, più si è una forza, e più hanno difficoltà a giustificare questa repressione di massa di fronte all’opinione pubblica.

 

Ma non avete paura per la vostra casa o per la vostra bella macchina?

Ti dico una cosa: se un giorno cercheranno di prendermi la casa, l’ho già detto in assemblea dove so che la prefettura ci ascolta, mi chiamo Emilio, sono registrato all’ufficio delle imposte, non sono in incognito, quello che ho detto nella mia vita lo mantengo, sempre, nel bene e nel male, se pensano di venire a prendermi la casa, lo dichiarerò alla stampa, se verranno nel cortile a prendersi la proprietà non mi nasconderò nell’oscurità. Poi andrò in prigione a testa alta, perché morirei di vergogna se andassi in prigione per aver rubato dei soldi a un’anziana signora, ma per difendere i propri ideali bisogna lottare fino all’estremo. Quindi penso che la casa sia un diritto costituzionale, la mia casa, l’ho costruita con il frutto del mio lavoro, è il tetto di mia figlia, se pensano di poter fare questa oppressione a me, si sbagliano. Perché sì, prenderanno la casa, ma io prenderò una pistola, e chi entra nel cortile è avvertito, pagherà per tutti. Altrimenti siamo nelle mani di questo sistema mercantile. Non posso permetterlo.

 

In una lotta dura, senza paura, bisogna lottare anche per questi principi. Loro hanno le armi dell’oppressione, e se vogliono prendersi la mia casa, non chiederò al movimento di pagarmi le spese, l’ho già detto, sono contrario a raccogliere soldi per pagare lo Stato che si dichiara parte civile, ma do il mio appoggio a chi la pensa diversamente. Non sono d’accordo, ma mi sta bene questa raccolta fondi, comunque ho detto la mia idea, se i nostri protagonisti della Resistenza sapessero che stiamo raccogliendo soldi per pagare lo Stato, si rivolterebbero nella tomba. Ma se l’idea è che dobbiamo percorrere la strada burocratica, legale, allora facciamo la raccolta fondi, io darò una mano. D’altra parte, se dovessi averne bisogno, non prenderei un solo euro da questo fondo comune, perché le mie responsabilità sono solo mie, come individuo. La solidarietà è già molto importante per il semplice fatto di non sentirsi soli, c’è una comunità molto aggregata che vale già un patrimonio, siamo il futuro. Come comunità penso che sia il futuro, perché se questo Paese fa default come la Grecia, noi siamo già avanti rispetto al disastro economico, perché siamo una comunità, ci sosteniamo a vicenda, non lasciamo indietro nessuno. I nostri presìdi, i campeggi… c’è già questa forma di aggregazione, di sostegno. È un patrimonio, perché penso a tutte quelle persone con i loro piccoli stipendi, le loro piccole pensioni, e che non sostengono la lotta, se il sistema crolla, si troveranno disperati senza alcun sostegno, perché se non hanno parlato con il loro vicino, il giorno in cui hanno bisogno e vanno a suonare il suo campanello per chiedere aiuto, si troveranno davanti una porta chiusa. Noi ci stiamo già provando, perché sappiamo come condividere le nostre piccole risorse, sappiamo come coesistere.

 

Ci sono state discussioni nel movimento sul pagamento delle multe?

Sì, ci sono state idee diverse, alcuni hanno chiesto di non pagare ma di fare servizi sociali, ma non è possibile. Poi gli anarchici non vogliono pagare perché sono soldi che vanno alla polizia. Appena cadono, appena si fanno male da qualche parte, dicono che siamo noi a far loro del male, è per fare soldi, e i manifestanti arrestati devono pagare questi poliziotti “feriti”, quindi gli anarchici sono contrari. Ma gli autonomi dicono che non possiamo lasciare indietro le persone, perché le multe devono essere pagate collettivamente nei gruppi. Se non si paga, si mettono in difficoltà gli altri. Abbiamo pensato che fosse giusto aiutare le persone che hanno qualcosa da perdere e devono pagare o perdere la casa, ma come possiamo aiutarle se non pagando la multa? Quindi il movimento si sta interrogando, abbiamo già fatto quattro o cinque assemblee, ma non abbiamo ancora deciso.

 

Per il momento diciamo che pagheremo e abbiamo tempo, ma se dovessero davvero prendere le case delle persone, cercheremmo i soldi, lo abbiamo già fatto. C’è già stata una raccolta fondi, forse 300.000 euro, per Alberto, un sindaco e un terzo, è stato bello vedere questa solidarietà, non nazionale ma internazionale. Ci sono persone che hanno inviato dieci euro dall’altra parte dell’oceano. Stasera non mangio la pizza, do questi soldi, vuol dire che sono dieci euro di qualcuno che ha problemi, non sono mille euro di qualcuno che se li può permettere, è il gesto che è bello. Dimostra che il movimento ha un sostegno, e molte lotte fanno riferimento al nostro movimento, quindi non dobbiamo rompere questa speranza, anche se non possiamo prevedere tutto quello che succede in un movimento, perché ci sono anche le dinamiche della miseria umana. Il movimento ha una ragione di esistere, è già quasi una bandiera che sventola, una speranza per questo Paese, se non sventola più vuol dire che ci siamo arresi, che il sistema ha vinto, che ha fatto di noi quello che voleva, come delle pecore. Uno dei doveri del movimento è quello di non sciogliersi, per questo ci credo, e sono sicuro che sarò l’ultimo, non mi arrenderò mai, farò come il giapponese sul suo scoglio che non sapeva che la guerra era finita da vent’anni, perché nessuno lo aveva avvertito.

 

Ti capita di viaggiare per parlare della lotta, per mostrare la solidarietà dei No TAV ad altri movimenti?

La settimana scorsa sono andato in Sicilia per una lotta importante che si chiama No M.U.O.S e ho raccontato le nostre idee. C’erano le donne No M.U.O.S. – c’è un comitato di 700 madri che si battono per la salute dei loro figli, perché questi insediamenti sono pericolosi – e poi c’erano i sindaci che si erano presi il merito di questa vittoria, mentre il movimento No M.U.O.S. non è fatto dai sindaci, è un movimento dal basso, dalla gente, ma quando c’è una vittoria, i politici se ne prendono il merito, per la loro visibilità. Ho detto ai sindaci: “Ricordate che sono queste le persone di cui dovete occuparvi, perché sono le persone migliori che avete, sono persone che lottano per i principi, sono queste le persone che dovete aiutare”. Chiedono centri sanitari, e il primo mandato che avete è quello di difendere la salute pubblica, quindi se qualcuno vuole inquinare la gente dei vostri comuni, non dovete preoccuparvi degli ordini di partito, siete il sindaco di un villaggio, non avete nulla a che fare con la grande politica, dovete difendere chi subisce i problemi. Quindi deve finire il dogma dei numeri, sono una minoranza, ma uno di quelli che ci sono vale mille di quelli che dormono a casa. Perché quelli cresceranno di numero. Sveglieranno i dormienti, mentre un dormiente non riuscirà mai a trasformare qualcuno in un attivista.

 

Perché la gente ti chiama “Damigiana Molotov”?

Mi chiamano “damigiana Molotov”, ma non ho mai pensato di fare del male agli esseri viventi, non fumo e non ho mai avuto un accendino, non mi chiamo così perché voglio bruciare il mondo, ma perché, in assemblea, quando parlavamo della Moretti – sapete, la birra, che qui chiamiamo la piccola Molotov – ho detto: “Per il male che ci stanno facendo, non è la Moretti ma le damigiane dovremmo tirargli addosso! ” Visto che siamo il paese dei pintoni. Poi è bastato che una compagna meritevole dicesse, quando mi ha rivisto: “Ciao, damigiana-molotov! E quello divenne il mio soprannome. Ho deciso cosa fare della mia vita: lottare, per questo movimento che è anche il futuro. Quindi sono orgogliosa di chiamarmi damigiana molotov, anche se non voglio fare la guerra ai guerrafondai, noi non siamo l’esercito, siamo la gente che ha aperto gli occhi e vuole ribellarsi, pagandone le conseguenze, perché sappiamo che il nemico è molto forte, che ha le armi, che ha costruito dei fortini, la magistratura, i media, le leggi false, ma noi mettiamo la nostra barricata di legno, di carte – perché abbiamo anche persone che lo fanno.

 

È umano sdraiarsi per terra davanti a loro, ci si prende qualche calcio da quelle merde della DIGOS che stanno facendo un lavoro ignobile, difendono i trenta denari di Giuda, potrebbero disertare, ma stanno difendendo quei trenta denari, il loro stipendio, stanno prendendo a randellate la gente per difendere un cantiere che è una rapina alla comunità. Pensavo che la giustizia avesse un senso, ma in realtà sono in agguato. Mio padre mi ha insegnato che dove c’è un furto, c’è anche una sentinella. E la polizia fa la guardia. Lei, il poliziotto, esegue gli ordini e pensa che io sia alla sua mercé. L’unica a cui ho dato ordini è la mia mula, ma non l’ho mai sentita vantarsi! Pensi che sia normale fermarmi quattordici volte alla settimana? Pensate che sia normale fare controlli d’identità in un bosco? Un bosco è un luogo comunitario, è il luogo in cui le persone sono più libere.

 

Un giorno mi ero tagliato un dito, il medio, avevo una grossa benda con una stecca e ci avevo scritto sopra “No TAV”. Allora mi hanno fermato: “documenti”, eravamo in quattro in macchina, c’erano quattro o cinque blindati con i lampeggianti. “Perché ci state fermando? “State andando alla manifestazione, ecc.”. Io gli parlavo con il dito alzato, No TAV, e questo comandante mi ha detto: “Può abbassare il dito per favore”, io l’ho guardato e gli ho detto: “Presumo che tra i suoi molteplici diplomi non ci sia quello di medicina, non la considero neanche il mio medico, quindi faccia come me, sopporti. Perché se abbasso il dito mi fa male, allora lo alzo e tu sopporti. Bisogna farli sentire a disagio, piuttosto che spaventati. “Ridategli i documenti!” E siamo partiti. Mi considerano una spina nel fianco, perché quando sono nelle loro mani, parlo, parlo, parlo…